DONAZIONI DI ORGANI. L'ITALIA CHE DICE NO

foto di Enzo Cei


Paura, disinformazione, confusione sul concetto di vita e morte. E una profonda sfiducia nella sanità pubblica. Ecco perché i familiari negano il prelievo degli organi. Al punto che, per la prima volta, il numero dei trapianti crolla. Anche nella virtuosa Lombardia

Aveva 23 anni quando le hanno detto che la dialisi avrebbe scandito la sua vita per colpa di un sangue malato. Oggi che ne ha 33, Alessandra Conti è solare, equilibrata. Preferisce raccontare le crociere («I centri dialisi sulle navi sono molto diffusi, sai?») e la tombola di Natale, lei in ospedale e i parenti a casa con i telefoni in viva voce, ma non nasconde di vivere accanto a un cellulare che ha squillato una sola volta, illudendola che scoccasse finalmente l’ora del suo trapianto di reni. Un falso allarme: «I valori del sangue erano alti, troppo rischio di rigetto. Per me ci vuole una compatibilità assoluta, difficile da trovare» riesce a sorridere.
E il suo strano limbo è un puntino nella nebbia che avvolge chi ha bisogno di un regalo speciale per continuare a vivere, un organo.
9.790 recita il freddo computo degli italiani in lista d’attesa per un cuore, un fegato, i polmoni, i reni, l’intestino. Loro sono aumentati quasi del 9 per cento negli ultimi quattro anni 25 aprile mentre i trapianti sono calati dell’8,2, attestandosi sui 2.916 del 2008. È la prima, sospetta incrinatura dentro un sistema che stava facendo faville dal 1999, quando la legge 91 ha reso la rete nazionale dei trapianti organizzata, tecnologica ed efficiente, portandola dal rango di Cenerentola d’Europa a livelli d’eccellenza, seconda solo alla Spagna.

L’ultimo successo internazionale è di tre settimane fa, con una tecnica messa a punto dall’Istituto Mario Negri di Milano e dal Nord Italia Transplant per utilizzare reni persino di donatori ultrasettantenni. E allora perché la battura d’arresto nei numeri?
«La nostra è una macchina complessa » spiega Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti del ministero della Salute «un’attività incessante, con specialisti reperibili 24 ore su 24, con la capacità non solo di prelevare gli organi ma di portarli a destinazione velocemente: 4-5 ore per il cuore, 10-12 per il fegato. Il punto chiave è la segnalazione del donatore, cioè l’accertamento della morte cerebrale di una persona: una procedura costosa per un reparto di rianimazione, che convoca una commissione di esperti per accertare il decesso ed effettua le analisi cliniche sugli organi in 12 ore al massimo. Un processo che funziona meglio al Nord, sebbene il Sud stia recuperando».
Piemonte e Toscana sono le regioni più virtuose. La prima ha registrato nel 2008 il maggior numero di trapianti in rapporto agli abitanti (84,5 per milione) contro la media nazionale del 53,4, e l’ospedale Molinette di Torino è ai vertici europei. La Toscana vanta invece il primato dei donatori segnalati (75,2 per milione di abitanti, contro la media italiana del 40,1), agli antipodi della Campania ferma al 24,3.

Ma la sorpresa negativa è la Lombardia: 580 trapianti nel 2008 contro i 644 del 2007, un crollo del 10 per cento. L’assessore regionale alla Sanità, Luciano Bresciani, ha definito la situazione drammatica, bacchettando ospedali milanesi come il San Paolo e il San Carlo (i quali si sono difesi rispondendo che loro, non avendo il reparto di neurochirurgia, non ricoverano le vittime di incidenti stradali, cioè i maggiori, potenziali donatori); il coordinatore lombardo dei trapianti, Cristiano Martini, punta invece il dito contro un deficit di organizzazione che un’avanzata e popolosa Lombardia non può proprio permettersi: «Non si valorizza abbastanza il settore» sostiene. «In Toscana, Emilia Romagna e Piemonte, i coordinatori dei trapianti fanno solo questo lavoro; i nostri 15, invece, esercitano anche da anestesisti, rianimatori, nefrologi, senza ricevere un euro in più in busta paga».
A pesare, però, c’è anche un fattore umano. Insondabile e incoercibile, perché ha radici intime ed emotive: i familiari della persona morente che dicono no alla donazione dei suoi organi. È il vero campanello d’allarme nel sistema nazionale dei trapianti: nel 2008, su 2.289 donatori potenziali, nel 32,7 per cento dei casi i parenti si sono opposti, ed è un dato che supera dell’11,2 per cento quello di quattro anni fa.
Saranno le cronache di malasanità (non a caso, la maglia nera delle opposizioni va alla Sicilia, con il 51,8 per cento di no) o i modi sbrigativi con cui certi medici maneggiano la morte e il dolore, ma l’impressione è che gli italiani, su questo delicato crinale, frenino la generosità. Il neuropsichiatria Alberto Maria Comazzi, per 16 anni responsabile del servizio di Psicologia medica al Nord Italia Transplant di Milano, tocca il tasto sensibile: «Il primo punto di riferimento per la famiglia è il rianimatore. È lui ad avere il difficile compito di chiarire cosa significhi la morte cerebrale, perché alcuni la confondono con il coma e sperano in un risveglio. Non è così: morte cerebrale è assenza di attività elettrica nel cervello. Sembra che la persona respiri ma è una macchina a farlo per lei; la cute è calda ma per la circolazione forzata. È fondamentale spiegare che la salma non verrà dissacrata, bensì operata proprio come una persona viva, persino sotto anestesia per frenare gli automatismi del corpo».
Comazzi sottolinea anche l’importanza di un accompagnamento alle famiglie «per elaborare il lutto ed evitare la “sindrome del segugio” o “della personificazione dell’organo” che spinge a mettersi sulle tracce di chi ha ricevuto l’organo del parente». La madre di Kristel Marcarini, giovane promessa dello sci stroncata dall’ecstasy un anno fa, ha lanciato un appello in tv all’uomo che ora vive grazie al cuore della figlia (per legge vige l’anonimato del donatore): lui l’ha contattata, si sono incontrati, lei lo ha abbracciato posando l’orecchio sul suo petto.

Pregiudizi e disinformazione rischiano insomma di impantanare uno dei fiori all’occhiello della nostra sanità pubblica. Al registro dell’Aido (l’Associazione donatori di organi), un milione e 121 mila italiani hanno depositato il loro assenso mentre agli sportelli delle Asl (sapevate che, anche qui, la legge permette di iscrivere le proprie volontà?) sono 86.604 i sì e 98.855 i no.
«Bisogna promuovere il cartellino “io sono donatore” da tenere nei documenti, anche se io lo stamperei sulla carta d’identità» dice Patrizia Danieli, presidente della sezione laziale dell’Aned-Associazione dializzati e trapiantati, lei stessa salvata da un donatore di reni. «Manca un’informazione istituzionale. Si parla tanto di sclerosi multipla e di Aids, ed è giusto, ma si fa poco per costruire una solida cultura della donazione degli organi, partendo dalla sensibilizzare nelle scuole. A me un preside ha risposto “no, grazie, non ci interessa”».
Forse si potrebbe partire da quel che suggeriva Ignazio Marino, cardiochirurgo e senatore: nelle tante fiction tv sui medici, qualche puntata sui trapianti non guasterebbe.
Pubblicato su Io donna il 25 aprile 2009

Dal 3 al 10 maggio le Giornate nazionali per la donazione e il trapianto di organi: aned-onlus.it, trapianti.ministerosalute.it

Segnalo anche il libro del collega Giovanni Ruggiero (scritto con l'epatologo Antonio Ascione) Abbiamo vinto. Insieme (ed. Messaggero Padova).

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