NELLE CASE DELLE DONNE IN FUGA


Guardie armate, telecamere, cancelli. Quelle che si sono ribellate a uomini crudeli vengono protette qui, clandestine e invisibili. Un limbo. Nell’attesa di ricominciare a vivere

Le stanze segrete delle donne in fuga hanno letti ordinati, pareti spoglie, giocattoli per i loro bambini facili al riso e al pianto. Grandi cucine in comune dove s’intrecciano altre storie di violenza e clandestinità forzata, che aiutano a sentirsi meno sole ma a volte fanno rimbombare con insistenza il proprio passato.
Cancelli, telecamere all’ingresso, guardie armate a difendere la loro prova di rinascita lontano da uomini intenzionati a distruggerle come fossero oggetti difettosi.
In Italia sono 36 le case-rifugio offerte dai centri antiviolenza a donne maltrattate e ossessionate da uomini che non si rassegnano all’abbandono. Secondo l’Istat, il 14,3 per cento delle italiane ha subito violenza dal partner, il 17,3 per cento dal proprio ex. Novantatre su cento non denunciano, perché invischiate nella dialettica serva-padrone «o perché pensano sia inutile» dice Angela Romanin della Casa delle donne di Bologna, che dal ’90 ha accolto 5mila transfughe.
«La maggior parte delle denunce per maltrattamenti sono ritirate dalla donna o archiviate. Quelle che sfociano in un processo si concludono con condanne irrisorie. Capita persino che lui controdenunci lei per averlo graffiato durante un pestaggio».
«I percorsi giudiziari sono frastagliati quando la donna è dubbiosa» sottolinea l’avvocato Marina Pasqua del centro antiviolenza di Cosenza, in una regione difficile come la Calabria dove «denunciare il proprio uomo spaventa anche per questioni culturali. Il Codice penale prevede fino a cinque anni di carcere per i maltrattamenti in famiglia, e pene più severe in caso di lesioni gravi, ma l’arresto dell’aggressore è facoltativo e raro. Se poi è incensurato, la pena viene sospesa».
Inasprire le condanne non serve. Aver riconosciuto come reato lo stalking è un primo passo. Perché «la violenza domestica può trasformarsi in stalking quando la donna decide di andarsene» prosegue l’avvocato Pasqua «e a volte degenera in tentato omicidio».


Le donne vittime di violenza scappano. Chiedono un trasferimento al lavoro o perdono il lavoro. Spostano i figli da una scuola all’altra. Cambiano città. «Ma l’anagrafe è pubblica e per l’ex marito è un gioco scoprire la nuova residenza» spiega l’avvocato Manuela Ulivi della Casa delle donne maltrattate di Milano. «Per far secretare i propri dati ci si deve rivolgere al tribunale, con una procedura complessa che non sempre va a buon fine. Inoltre contro il maltrattamento bisognerebbe procedere d’ufficio, ma non avviene quasi mai perché è considerato un reato minore. Fra i magistrati c’è scarsa sensibilità, e in aula si cerca ancora il perché una donna è stata picchiata o perseguitata. Come se un pestaggio in famiglia potesse avere una ragione plausibile».
Luigia Barone, direttrice del centro antiviolenza del Comune di Roma, ha da fare con una donna arrivata all’improvviso: marocchina, due figli, ostinatamente silenziosa in corridoio. «Siamo al completo...» si arrovella Luigia, che dopo mille telefonate trova una stanza in un’altra casa d’accoglienza: non è a indirizzo segreto, ma per stanotte serve un letto.
Prima di questa emergenza Luigia mostrava la denuncia di una ex ospite, picchiata e vessata per anni dal marito: «È stata archiviata come normale conflitto domestico nonostante lei avesse referti medici e testimoni. La giurisprudenza non è costante. Due terzi delle donne che si rivolgono a noi hanno alle spalle denunce ritirate o archiviate».
I centri antiviolenza sono 114, in Italia. Offrono consulenza legale e aiutano le vittime a pianificare un’altra esistenza. Ma non bastano.
Il 25 novembre sarà la Giornata internazionale per eliminare la violenza contro le donne. Ecco le storie, dolorosamente raccontate, di tre vittime.


CORINNA, 33 ANNI, ROMA
Eravamo colleghi, entrambi infermieri. Sembrava rassicurante. Si è presentato fuori dall’ospedale con un anello e dei fiori, sotto la pioggia. Abbiamo deciso di avere un figlio e lui è cambiato: cupo, distante, poi infastidito dalla bambina. Mi chiamava puttana, aprendo la finestra per insultarmi a voce alta così che tutti sentissero.
Nessuno dei vicini mi ha mai offerto aiuto....

Continua a leggere la storia di Corinna, e poi quella di Daniela e Rossana, nel libro Donne che vorresti conoscere, Infinito Edizioni.

Commenti

  1. avrei urgenza di contattare Emanuela ma non trovo una mail con la quale contattarla

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  2. Mi dia pure la sua email, la contatterò io

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