WEEKEND A BEIRUT


PIACERE Il più terribile dei mali, cioè la morte, non è niente per noi, dal momento che, quando noi siamo, la morte non è, e quando essa inesorabilmente sopraggiunge, noi non siamo più. (Epicuro)

NON ERA UNA METAFORA. Ziggy diceva sul serio, quando mi raccontava che a Beirut si balla tanto, si beve tanto, come gente che cerca di succhiare la vita perché la guerra era ieri e potrebbe essere domani. Una semplice equazione, senza bisogno di pretesti.




Non ci sono sbronze tristi, a Beirut. A casa di Nidal, in East Beirut, un salone minimale con un bancone da bar degno dei migliori locali newyorchesi, bevono da ore e adesso ballano, anche. Tutti. È arrivata la torta di compleanno, un gigante di cioccolata con scritte colorate e candeline accese. Attacca un brano house datato e non c’è esitazione, il salone è una pista. Dance anni Ottanta, gli Abba, pop arabo di quelli ripetitivi e ipnotici. Danze del ventre improvvisate. Salti.




Ziggy, con il suo abito nero e i Doctor Martens color fucsia, è stata a lungo dietro il bancone a preparare cocktail dolci e micidiali con Amaretto di Saronno e champagne. Non vuole farmi andare via. “E’ tardi”. E ho bevuto anch’io, come loro. Abbiamo cominciato con due birre messicane al Gem, uno dei mille locali di Gemmazye, la strada dello sballo alcolico. A casa di Nidal un cameriere in divisa cammina discreto fra gli invitati continuando a versare vino rosso. E lo champagne con la torta. E i cocktail di Ziggy. Ma non riesco a ubriacarmi. Ho i sensi stravolti, anestetizzati dal loro rumore, dalla loro voglia di stare insieme anche se si vedono ogni giorno (sono tutti cugini, o fratelli, o amici stretti, o vicini di casa), di chiedermi che ci faccio qui e soprattutto perché sono venuta a Beirut per starci così poco.



“Se non fai una belly dance con noi, non ti lascio uscire” è il diktat di Ziggy.
Fatto.
La lascio che si muove insieme agli altri come fossero un corpo solo.



Ziggy diceva sul serio anche quando insisteva per portarmi a pranzo al Palace Cafè, sul lungomare della Corniche. C’è vento, il mare urla e schiuma a un metro dal nostro tavolo, i tovaglioli volano e il sole ci batte in faccia, ma c’è magia. Un’atmosfera da fine del mondo che dà un gusto quasi insopportabilmente piacevole alla limonata alla menta e alle mezzah che invadono il tavolo: tabbuleh, fattoush, mtabbal, hummus e patate fritte. Non riesci a smettere di mangiare, potresti andare avanti per ore cullato dal fischio del mare arrabbiato e lurido.



Sulla Corniche c’è il mondo. “E’ l’unico luogo, a Beirut, dove siamo tutti uguali” dice Ziggy. Non distingui ricchi e poveracci. Le donne velate e vestite con le palandrane nere si mischiano alle ragazze in tuta attillata che fanno jogging. Biciclette, ragazzini che fanno il bagno e si tuffano dagli scogli sotto la passeggiata, un vecchietto che pesca dal lungomare con una canna lunghissima. Altri che giocano a backgammon su una panchina di pietra, due innamorati si stringono sporgendosi dalla ringhiera e fissando l’orizzonte, quattro amiche leccano un gelato.



A Pigeons’ Rocks, appena sotto il Movenpick (l’hotel dove stavano barricati i giornalisti durante il bombardamento israeliano dell’estate 2006), due cavalli pascolano tra i pic-nic delle famiglie, le madri stendono coperte sul prato spelacchiato e i padri grigliano kebab. Le auto mandano musiche arabe sguaiate e gracchianti. Il piccolo promontorio dà le vertigini.



Ziggy si ferma a comprare caffè da un venditore ambulante, cinque tazze di plastica di un caffè arabo fortissimo, e non vuole gettare le tazze vuote a terra anche se il luogo è disseminato di rifiuti. Riparte sul suo macchinone sgommando sullo sterrato.



Beirut percorsa e succhiata in due giorni è una specie di schiaffo che ti imbambola procurandoti una punta di piacere malato.
Ziggy mi aspetta per la prossima volta. Vuole portarmi al sud, nel villaggio dei suoi genitori, vicino al confine con Israele. Israele e pornografia sono le uniche due cose vietate, a Beirut.
E poi c'è il tramonto, l'aria fresca che sale dal mare. E all'imbrunire si riparte: aperitivo, ristorante, locali, feste, chiacchiere, risate. Tante.
Lasciamo Ayman, reporter scozzese con famiglia irachena, e la sua amica bionda al Golden Dragon per colpa mia che devo partire. Ayman ha posticipato di un giorno il suo volo per Baghdad: ha ancora un po' di Beirut da vivere.



Alle tre del mattino sono in aeroporto. All’aeroporto di Beirut si fuma ovunque, persino al gate.
Incontrare questa città e Ziggy mi ha ridato la voglia di scrivere.
Di parlare con le persone senza scopo.
Di pensare meno e ascoltarmi di più.

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