TI RICORDI GDEIM IZIK?


Il Museo della guerra a Rabouni, quartier generale del Polisario nei campi profughi in Algeria.

Secondo Noam Chomsky, il primo atto delle primavere arabe non è stato il suicidio rituale di Mohamed Bouazizi in Tunisia, il 17 dicembre 2010. L’ondata di riscatto sociale e politico nel Nord Africa avrebbe la sua radice in un altro evento, molto meno raccontato rispetto alle scintille tunisine ed egiziane: il campo di Gdeim Izik in Sahara Occidentale, della cui sanguinaria conclusione ricorre oggi il primo anniversario.
La storia del Sahara Occidentale, il territorio a sud del Marocco, è complessa e controversa. Ex dominio spagnolo, fra gli ultimi casi di decolonizzazione incompiuta, questa fetta di deserto ricca di minerali e affacciata sul mare più pescoso del mondo viene annessa dal Marocco nel 1975 ma sempre rivendicata dai saharawi come loro legittima terra.

Tifariti, un lembo di deserto conquistato dai saharawi al Marocco.
C’è un conflitto armato, un cessate il fuoco nel 1991, una missione Onu (la Minurso) che da allora monitora il territorio fra mille polemiche sui suoi alti costi e la sua bassa utilità. Duecentomila Saharawi fuggono nel sudovest dell’Algeria, dove fondano una repubblica fatta di campi tendati, sabbia e vento. Gli altri restano in Sahara Occidentale, in attesa di un referendum (stabilito dall’Onu) che definisca a chi appartiene questo Stato, se ai saharawi o ai marocchini.
Il Marocco temporeggia nel concedere la consultazione elettorale e intanto erige un muro nel deserto che separa inesorabilmente i saharawi profughi in Algeria da quelli rimasti nel Sahara Occidentale. Via terra, in altri termini, di lì non si passa.


Il Museo della guerra.

I saharawi denunciano incarcerazioni e torture ai danni del loro popolo in territorio marocchino; da Rabat rispondono che ormai gli indipendentisti sono soltanto un pugno di facinorosi privi di credibilità e consenso. E’ un pantano da cui non si riesce a uscire, nonostante i periodici incontri diplomatici tra le due parti, mediati dall’Onu.

Militari saharawi a Tifariti. Qui, a dicembre, si terrà il congresso del Fronte Polisario.
Il 9 ottobre 2010 un gruppo di saharawi si accampa con le khaimas, le tende tradizionali, a Gdeim Izik, 12 chilometri a sud di El Ayun, capoluogo del Sahara Occidentale. Nel giro di due settimane le tende diventano decine di migliaia: una protesta pacifica con cui i saharawi chiedevano il rispetto del diritto internazionale. Gdeim Izik è stato definito “l’accampamento della dignità”.
L’8 novembre le forze di polizia marocchine si spazientiscono e smantellano il campo: secondo il Fronte Polisario (il governo dei saharawi esiliato in Algeria), si contano 36 morti, 723 feriti, 163 arresti. Per le autorità di Rabat, i morti sono 11 e i feriti 159. Le proteste in Sahara Occidentale dilagano in altre città. Per i saharawi, Gdeim Izik segna una nuova stagione di “arresti arbitrati, torture, processi ingiusti” tesi a soffocare le rivendicazioni di indipendenza.
Campi profughi saharawi in Algeria.
Brahim Dahane si trovava in galera, per l’ennesima volta, durante i fatti di Gdeim Izik. 46 anni, nato a El Ayun, Brahim è un eroe per il popolo saharawi. L’ho incontrato a fine settembre a una conferenza che rifletteva sui frutti concreti delle primavere arabe, organizzata dall'associazione di Reggio Emilia Jaima Saharawi. Lui ci teneva a dire che la protesta del campo tendato è stata una importantissima rottura del silenzio perché, sottolineava, “il nostro è un Paese offeso dalle armi, ma soprattutto offeso dal silenzio”.
Brahim racconta senza sentimentalismi le sue numerose prigionie nelle carceri marocchine, iniziate nel 1987 e terminate il 14 aprile di quest’anno. Cita un rapporto dei servizi segreti marocchini, che ammetterebbe quanto sia stata inutile la politica dell’oppressione nei confronti dei saharawi e quanto sia impercorribile la strada dell’annessione del Sahara Occidentale al Marocco. Ricorda che il suo Paese è ricco di risorse naturali, compreso il petrolio, delle quali dovrebbero beneficiare anche i saharawi che invece sono considerati cittadini di serie B. 

La sede dell'associazione Afapredesa a Rabouni.

Intanto, nei campi saharawi in Algeria sono stati rapiti tre cooperanti stranieri dei quali, dal 23 ottobre, non si hanno notizie. Un evento sconvolgente per gli stessi saharawi: nella terra del loro esilio non era mai accaduto nulla del genere dal 1975, mi ricorda Omar Mih, ambasciatore del Polisario in Italia. “Di noi i giornali non parlano mai” dice “e ora devono parlarne in un modo che fa apparire i saharawi complici dei terroristi rapitori...”.
Poco prima di Natale si terrà nei campi profughi in Algeria il congresso del Fronte Polisario, dove si discuteranno nuove strategie per sbloccare questa situazione asfittica. I più giovani, stanchi e disillusi, fanno già intendere che potrebbero risollevarsi con un’unica terapia: la guerra, un’altra guerra al Marocco. 



La rivista Africa dedica la copertina del nuovo numero a quest’intricata, in fondo immobile, storia. Con un articolo di Anna Pozzi e le fotografie di Bruno Zanzottera / Parallelozero.

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