L'INSONNIA DI GAZA

La giovane Buff sulla spiaggia di Gaza City


“Ancora vivo, grazie. Speriamo che finisca presto”. L’sms dell'amico Safwat Kahlout mi arriva dalla Striscia di Gaza mentre sono bloccata nel traffico del centro di Roma. Gli ho scritto qualche ora fa: l’unico gesto che sono riuscita a compiere mentre leggevo le notizie dei bombardamenti israeliani. E la sua risposta non la riconosco quasi: Safwat e’ sempre ironico, apparentemente cinico come un vero giornalista di guerra, in realta’ rassicurante e ottimista come ogni autentico uomo di fede. Ma il suo sms di oggi non lascia spazio a molte interpretazioni.

E’ sempre cosi’ maledettamente difficile scrivere di Israele e di Palestina. Come se qualcuno stesse li’ ad aspettarti al varco per capire da che parte stai, e crocifiggerti di conseguenza.
Perche’ se solidarizzi con i civili di Gaza che stanno perdendo la vita nelle esplosioni, allora sei per forza anti-Israeliana. E se dici che Israele non fa che rispondere agli attacchi di Hamas, non puoi che essere una schiava della lobby ebraica.
Detesto questa dialettica malata dell’informazione che si e’ impadronita, forse irrimediabilmente, del conflitto israelo-palestinese. 
Mi chiedo che importanza abbia precisare fino alla nausea chi abbia cominciato quando ci sarebbero stati quindici morti in poco piu’ di un giorno, tra cui due bambini e una donna incinta. 

I ragazzi che ho conosciuto a Gaza City odiavano il partito integralista di Hamas piu’ di quanto odiassero Israele. Quando li ho intervistati l’anno scorso, non facevano che ripetere che le posizioni anacronistiche e terroristiche di Hamas avevano rovinato la loro esistenza, costringendoli a starsene sigillati in quel lembo di terra circondato da un muro contro il quale vedevano ogni giorno schiantarsi i loro sogni. Il loro futuro.
Hanno tutti 20 anni o poco più’.

Shahd Abusalama, pittrice e blogger

“Il mare e’ infuriato e vuoto di pescatori” scrive la ragazza che si fa chiamare Buff, mentre dalla sua finestra scatta foto delle esplosioni. “Piu’ di dieci navi militari erano cosi’ vicine alla spiaggia, stamane, che temevo entrassero in casa mia”. Chatto con lei adesso, su Skype. “Stanno bombardando ancora” mi scrive. E scompare.
“Ieri notte, ogni volta che mi sforzavo di chiudere gli occhi finivo per sentirmi quasi in colpa”, scrive la pittrice Shahd Abusalama. “E ogni volta mi svegliavo urlando al rumore orribile e terrificante di un’altra bomba che colpiva qualche posto qui vicino. Il mio cuore si fermava per un istante e io pensavo che l’obiettivo fosse casa nostra... Mantenete l’attenzione su Gaza, fate qualcosa!”.
Mi arriva su Facebook un messaggio di Isra. Mi scrive: “Ci sforziamo di stare calmi, ma se i bombardamenti non colpiscono noi, possono colpire uno dei nostri migliori amici...”. E m’informa che una bimba che conosco ha perso una mano, oggi. Una bimba di 8 anni che vive nel campo profughi di Jabalya: una delle due figlie del giornalista Sami Ajrami. Amico, fixer e insostituibile angelo custode durante il mio ultimo viaggio a Gaza.
Non voglio crederci. La tragedia si fa troppo vicina, adesso. Il dolore che detona laggiu’, strangolato dal muro e dalle navi da guerra schierate in mare, e’ anche il mio.

Un'esplosione fotografata da Buff dalla sua finestra.

“Le mie palpebre stanno lottando per chiudersi e riposare un po’” scrive in questo momento Shahd, “ma e’ impossibile per chiunque di noi, in questa spaventosa situazione, essere in grado di dormire per piu’ di una manciata di minuti. Ho appena udito due esplosioni vicine. Era come se la nostra casa stesse per crollarci addosso... Resisti, mio popolo. Nulla può sconfiggere la tua indescrivibile determinazione. Ce la faremo”.
“Pregate per Gaza” ha scritto ieri Buff.
Non riesco a concludere con nessun’altra frase.

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