CANTASTORIE D'AFGHANISTAN



Selene Biffi lavora da dieci anni in Afghanistan, dove sta per aprire una scuola per cantastorie: un ponte tra gli aiuti internazionali e la popolazione

Ci sono luoghi in cui il disegno del futuro passa da un tuffo nel passato, estraniandosi da un presente paralizzato e troppo intriso di dolore. Selene Biffi lo legge così l’Afghanistan che indaga e ama da dieci anni, sebbene questa ragazza lombarda con master ad Harvard di anni ne abbia soltanto trenta.
Era giovanissima a Kabul, già consulente dell’Onu, a insegnare ai giovani le nuove tecnologie.

Poi realizza libri scolastici per bambini, finché l’assalto terroristico contro l’Onu del 28 ottobre 2009 la costringe ad andarsene. Per poco, però: rientra e inventa fumetti educativi che si fanno leggere anche dagli analfabeti. Infine l’avventura di oggi, con la sua onlus Plain Ink: una scuola per cantastorie, rivolta a 20 giovani afgani disoccupati che, recuperando le tradizioni orali locali, apprenderanno i linguaggi, le metafore e le immagini sonore più efficaci per spiegare alla gente dei villaggi come prevenire le malattie, vivere gravidanze sicure, costruire case a prova di terremoto.
Le classi partiranno a fine marzo, subito dopo il Capodanno afgano (qui si dice che sia il periodo più propizio per inaugurare nuovi progetti), grazie a un premio che Selene Biffi si è appena aggiudicata: uno dei cinque Rolex Awards for Enterprise, finanziamenti devoluti a pionieri nella scienza, nella tutela dell’ambiente e dei patrimoni culturali. Selene, unica donna italiana nella storia quasi quarantennale del riconoscimento, è stata premiata insieme ad altri innovatori dall’India, dal Messico e dal Paraguay.
Ma come può incidere, una scuola per cantastorie, nella realtà cupa dell’Afghanistan? “I cantastorie, qui, trasmettono i valori di generazione in generazione” spiega Selene. “In un Paese che vive di sostegno umanitario, gli interventi per lo sviluppo devono calarsi nel contesto delle comunità, parlare linguaggi vicini alla gente e alla loro mentalità. I nostri giovani giocheranno proprio il ruolo di ponti tra gli aiuti internazionali e la popolazione”. Degli afgani, la colpisce “la forza interiore nonostante i 35 anni di guerra, l’orgoglio per un passato che vedeva accorrere a Kabul studenti da tutta l’Asia, la dignità. E’ il loro carattere a farmi sperare che anche un progetto piccolo come il mio possa essere una molla di cambiamento”.

da Io donna, 19 gennaio 2013

Commenti

Post più popolari