RESTARE DONNE DIETRO LE SBARRE

Foto di Alice Pavesi Fiori

Una cella per ambulatorio, un ecografo preso a rate e una vocazione da volontaria. A Genova, Adele Teodoro guida un progetto unico. Perché la prevenzione eviti altre condanne.


Un paio di orecchini in plastica gialla, grandi e a clip, di un vistoso gusto anni Ottanta. Uscendo dalla cella adibita a studio medico, una giovane marocchina se li sfilava posandoli fra le mani di un’altra donna, che li indossava rapidamente sistemandosi i lunghi capelli biondi prima di entrare per la visita. 
Adele osservava dalla sua scrivania, e la scena le è rimasta negli occhi come improvvisa rivelazione del senso del suo ingresso in questo mondo parallelo scandito da sbarre e da destini spezzati: «Per le detenute, la visita ginecologica del sabato si era trasformata in un appuntamento speciale, al quale presentarsi in ordine, curate, con vezzi femminili che stavano dimenticando». 

Pontedecimo è un edificio chiaro consumato dal tempo, a una quindicina di chilometri a nord dal centro di Genova. Un corridoio interminabile sospeso nel vuoto conduce al blocco delle celle. I panni lavati penzolano alle finestre. 
In questa casa circondariale che contiene 159 detenuti, fra cui 77 donne in gran parte non italiane, Adele Teodoro è arrivata per caso nel 2011. 
Ginecologa napoletana trapiantata a Milano, seppure innamorata della sua professione e della sua bimba di nove anni, Gaia, da tempo avvertiva un vuoto al quale non riusciva ad attribuire un nome: «Volevo dare di più, fare qualcosa di utile per puro volontariato, ma non sapevo in che modo». 


Continua a leggere la storia di Adele nel libro Donne che vorresti conoscere, Infinito Edizioni, in uscita a novembre 2014.


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