LA REGINETTA CORAGGIOSA



Elezione di Miss Mondo, 1998. La diciottenne israeliana Linor Abargil, luminosa in abito bianco, riceve la corona sui ricci color rame piange, ma le sue lacrime celano un riflesso sinistro. Non è uno scoppio di gioia: è un effluvio di sofferenza.
Poche settimane prima, la giovane è stata violentata a Milano, dove lavorava come modella, da un agente di viaggio israeliano che l’ha minacciata con un coltello legandole le mani, brutalizzandola a lungo e quasi soffocandola con una busta di plastica.
«In quel momento la tua anima non c’è più. Sei solo un corpo» è la frase di ghiaccio che apre il film Brave Miss World, co-prodotto da Sharon Stone e diretto da Cecilia Peck, figlia dell’attore Gregory Peck. Un documentario che accompagna l’ex Miss Mondo nel lento ritorno alla vita: il suo coraggio di portare alla sbarra l’aguzzino, scatenando un processo che in Israele provocò scalpore e un aumento delle denunce per stupro; l’isolamento nell’affetto della famiglia per ritrovare se stessa; il rifugio nella religione. E finalmente, dal 2008, la sua battaglia per aiutare altre vittime, in tutto il mondo, a uscire dal silenzio.
Il cammino interiore di Linor s’intreccia con testimonianze scioccanti di donne abusate, in cerca di una dignità che temono di aver perduto, compresa un’emotivamente inedita Joan Collins che rivive lo stupro subìto a 17 anni dall’attore Maxwell Reed.
«Al sito bravemissworld.com ricevo migliaia di email: le vittime dicono che le ho aiutate a liberare la parola, a capire che solo gettando via la vergogna si possono cambiare le cose» ci dice oggi Linor Abargil, che il 22 novembre sarà al Teatro Litta di Milano alla première italiana del suo film, nella rassegna Siamo Pari! di WeWorld-Intervita.

Linor, nel film emerge la tua angoscia nell’ascoltare altre storie di violenza, e sembra che tu volessi interrompere le riprese... 
Non immaginavo quanto sarebbe stato faticoso gestire dentro di me troppi racconti tremendi. Non ero un’attrice: dovevo mettere in scena i miei sentimenti autentici e non potevo farmi carico di altre vittime se non riuscivo a prendermi cura di me stessa. Ma è stato solo un momento: questo film in realtà è un gradino della mia guarigione perché più parli della violenza subìta, più realizzi che devi andare avanti. Incontrare tante vittime in tutto il mondo mi ha fatto capire che non sono sola né diversa.
Quale testimonianza ti ha toccata più nel profondo? 
La storia più dura che abbia mai ascoltato è quella della sudafricana Alison Botha. Gli stupratori le hanno tagliato la gola staccandole quasi la testa. Non è morta per un soffio ed è stata fra le prime, nel suo Paese, a parlare pubblicamente della violenza: oggi è un’attivista per i diritti delle donne, un’oratrice meravigliosa. C’è poi la giovane Trisha, violentata da un campione di football dell’Università della California e criticata per aver messo in cattiva luce, con la sua denuncia, l’intero campus.
Un caso isolato o una mentalità diffusa? 
Un fenomeno comune, purtroppo. Per questo stiamo proiettando il film in decine di campus americani, parlando agli studenti di consapevolezza, prevenzione e coraggio di denunciare. Sono ambienti duri per le ragazze: gli episodi di violenza vengono taciuti per paura di attirarsi una brutta fama e di non trovare alcun sostegno. Perché spesso la difesa del buon nome dell’università viene prima di tutto.
Dopo 16 anni di carcere, il tuo violentatore sarà libero in dicembre. L'idea di poterlo incontrare ti inquieta?
Assolutamente no. Sono certa che sarà lui a evitare di incontrare me. Non vale più la pena sprecare pensieri né parole su quell’uomo.
Tu hai ottenuto una condanna esemplare ma in molti casi - ed è un tema centrale nel tuo film - l’emorragia psichica delle vittime non cessa proprio a causa di una giustizia negata. 
Io ho avuto giustizia perché c’erano prove schiaccianti contro di lui, come il Dna e le denunce di altre due donne. In molti casi, invece, è solo la parola della vittima contro quella dello stupratore, oppure ci sono le prove ma la pena è irrisoria. Ogni Paese è diverso, però credo che in tutto il mondo si debbano prevedere condanne più severe: la violenza sessuale è un crimine che può rovinare per sempre la vita della vittima.
Stai per presentare il film a Milano, la città del tuo dramma. Come vivi questo ritorno nel buco nero del tuo passato? 
Sono combattuta. Da un lato la première milanese è la mia vittoria sul dolore; dall’altro, sarà impegnativo rivedere un luogo di cui conservo solo brutti ricordi: la violenza, persone che si comportarono in modo orribile, la polizia che lasciò libero lo stupratore, poi arrestato in Israele... Spero sia l’occasione per costruire nuovi e bei ricordi di Milano.
Ti sente guarita, oggi? 
Sì, oggi sono felice. Ho un marito, due gemelli di due anni e mezzo, e ho imparato a guardare quel che ho e non quel che mi manca. È il mio messaggio alle vittime di violenza: la vita è troppo breve per piangere. Dovete andare oltre, ma non si guarisce senza prima uscire dal silenzio.

La rassegna Siamo Pari! La parola alle donne, l'annuale appuntamento organizzato da WeWorld-Intervita in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è in corso fino a domenica 23 novembre al Teatro Litta di Milano.
Sabato 22, prima della proiezione di Brave Miss World alle 21, ci sarà il film d’animazione Miss Todd e una tavola rotonda su “Donne che cambiano il mondo”. Tra le partecipanti, la presidente di UN Women Italia Simone Ovart, l'attivista antimafia Michela Buscemi e la sottoscritta, a presentare il libro Donne che vorresti conoscere (Infinito).
Tutti gli incontri e le proiezioni sono a ingresso gratuito.
Per informazioni e prenotazioni: intervita.it, info@siamopari.it, tel. 848 883388.

Da Io donna, 22 novembre 2014

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