LA STRAGE DI NATALE

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Foto di Martino Lombezzi
“Tutto mi cadeva addosso, e all’improvviso si fece buio. L’unica cosa che potevamo fare era urlare. Subito ci rendemmo conto che qualcuno non rispondeva più, che stava male, che perdeva sangue. Io stessa perdevo molto sangue dalla testa, avevo una grossa ferita dietro l’orecchio sinistro e ferite in faccia, però nessuno vedeva e io non vedevo gli altri...”.
Il 23 dicembre del 1984, Cinzia D’Esposito ha 24 anni e viaggia da sola da Napoli a Milano, quando alle 19.08 una bomba esplode sul suo treno, il Rapido 904, mentre percorre la Grande Galleria dell’Appennino tra Firenze e Bologna. I morti sono 15 e Cinzia, allora studentessa d’Architettura, è una dei 267 feriti dell’attentato fra i più tragici della nostra storia recente. Altri due moriranno in seguito ai traumi riportati.



Cinzia D'Esposito
La testimonianza della donna compare, accanto a molte altre, nel primo film documentario dedicato a quell’evento: “Una strage dimenticata, di cui oggi rimangono memorie fragili e frammentarie” spiega il regista Martino Lombezzi, fotografo e documentarista, che in vista del trentennale ha appena lanciato una campagna di crowdfunding per poter completare la produzione del film La strage di Natale, realizzato in collaborazione con l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage sul treno Rapido 904, Yart Photography e Zona.
La carneficina del 23 dicembre 1984 si può considerare la prima delle stragi di mafia in Italia, che prelude agli attentati degli anni Novanta. Alcuni responsabili sono stati condannati in via definitiva, come il boss di Cosa Nostra Pippo Calò, i suoi aiutanti Guido Cercola e Franco Di Agostino, l’artificiere tedesco Friederich Schaudinn. E dalle indagini sono emersi legami tra clan camorristi, destra neofascista partenopea e mafia siciliana. Oggi, a trent’anni dalla strage, è appena cominciato a Firenze il processo a Totò Riina, accusato di essere il mandante: i feriti e i familiari delle vittime sono tornati dietro i banchi del tribunale, in attesa di conoscere finalmente tutta la verità.



“Per un sopravvissuto, la scelta di ripercorrere la propria tragedia è sempre molto dolorosa e meditata” racconta Martino Lombezzi, che nel 2010 ha prodotto un altro lavoro sulla strage alla stazione di Bologna nel 1980. “Fin dai primi incontri, ho realizzato quanto fosse emozionante per me ascoltare queste storie di sofferenza e paura, di vite sconvolte in un istante, e quanto fosse difficile farlo rimanendo composti e focalizzati sulla documentazione delle testimonianze”.

Nel film La strage di Natale, i sopravvissuti e i familiari descrivono il loro vissuto di quei terribili momenti e il successivo percorso di riabilitazione fisica e psichica. Alcuni di loro, dopo trent’anni di silenzio, parlano oggi per la prima volta, e compaiono anche i soccorritori - ferrovieri, medici, vigili del fuoco e poliziotti - che per primi entrarono nella galleria, ignari dello scenario di morte e distruzione che si sarebbero trovati di fronte.

Sono molte le voci femminili.
Filomena Albanese
Come quella di Filomena Albanese, che viaggiava sul Rapido 904 con il marito Mariano. Erano giovani, sposati da poco:  “Andavamo a passare il Natale a Milano con i fratelli di Mariano” dice Filomena. “Non ricordo neanche l’esplosione. Ricordo solo questo fuoco che entrava dai finestrini rotti, e io pensavo fosse stato un incidente. Poi, quando il treno riuscì a fermarsi, nel buio ci catapultammo fuori dalle porte sventrate, mentre il capotreno ci urlava di stare attenti perché sui binari c’erano pezzi di corpi. E da qual momento cambia tutto: tutto ti fa paura, ogni rumore ti dà fastidio. Oggi, a 54 anni, non tollero una sirena, un bambino che piange, una radio ad alto volume...”.

Due valigette con un carico di esplosivo da 12 chili erano state posizionate sul treno, nella nona carrozza di seconda classe. L’innesco collegato a un radiocomando dava agli attentatori la certezza che l’esplosione sarebbe avvenuta all’interno della galleria più lunga d’Italia, tra Firenze e Bologna. La potenza della deflagrazione frantumò i vetri di molte carrozze, mentre quella dov’era collocato l’ordigno venne completamente sventrata. Saltò la linea elettrica e il treno si bloccò a metà della galleria, al buio. Sulla carrozza distrutta rimasero 15 corpi senza vita. Solo la prontezza dei macchinisti nel dare l’allarme poté evitare catastrofiche conseguenze sul treno che arrivava in senso inverso.


Enza Napoletano
Sul Rapido 904 c’era anche Enza Napoletano con i due figli Gianpasquale e Alessandro di 12 e 10 anni: lei e il figlio maggiore sono rimasti gravemente feriti. E Lina, una giovane insegnante napoletana che viaggiava con i genitori, e che ancora oggi non riesce a raccontare a voce la sua esperienza ma scrive parole molto intense: “Quella maledetta sera i miei timpani sono scoppiati, non sentivo più le voci dei miei cari. Un silenzio primordiale che contrastava con le visioni di guerra: brandelli di corpi, rivoli di sangue, lamiere contorte, spazi familiari distrutti. Nel buio della galleria ero disperata, vedevo ma non sentivo. Ero salva, ferita, ma estraniata dal mondo. Quei momenti sono nitidi, mi tormentano, devo ancora trovare il coraggio di esternarli affinché diventino assordanti per chi ha ideato e realizzato la strage”. Una delle immagini più raggelanti del film ritrae i pezzi di vetro che Lina aveva dentro al corpo: li ha voluti conservare tutti, uno per uno, a memoria.



Per contribuire alla realizzazione del film “La strage di Natale”, basta una donazione a partire da 10 euro al sito Produzionidal basso.

Per ulteriori informazioni, visitate la paginaFacebook del film o scrivete a info@zona.org

da Io donna


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