L'ARTE ESTREMA DI REGINA JOSÉ GALINDO


A Palermo, la mostra antologica Estoy viva ripercorre le più scioccanti performance dell'artista guatemalteca. Che ha messo in scena, vivendolo sul proprio corpo, il genocidio del suo popolo e la violenza contro le donne. Ai Cantieri culturali alla Zisa fino al 28 giugno

A dare il benvenuto al visitatore è lei stessa: in primo piano su un maxi schermo, con voce raggelante recita testimonianze di sopravvissuti al genocidio avvenuto nel suo Paese, il Guatemala, mentre un dentista irrompe più volte nell'inquadratura per anestetizzarle la bocca e tentare di ammutolirla. E poi, avanzando dentro il padiglione bianchissimo, le foto delle sue performance più note si alternano a video, sculture e testi sospesi che raccontano l’intero percorso di quest’artista amante dello shock: Regina José Galindo, 41 anni, vincitrice nel 2005 del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia con il video di un intervento di imenoplastica effettuato direttamente sul suo corpo.
  1. Estoy viva (Milano, 2014). Foto Andrea Sartori.
Fino al 28 giugno, la più ampia mostra antologica sulle sue opere va in scena a Palermo nello spazio Zac dei Cantieri culturali alla Zisa, ex area industriale trasformata in polo culturale. La retrospettiva Estoy viva - promossa dall’assessorato comunale alla Cultura, da Arcigay Palermo e Palermo Pride - in un’enorme stanza dispiega le provocazioni di un’artista che non vuole definirsi attivista eppure è riuscita a rendere, con raro impatto emotivo, l’orrore della guerra civile in Guatemala. Duecentomila morti e 45mila desaparecidos dal 1960 al 1996; il genocidio degli indios Maya-Ixiles attuato negli anni Ottanta dal generale golpista Efraín Ríos Montt, e Regina che si sente in colpa perché confessa di scoprire la storia solo da adulta, leggendo i libri del premio Nobel per la pace Rigoberta Menchù.
Così inaugura un’arte che riproduce sul suo corpo gracile e teso la violazione dei diritti umani e della dignità. Cammina per strada immergendo i piedi in un catino pieno di sangue. S’incatena a una gogna per una notte intera a Roma, vicino al carcere di Regina Coeli. Si autofustiga con 256 colpi, il numero dei femminicidi consumati in Guatemala quell’anno. Nuda in un campo, riceve immobile mucchi di terra lanciati da un bulldozer. S’appende a un albero dentro una rete da pesca. Giace anestetizzata in una simil-camera mortuaria, con il pubblico ad accertare che sia ancora viva dal debole fiato che lascia su uno specchietto (questa è la performance Estoy viva che dà il nome alla mostra di Palermo). Si chiude in un sacco di plastica e si fa gettare nella discarica di Città del Guatemala. Rivive le torture inflitte ai prigionieri durante la guerra civile, arrivando a incidersi con un coltello, su una gamba, la parola “perra” (cagna): una lesione che suona come denuncia della violenza contro le donne in ogni spazio e tempo.


La mostra ai Cantieri della Zisa si articola in cinque sezioni tematiche (Politica, Donna, Violenza, Organico e Morte) ma, al termine della visita, lascia la sensazione di aver assistito a un’unica, estrema performance che restituisce voce, con potenza talvolta soverchiante, a un dolore collettivo.


Regina José Galindo, Estoy viva
a cura di Diego Sileo ed Eugenio Viola
fino al 28 giugno ai Cantieri culturali alla Zisa
Via Paolo Gili 4, Palermo
Ingresso gratuito
Info: cultura@comune.palermo.it


Da Io donna, 4 giugno 2015

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