MAFIA SPA SENTITAMENTE RINGRAZIA

Corleone: un agriturismo costruito su un terreno confiscato a Totò Riina

Il 3 novembre scorso qualcuno ha tentato di mettere paura (riuscendoci) alla Comunità Progetto Sud, una coraggiosa realtà sociale e anti-mafia di Lamezia Terme guidata da don Giacomo Panizza. Qualcuno ha manomesso le auto di due disabili che operano nella comunità, Nunzia e Marco. Un lavoro da professionisti, pare.
Don Panizza era stato l'unico ad accettare un immobile nel centro di Lamezia confiscato alla cosca Torcasio, che nessun ente pubblico (neanche le forze dell'ordine) aveva voluto. Ma lui ci crede, al sillogismo Rognoni-La Torre: per sconfiggere la mafia bisogna sottrarle ossigeno e linfa vitale. Che vuol dire denaro. E “roba”: proprietà, beni immobili. La confisca non basta, ci sono mille modi per riprendersi sotto falso nome la roba sottratta dallo Stato. Per questo nel 1996...
... una legge di iniziativa popolare rafforzava la norma del 1982 firmata da Pio La Torre e Virginio Rognoni: beni mafiosi destinati per finalità sociali. Dati cioè a cooperative e associazioni non profit che ne facciano veicoli di sviluppo territoriale.

Il senso civico di don Giacomo Panizza sembra fare da contraltare a una notizia di questi giorni: un emendamento alla Finanziaria 2010, appena passato al Senato, scardina l'importante pilastro della lotta al crimine organizzato, permettendo la semplice vendita dei beni mafiosi nel caso in cui la destinazione sociale si riveli troppo lunga. Un regalino alle mafie, con il pretesto di dover fare cassa in tempi di crisi e bla bla.
Lo ha segnalato con rabbia don Luigi Ciotti, fra i padri della legge del 1996. Qualche giornale (Repubblica, Il Fatto Quotidiano, lavoce.info) se n’è accorto. «Viene di fatto tradito l’impegno assunto con il milione di cittadini che nel 1996 firmarono la proposta per la legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e la loro restituzione alla collettività» si legge nella home page di Libera. «Il divieto di vendere questi beni è un principio che non può e non deve, salvo eccezioni, essere messo in discussione.... E’ un tragico errore vendere i beni correndo di fatto il rischio di restituirli alle organizzazioni criminali, capaci di mettere in campo ingegnosi sistemi di intermediari e prestanome e già pronte per riacquistarli, come ci risulta da molteplici segnali arrivati dai territori più esposti all’influenza dei clan. Facciamo un appello a tutte le forze politiche perché questo emendamento, che rischia di tradursi in un ulteriore “regalo” alle mafie, venga abolito nel passaggio alla Camera».
Come spiegano bene gli esperti di lavoce.info, la procedura di destinazione sociale dei beni confiscati è acrobatica e farraginosa: stabilire di passare alla vendita degli immobili se dopo 90 giorni non è avvenuta la destinazione sociale, significa aprirne la vendita praticamente per tutti.

Dopo la sentenza di confisca del bene, la gestione passa al Demanio dello Stato (che solo nel 2005 si è dotato di un database nazionale dove si può vedere lo status di ogni immobile) che lo assegna agli enti locali affinché, a loro volta, lo utilizzino per uffici pubblici o lo affidino alle associazioni non profit. L’iter si trascina per anni, perché il mafioso fa ricorso, maschera la proprietà tramite intestazioni fittizie, intralcia le procedure inventandosi ipoteche a catena. Oppure mette in casa un disabile che la polizia non può cacciare, come è accaduto a Bardonecchia, tempo fa, nella villa principesca di don Ciccio Mazzaferro. Finché l’edificio cade a pezzi e per gli enti pubblici diventa solo un peso economico.

Secondo Antonio Maruccia, commissario straordinario del governo per i beni confiscati, le procedure sono lente perché passano attraverso troppi soggetti e uffici. “Quando si esaurisce l’iter giudiziario” mi ha spiegato in una chiacchierata di qualche tempo fa “e il bene viene affidato al patrimonio dello stato, spesso presenta una serie di criticità: le ipoteche, per esempio, che riguardano metà di questi immobili. Altri sono occupati abusivamente, o confiscati pro quota, cioè parzialmente, e questo determina ovviamente una difficoltà nell’utilizzo. Non c’è un solo anello debole della catena, ma tanti: se fosse uno solo, l’intervento chirurgico su quell’anello basterebbe ad aggiustare l'intero sistema”.
Punto dolente, i tempi. “Per giungere alla destinazione del bene, che conclude l’iter” continua Maruccia “il procedimento amministrativo dovrebbe durare 20 giorni ma in realtà si trascina per un paio d’anni: occorre acquisire il parere del prefetto, quello dell’amministratore giudiziario, fare la stima, avere il parere del comune. Il tutto mentre le organizzazioni criminali frappongono ostacoli di carattere formale o giuridico, oppure intromettendosi nelle cause che vengono attivate in genere dai creditori, le banche”. A partire dalla data del sequestro, il commissario ammette che a volte passano, molto tranquillamente, anche dieci anni.

Don Ciotti e Libera, la scorsa primavera, chiedevano alle banche di mettersi una mano sulla coscienza e cancellare le ipoteche sui beni confiscati alle mafie, di modo da renderli finalmente disponibili per le finalità sociali. “Il problema è che spesso le banche, piuttosto che rinunciare ai loro crediti, li cedono a società di cartolarizzazione, quindi non è semplice fare delle transazioni. Noi verifichiamo su scala nazionale la buona fede dei creditori e, dove possibile, giungiamo a transazioni. Lavoriamo insieme alle Regioni e ai Comuni per trovare le risorse: dopo una lunga fase giudiziaria e altrettanto lunga fase amministrativa, il bene deve essere ristrutturato, e ci vogliono risorse”.

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