NOI, SIGNORE DELLA LEGGE A GOMORRA


foto di Gughi Fassino

Migliaia di processi. Ma giudici e pm sono sempre meno e i faldoni si accumulano nei garage. Benvenuti a Santa Maria Capua Vetere, roccaforte dei clan. Dove amministrare la giustizia è un’impresa eroica. E non solo per colpa della camorra.

Nel corridoio stretto un metro e venti facciamo a gomitate con gli avvocati in attesa, per riuscire a infilarci nell’ufficio di Anna Rita Motti, giudice del lavoro, che sospira e sorride fissando la scrivania di fronte, grandioso monumento di fascicoli: «Ecco la mia udienza di oggi». Una briciola, seppur voluminosa, tra le duemila cause che il magistrato dalle labbra rosse e gli orecchini vistosi deve sbrigare, possibilmente in fretta, in un territorio socialmente complicato e dentro un sistema giudiziario vicino all’esplosione.


Siamo a Santa Maria Capua Vetere, Campania, nel tribunale che copre l’intera provincia di Caserta (quasi un milione di abitanti) e sta nel baricentro del triangolo camorristico più movimentato: Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa, roccaforti del clan dei Casalesi che vengono processati proprio in queste aule presidiate giorno e notte dall’esercito.
Qualche giorno prima della nostra visita, il boss Francesco Schiavone, alias Sandokan, elargiva qui, in videoconferenza, uno show di rabbia contro questi giudici che avrebbero fatto impazzire sua moglie con le loro persecuzioni. Poco lontano, il 7 dicembre, finiva in manette il capo dei capi Michele Zagaria, latitante da 16 anni e scovato in un bunker a Casapesenna: comparirà in queste aule a febbraio.
Ma i giudici di Santa Maria, quel giorno, non hanno avuto un istante per festeggiare, soffocati dalle carte civili e penali e da un’emergenza cronica. È stata Anna Rita Motti, presidente della sezione locale dell’Associazione nazionale magistrati, a lanciare l’allarme scrivendo al Consiglio superiore della magistratura e al ministro della Giustizia: «Siamo pochi magistrati, sempre meno, a fronte di 90.532 procedimenti civili e 57.285 penali». oltre 147.800 in totale, compresi 26 maxiprocessi di camorra con decine di imputati ognuno.
Ma non c’è solo Gomorra: «Il possesso di armi è diffuso, qui anche un banale litigio tra vicini può sfociare in omicidio. Per non parlare della violenza domestica, dello stalking, degli omicidi passionali» spiega Ilaria Sasso del Verme, trentottenne pubblico ministero e segretario dell’Anm locale. «La nostra procura non si occupa di inchieste di camorra, che spettano alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli anche se i processi si celebrano qui. Ma tanti reati su cui indaghiamo si rivelano poi legati al crimine organizzato». E così al tribunale civile, dove molti fallimenti di aziende sono dovuti al peso del pizzo e i licenziamenti, oltre che dalla crisi, derivano da condanne per camorra.
Insomma, una terra in cui il terzo potere ha parecchio da fare, e dovrebbe lavorare senza affanno. Invece i ranghi si assottigliano ogni anno: dei 94 magistrati previsti ne mancano 21, mentre alla procura della Repubblica su 26 pubblici ministeri ce ne sono 21, di cui due prossimi al trasferimento.

Fuga di massa dal regno dei Casalesi? O terrore del troppo lavoro? Anna Rita Motti esclude la prima ipotesi, ma intanto nessun giudice sembra voler venire in questo tribunale, considerato "di passaggio" verso la più prestigiosa sede di Napoli: «Gli ultimi due bandi sono andati deserti, e il sistema arranca. Come possiamo cambiare questa terra, se nelle cause di invalidità dei veri malati, non quelli finti, la sentenza arriva quando loro sono già morti?».
Il Csm ha risposto al grido di aiuto mandando dieci magistrati di prima nomina, giudici ragazzini che non possono occuparsi delle cause più complesse. Dal ministero della Giustizia, invece, non un cenno. Forse perché il problema è nazionale, sebbene qui sia macroscopico: in Italia i magistrati dovrebbero essere 10.151, invece sono 8.795. Il 13 per cento in meno.
A Santa Maria Capua Vetere fanno i salti mortali soprattutto loro, i magistrati donne, che qui sono oltre la metà, superando la percentuale nazionale ferma al 45 per cento: alla sezione lavoro sono 10 su 13, al tribunale di sorveglianza 3 su 3, in procura 17 su 24. E devono accorciare la maternità perché, assente una, i mostruosi fascicoli cadono sulla testa delle altre. «Sono arrivata nel 2001 e ho trovato 18mila cause» ride Mariolina Gaudiano, 42 anni, giudice del lavoro in abito blu cobalto e unghie in tinta: lei quelle cause le ha ridotte a 2.500, nonostante la bambina e i tre gemelli partoriti nel frattempo. «Mi sono assentata lo stretto indispensabile. L’alternativa sarebbe stata rinviare cause al 2017...».

La pm Patrizia Dongiacomo, 39 anni, ha discusso l’ultimo processo in Corte d’Assise con il pancione ed è soprannominata "la signora omicidi": quando è lei il pm di turno, succede puntualmente un fatto di sangue. Era anche sul luogo del delitto a Castelvolturno, nell’estate del 2008, per un duplice assassinio che preludeva alla strage del 18 settembre in cui furono massacrati sei immigrati africani, oltre a un affiliato ai Casalesi.
Maria Chiara Francica invece, presidente di un collegio penale, ha celebrato il processo per la strage, infliggendo quattro ergastoli e una condanna a 23 anni: «Paura? Per ora non avverto pericolo, anche se da allora mi hanno messa sotto tutela».
Raffaella Capasso, 62 anni, è procuratore aggiunto e coordina un pool di sette pm donne. Prima, alla Dda di Napoli, si è occupata dei clan Moccia e Polverino; qui, ha ripulito il litorale sequestrando depuratori fantasma, altro business della camorra. «Ma tra poco diventerà impossibile lavorare, con questo organico esiguo. Dal '97, poi, non si fanno concorsi per cancellieri: che senso ha emettere un provvedimento quando non hai nessuno che lo spedisca?».
E se il tribunale penale è un vero tribunale, il civile è ripartito provvisoriamente su due condomini, con i garage convertiti in archivio: faldoni impolverati al posto delle auto e qua e là i cartelli "Attenzione, trappole per topi".

Joseph K, il protagonista del Processo di Kafka, avrebbe trovato familiare questo labirintico caos: anche il suo tribunale incomprensibile, già imploso, stava al quinto piano di un edificio qualsiasi.

da Io Donna, 21 gennaio 2012


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