CIE, GABBIE PER UOMINI



Per la prima volta, una troupe cinematografica è entrata nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione italiani per immigrati irregolari. Ne è nato il docu-fim EU 013 L'ultima frontiera, che racconta l'assurda brutalità di queste gabbie per uomini

“Qui il tempo non passa mai... L’acqua te la danno senza tappo, non so cosa devo farci con il tappo... L’accendino non lo puoi avere, devi comprare i fiammiferi, ma non è sempre fuoco?”.
Una donna con le unghie laccate di nero fuma accovacciata in un cortile sigillato da mura e sbarre alte, ponendosi domande da teatro dell’assurdo. Un uomo è a terra, in preda a un attacco di panico. Un altro chiede al compagno “qualcosa per dormire”, perché vuole evitare di pensare continuamente a suo figlio.
Sembrano panoramiche di un carcere, invece le immagini provengono da tre dei 13 Cie italiani, i Centri di identificazione ed espulsione per immigrati dove gli irregolari sono rinchiusi per un periodo che si spinge fino a 18 mesi. Una detenzione amministrativa che non prevede né processi né reati se non quello di clandestinità, che però sta per essere cancellato dal nostro Codice penale dopo lunghi e aspri dibattiti.

L’assurdità e la brutalità di queste strutture sono protagoniste del film EU 013 L’Ultima Frontiera, di Alessio Genovese e Raffaella Cosentino, presentato al Festival dei Popoli di Firenze e al Festival internazionale di Rotterdam, e ora in programmazione dal 24 al 26 febbraio al Nuovo Cinema Aquila di Roma e il 25 al Kinodromo di Bologna.
Un documento duro, violento nella sua crudezza, girato nei Cie di Ponte Galeria a Roma, di Bari e di Trapani per rivelare la natura di questi contenitori di esseri umani di cui s’è parlato molto alla fine dello scorso anno, con la rivolta delle “bocche cucite” dentro il Cie romano, ma presto scomparsi nel cono d’ombra delle cronache.
E’ la prima volta che una troupe cinematografica entra nei Cie: “Pochi sanno della loro esistenza” spiega la co-autrice Raffaella Cosentino, tra i promotori della campagna “LasciateCIEntrare” che chiede al governo la chiusura dei Cie. “Violano i diritti umani: i detenuti, chiamati eufemisticamente “ospiti”, sono lì non per qualcosa che hanno fatto, ma per ciò che sono. E questa è una logica da lager”.

Ferire la dignità umana per poi servire a poco: il sistema dei Cie costa parecchio allo Stato, senza però riuscire a contrastare l’immigrazione irregolare. “Le stime dell’associazione Lunaria parlano di una spesa di 55 milioni di euro l’anno” spiega Cosentino “ma nessuno conosce la cifra reale”. Ogni anno, circa ottomila immigrati vengono trattenuti nei Cie: l’uno per cento dei clandestini presenti in Italia, e meno della metà di loro, dopo questo limbo di mesi, è rimpatriata o espulsa. Agli altri viene consegnato un foglio di via per lasciare il Paese in sette giorni ma, una volta fuori dai Cie, i loro movimenti sono incontrollabili.
“Le situazioni sono le più varie” prosegue la co-autrice del film: “C’è chi ha scontato una pena in carcere e, in attesa del rimpatrio, viene rinchiuso nei Cie; chi ha perso i documenti; chi ha perso il lavoro e dunque anche il permesso di soggiorno; chi è cresciuto in Italia ma, in seguito a un reato, si ritrova qui”. Come un tunisino che si racconta nel documentario, in perfetto accento italiano: è venuto in Italia da piccolo con i genitori, l’Italia è il suo Paese, ma un giorno è stato messo su un volo per Tunisi, “un posto che non conosco e dove non ho nessuno” dice. “Sono tornato ed eccomi qui”.

Fra le donne, tante sono vittime di tratta: “A Ponte Galeria ci sono cinesi e nigeriane portate qui dopo le retate nei centri per massaggi, e intanto i loro sfruttatori restano liberi”. Raffaella Cosentino ricorda la storia di una minorenne marocchina cresciuta a Guidonia, che un giorno ha denunciato il padre per abusi sessuali ed è stata tolta dal suo passaporto, restando senza documenti. E’ stata fermata e spedita nel Cie di Ponte Galeria, “come fosse appena sbarcata in Italia: vi ha trascorso un mese e oltre, piangendo per tutto il tempo. Con le donne rinchiuse nei Cie è molto difficile dialogare: non si aprono, sono traumatizzate”.
Il film, nella prima parte, aiuta anche a capire i veri meccanismi dell’immigrazione irregolare nel nostro Paese, distruggendo molte false convinzioni. All’aeroporto romano di Fiumicino, una funzionaria di Polizia spiega ai colleghi: “Voi pensate che arrivino dai barconi attraverso il Mediterraneo, invece la maggior parte entra in Italia con un normale visto turistico. E una volta entrati, non li controlli più”. Mentre un agente che, al Porto di Ancona, controlla le persone che sbarcano da una nave arrivata dalla Grecia, ammette: “Le migrazioni sono sempre esistite, fanno parte della natura umana. Non esiste un sistema per fermare un flusso migratorio”.

da Io donna, 21 febbraio 2014

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