VIOLENZA SULLE DONNE IN EUROPA



Sessantadue milioni di donne in Europa (il 33 per cento della popolazione femminile) hanno subìto violenza. Oltre due terzi di loro non hanno denunciato l’aggressione più grave da parte del partner. E - sorpresa - il record degli abusi va ai Paesi dove i tassi di occupazione femminile risultano più elevati, facendo dunque immaginare una maggiore parità: Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda.




Sono i principali dati di una ricerca dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali, presentata ieri al Parlamento di Bruxelles che quest’anno dedica l’8 marzo alla prevenzione della violenza di genere. E il punto di partenza è proprio questa indagine a tutto campo durata tre anni, la più estesa mai condotta al mondo sul tema: 42mila intervistate tra i 18 e i 74 anni, 1.500 per Paese, scelte su base volontaria e sottoposte a colloqui privati faccia a faccia.
La mole dei dati, sintetizzati in una mappa interattiva al sito http://fra.europa.eu, servirà da base alle istituzioni europee per elaborare strategie più efficaci nella protezione delle vittime e promuovere, per le 186 milioni e 600mila donne che attualmente vivono nella Ue, un percorso di parità che non sia solo sulla carta. 

La violenza domestica
Per il 33 per cento delle europee che ha subito violenza fisica, psicologica o sessuale almeno una volta nella vita, nei due terzi dei casi l’aggressore era il partner. Scorrendo i dati dei singoli Paesi, scopriamo che la media Ue della violenza s’impenna alle latitudini che meno ci aspetteremmo, quelle con i tassi di occupazione femminile più alti e dove quindi verrebbe da pensare che la parità di genere poggi almeno su solide basi di indipendenza economica. Invece in cima alla classifica dei soprusi c’è la Danimarca, con un impressionante 52 per cento di vittime (e qui il 70 per cento delle donne lavora, contro il 58,5 per cento della media europea). Seguono la Finlandia con il 47 per cento, la Svezia con il 46 (qui l’occupazione femminile è al 71,8, la percentuale più alta d’Europa), l’Olanda con il 45, Francia e Regno Unito con il 44.

I dati italiani
L’Italia, dove meno della metà delle donne è coinvolta nella vita produttiva, sul versante della violenza di genere fa meglio della media Ue, con un 27 per cento di vittime (l’ultima indagine Istat http://www.istat.it/it/archivio/34552, nel 2006, diceva il 32) che la allinea con Bulgaria, Ungheria, Irlanda e Grecia. Gli Stati piu’ “virtuosi” sono Polonia e Austria, con il 19 e il 20 per cento. 
Ma perche’ i Paesi nordici registrano statistiche tanto impressionanti? “Le variabili sono molte” risponde Blanca Tapia, portavoce dell’Agenzia che ha condotto la ricerca. “In Danimarca le donne vanno in pensione anche oltre i 70 anni, dunque sono esposte piu’ a lungo agli abusi sul posto di lavoro. Inoltre abbiamo constatato una correlazione tra il consumo di alcol da parte degli autori della violenza e gli abusi subiti dalle donne, e sappiamo che in certi Paesi nordici gli uomini bevono molto. Potrebbe anche essere una questione di consapevolezza della violenza, molto profonda tra le donne danesi e svedesi, per esempio, e meno sviluppata in alcuni Stati del sud Europa”.



L’infanzia violata
E’ un altro dato allarmante, quello sulla pedofilia: 21 milioni di donne europee, il 12 per cento, hanno subìto un abuso sessuale da parte di un adulto prima dei 15 anni, e nella metà dei casi si trattava di amici di famiglia o parenti. La pedofilia risulta più diffusa in Olanda e Francia (dove il 20 per cento delle intervistate ha raccontato gli abusi), nel Regno Unito (18 per cento), in Svezia e Lussemburgo (15 per cento). L’Italia, come Finlandia e Spagna, è all’11 per cento, mentre in fondo alla triste classifica ci sono Portogallo e Bulgaria (3 per cento), Croazia (2) e Romania (1 per cento). Emerge infine che il 30 per cento di chi, da adulta, ha patito qualche forma di vittimizzazione da un partner, attuale o precedente, è anche stata sottoposta a molestie sessuali durante l’infanzia.

Le molestie sessuali e lo stupro
Baci forzati, abbracci-tenaglia, contatti fisici indesiderati: il 55 per cento delle europee ha dichiarato di aver subito una forma di molestia sessuale. Per un terzo di loro, l’avance non gradita è avvenuta sul lavoro, da parte di un superiore, di un collega o di un cliente. Ma il dato che più fa pensare è quello secondo cui la molestia è più ricorrente per le donne che svolgono professioni qualificate o ad alti livelli manageriali: tra loro, addirittura il 75 per cento si è trovato nella situazione di dover respingere un invito sessuale insistente.
Sono oltre 18 milioni le donne vittime di una qualsiasi forma di violenza sessuale (l’11 per cento della popolazione femminile europea), mentre il 5 per cento ha patito un vero e proprio stupro: quando il colpevole non era il partner, una su dieci ha rivelato che almeno in un caso si trattava di una violenza di gruppo. Nel 27 per cento dei casi la violenza si è consumata a casa della vittima, nel 18 per cento in un luogo pubblico come un parco, una piazza o un parcheggio, e nel 16 per cento a scuola o nel posto di lavoro.
Anche la diffusione della violenza sessuale vede al primo posto la Danimarca, ben oltre la media europea con il suo 19 per cento; subito dopo Olanda, Svezia, Finlandia, Francia. L’Italia è al 9 per cento, al pari di Repubblica Ceca, Malta, Ungheria, Austria. In coda, la Polonia con il 4 per cento.

Le conseguenze nel lungo periodo
L’inchiesta mostra con chiarezza che le ferite di un abuso restano indelebili nella vita di una donna, con profonde conseguenze a lungo termine soprattutto quando l’aggressore è l’uomo che si ama. Il 21 per cento delle vittime di violenza sessuale da parte del proprio compagno confida di aver sofferto di attacchi di panico; il 35 per cento ha dovuto affrontare il buco nero della depressione; il 43 per cento ha faticato a lungo a relazionarsi di nuovo con gli altri; il 41 per cento soffre di insonnia. Cicatrici che non si cancellano anche quando a colpire non è il partner, ma in misura inferiore. E che inibiscono le donne da una partecipazione piena alla vita economica, sociale e culturale.



Lo stalking
Il 18 per cento delle donne in Europa si sono trovate ad affrontare comportamenti persecutori: per una su dieci, lo stalker era l’ex e, per una su cinque, l’ossessione si è protratta per oltre due anni, tanto che il 23 per cento delle vittime ha dovuto cambiare numero di telefono e indirizzo email. Eppure solo un quarto delle vittime ha denunciato alla polizia perché “pensavo non avrebbero fatto nulla” risponde il 9 per cento; “avevo paura della reazione del mio aggressore” dice il 5 per cento; “per vergogna e imbarazzo” per un disarmante 3 per cento.
A risultare più perseguitate sono le svedesi (33 per cento), lussemburghesi (30), francesi (29) e maltesi (26). L’Italia, con il 18 per cento, è in linea con la media UE, mentre Lituania, Romania (entrambi l’8 per cento), Repubblica Ceca, Polonia e Portogallo (al 9 per cento) stanno agli ultimi posti.
Per l’11 per cento delle intervistate, i pericoli e i messaggi a esplicito sfondo sessuale sono arrivati sulla bacheca di Facebook, su Twitter o nella casella email. E il dato sul cyberstalking cresce al 20 per cento fra le giovani di 18-29 anni.

La percezione della violenza
Otto europee su dieci pensano che la violenza di genere sia comune, nel loro Paese. Il 39 per cento delle intervistate ha incontrato altre donne che hanno vissuto un abuso tra le mura domestiche: il dato complessivo è lo stesso in Italia, mentre in Finlandia addirittura il 56 per cento del campione ha incontrato la violenza tra amiche e conoscenti, in Francia il 52 per cento, in Lituania il 49. Eppure c’è ancora un 19 per cento di europee che non conosce i servizi di sostegno che esistono nel loro Paese. E le meno consapevoli, dopo estoni e bulgare, sono proprio le italiane.

Come agire?
“L’ entità enorme del problema evidenzia che la violenza contro le donne incide sulla società nel suo complesso”, dice il direttore dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum. “I responsabili politici, la società civile e gli operatori attivi in prima linea sono tenuti a rivedere le misure volte a contrastare tutte le forme di violenza contro le donne, ovunque esse avvengano”. 
Le prime proposte avanzate ieri riguardano ovviamente la ratifica della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011 per la prevenzione e la lotta contro la violenza di genere (ratificata solo da Austria, Italia e Portogallo e firmata da altri 17 Stati europei), oltre all’invito a tutte le istituzioni comunitarie a considerare finalmente la violenza inflitta da un partner come una questione d’interesse pubblico e non privato. “La legislazione di tutti gli Stati membri della Ue dovrebbe trattare lo stupro all’interno del matrimonio allo stesso modo degli altri episodi di stupro” avvertono i curatori della ricerca “e contrastare la violenza domestica tenendo conto che si tratta di una questione che preoccupa seriamente l’opinione pubblica”.
Necessaria, poi, la formazione di forze dell’ordine, operatori sanitari, datori di lavoro e servizi specialistici di sostegno alle vittime, che devono essere adeguatamente finanziati.

Resta il quesito su quanta efficacia possano avere delle misure istituzionali nello sradicare un fenomeno che è, prima di tutto, un grumo culturale da sciogliere. E, per lo stesso motivo, lascia dei dubbi anche questo mastodontico tentativo di censire un universo tanto delicato e sfaccettato come la violenza di genere utilizzando criteri identici dalla Svezia a Malta, dalla Polonia alla Grecia. Ma e’ comunque un primo passo, nell’Europa a 28, verso la comprensione del fenomeno.

da Io donna, 5 marzo 2014

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