LEA, MIA SORELLA
Il 3 maggio, per la prima volta in oltre quattro anni, il tragico coraggio della testimone di giustizia Lea Garofalo sarà commemorato nel suo paese natale, Petilia Policastro, in provincia di Crotone. La sorella Marisa apre il suo album dei ricordi. E racconta perché è rimasta a vivere qui, nonostante tutto.
Un volto
sereno su uno sfondo blu mare puntellato di conchiglie: Lea Garofalo è qui, nel
ritratto ad acquerello che la sorella Marisa ha sistemato sotto la finestra in
soggiorno. Accanto, ancora Lea in una foto con la figlia in braccio, il sorriso
luminoso identico a quello di Marisa, quando lei riesce ancora a concedersene
uno.
Siamo a
Petilia Policastro, un paese in provincia di Crotone che si arrampica verso il
massiccio della Sila, nella casa di Marisa Garofalo avvolta nel verde e nel
silenzio. Lei rientra dalla consueta corsa mattutina: “Mi aiuta a dimenticare
le notti insonni”.
Questa signora di 48 anni è l’unica superstite di una famiglia travolta dalla furia della ‘ndrangheta: il padre e il fratello uccisi nella faida con una cosca rivale; la madre che si è spenta dopo l’ultima ferita, la morte della figlia minore Lea.
Si era legata a un uomo di
‘ndrangheta, seguendolo a Milano, ma un giorno ha detto basta: ha denunciato
lui e il proprio fratello, diventando una testimone di giustizia. Il 24 novembre
2009 è scomparsa. Aveva 35 anni. Solo nel 2012 i suoi resti carbonizzati
affiorano in un campo della Brianza. I 4 assassini, tra cui il compagno Carlo
Cosco, sono all’ergastolo anche grazie alle testimonianze di Marisa e della
figlia di Lea, Denise, che oggi ha 23 anni e vive sotto protezione in una
località segreta. Marisa invece è rimasta a Petilia: partecipa a iniziative
antimafia in tutta Italia, camminando a testa alta in un paese dove a molti non
piacciono le sue parole contro la mentalità mafiosa.Questa signora di 48 anni è l’unica superstite di una famiglia travolta dalla furia della ‘ndrangheta: il padre e il fratello uccisi nella faida con una cosca rivale; la madre che si è spenta dopo l’ultima ferita, la morte della figlia minore Lea.
Si sente in pericolo qui?
Mi
preoccupo soprattutto per i miei figli: secondo un pentito, Cosco voleva
uccidere il mio unico figlio maschio per punire me. Ma quei criminali oggi sono
in carcere, mio figlio studia fuori e io non voglio più avere paura.
Com’è la sua quotidianità, dopo la tragedia di sua
sorella?
Io non ho più una vita quotidiana. Non esiste il Natale, i
compleanni, niente. Nel 2012 ho perso anche mia madre che, per il dolore, ha
interrotto le cure lasciandosi morire. Ma ho 3 figli, la minore di soli 13
anni, e un nipotino di 5: mi sforzo di sorridere per loro, talvolta mi fingo
allegra. Il problema è la notte, quando i pensieri mi tengono sveglia. Attendo
la mattina per sfogarmi correndo, il pomeriggio lavoro in uno studio medico. E
sono felice quando mi invitano a commemorare il coraggio di Lea.
Com’è stato crescere in un ambiente di faide
mafiose?
Quando nostro padre è stato ucciso, io avevo 8 anni e Lea
8 mesi. Mia madre era riservata e severa, e quando mio fratello è cresciuto
sono iniziati altri problemi. L’unica via d’uscita era andare a scuola e
sposarmi presto, a 19 anni, con un uomo estraneo alla mafia. Con mio fratello,
assassinato nel 2005, avevo rotto i ponti. Anche Lea s’è allontanata facendo la
“fuitina” a 16 anni, ma con l’uomo sbagliato.
Lei temeva che Cosco avrebbe fatto del male a Lea?
Da
subito. Le prometteva che a Milano avrebbe cambiato vita, invece la picchiava
sempre: Lea capì che si era messo con lei solo per avvicinarsi a nostro
fratello. Quell’uomo aveva troppa rabbia negli occhi: “Vuole vederti morta”, la
misi in guardia. E la sera in cui mia nipote mi chiamò angosciata perché non
trovava sua madre, dissi subito: “L’hanno fatta sparire”.
Nel 2002 sua sorella aveva denunciato. Come glielo
disse?
I carabinieri mi misero in contatto con lei, che mi disse
solo: “Non preoccuparti, sto bene”. Non rivelò che aveva denunciato, ma lo
intuii. Fu spostata da un luogo all’altro e nel 2006 le tolsero la protezione
perché non ritenevano significative le sue dichiarazioni. Invece, a 4 anni
dalla sua morte, grazie a lei sono state arrestate 17 persone.
Perché all’inizio non è stata creduta?
Era la
prima volta, in Calabria, che una donna di una certa famiglia denunciava. Lea è
stata d’esempio per altre che poi si sono ribellate alla ‘ndrangheta, come
Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce. E mi fa rabbia che lo Stato l’abbia
abbandonata: quando le hanno tolto la protezione, lei ha fatto ricorso ed è
stata riammessa, ma faticava a vivere. Nessuno l’ha aiutata. Ha dovuto morire
per diventare un simbolo antimafia.
Che rapporti ha con Denise?
Ha
abitato da me ma io le proibivo di vedere il suo ragazzo: sapevo che era un
uomo dei Cosco, e infatti poi ha confessato, pentendosi. Ma Denise allora non
mi credeva e tornò dal padre, finché decise di testimoniare contro di lui. Ora
che vive sotto protezione non la vedo da un anno e sono preoccupata: ha
sofferto di anoressia, la immagino molto sola. Vorrei che andasse all’estero: è
forte come sua madre e deve sapere che sua zia la ama e sarà sempre con lei.
Qual è il ricordo più bello che conserva di Lea?
La sua
risata coinvolgente. Al diciottesimo compleanno di mio figlio, qui a casa, lei
si divertiva, ballava... 5 mesi dopo sarebbe stata uccisa.
Cosa sognava per il suo futuro?
Di
strappare la figlia all’ambiente mafioso e andarsene in Australia. Era uno
spirito libero, Cosco non lo tollerava e lei lo lasciò, subendo una lunga serie
di persecuzioni. Per un mafioso, è inaccettabile che una donna gli dica “non ti
voglio più”.
Il 3 maggio, per la prima volta, Lea sarà
commemorata a Petilia. Perché il paese ha atteso tanto tempo?
Qualcuno
è stato solidale con me, ma qui la gente
non vuole far capire alla ‘ndrangheta da che parte sta e quindi non si
espone: una volta ho organizzato una fiaccolata, eravamo pochi. Nemmeno i
sacerdoti sono scesi in piazza. Il sindaco ce la sta mettendo tutta per
coinvolgere il paese, il 3 maggio, e io spero che il giorno dopo la gente non
torni a farsi gli affari propri. E’ importante parlare di Lea perché il suo
coraggio insegna ai nostri figli che la cultura mafiosa si può combattere.
da Donna Moderna, 17 aprile 2014
L'articolo, come TUTTI i contenuti di questo sito, è di esclusiva proprietà dell'autrice. Ne è quindi vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo, senza chiedere preventivamente l'autorizzazione a Emanuela Zuccalà. E' invece benvenuta la citazione su altri siti e social network, purché contenga il link a questo sito.
L'articolo, come TUTTI i contenuti di questo sito, è di esclusiva proprietà dell'autrice. Ne è quindi vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo, senza chiedere preventivamente l'autorizzazione a Emanuela Zuccalà. E' invece benvenuta la citazione su altri siti e social network, purché contenga il link a questo sito.
Commenti
Posta un commento