QUANDO TINA DUETTAVA CON JANIS

Foto Amalie R. Rothschild
Dal festival di Newport a Tanglewood, da Woodstock all’isola di Wight, fino alle performance musicali dalle scenografie psichedeliche che animavano il mitico Fillmore East di New York, al numero 105 della second Avenue. È un viaggio nella rivoluzione rock di fine anni Sessanta, la mostra fotografica di Amalie R. Rothschild inaugurata a Pontassieve, in Toscana. Da tempo è la regione d’adozione di quest’artista americana originaria di Baltimora che dal ’68 al ’71 fu la fotografa “unofficial” del Fillmore di Bill Graham, dove ritrasse tanti dei più grandi musicisti che segnarono la storia del rock e non solo: Janis Joplin, Tina Turner, Miles Davis, Bob Dylan, Santana, Frank Zappa, Jimi Hendrix, Joni Mitchel, Allman Brothers Band...
“A Zappa dava fastidio il mio flash, mentre gli Allman Brothers li fotografo ancora, quando suonano in qualche club di New York” ci racconta Amalie R. Rothschild, che per gran parte della sua carriera s’è poi dedicata al cinema e oggi, a 70 anni, vive tra Manhattan e Firenze, la città del marito editore Angelo Pontecorboli, che ha appena pubblicato il suo libro fotografico Amalie R. Rothschild, A Photo Collection. Una retrospettiva emozionante che riesce a tenersi lontana dalle operazioni nostalgia e a proporsi come un’avvincente documentazione storica su un periodo in cui dalla musica scaturiva autentica innovazione.

Amalie, come ha iniziato a frequentare il Fillmore East?
Studiavo cinema alla New York University ed ero l’unica donna del mio corso interessata alle attrezzature tecnologiche. Così, nell’aprile del ’68, quando ci offrirono la possibilità di andare dai tecnici del Fillmore per vedere come funzionavano i mixer e le luci, fui la prima ad alzare la mano. Scattare foto ai concerti fu una conseguenza naturale. Un anno dopo entrai nello staff del light show. Ricordo che mi pagavano 50 dollari la settimana, ero felicissima.
Le scenografie di luci del Fillmore erano pioneristiche.
Il “Joshua Light Show” era autentica arte: una troupe di artisti visivi che suonavano con la luce insieme ai musicisti. Poi c’erano band che preferivano un fondo nero, come Crosby, Stills e Nash, e quelle che portavano i propri tecnici, come i Jefferson Airplane. Ma fino alla chiusura del Fillmore, nel giugno del 1971, il light show psichedelico s’impose come il marchio di fabbrica del teatro.
Cosa aveva di così speciale questo vecchio teatro yiddish?
Al di là dei grandi nomi che ci suonavano, era un laboratorio di innovazione tecnologica per tutta la musica rock. Là dentro è stato inventato di tutto: dalle cose più semplici, come cuffie e microfoni per far comunicare il personale, alle piattaforme mobili per cambiare rapidamente gli strumenti sul palco, fino al mixer con gli sliders che sostituivano le rotelle, permettendo molta più versatilità.
Eppure è durato poco, solo tre anni.
Il Fillmore aveva 2.632 posti: un posto intimo, rispetto ai grandi stadi di oggi. E fu proprio in quel periodo, da Woodstock in poi, che i musicisti capirono che potevano guadagnare di più suonando meno e davanti a platee più ampie, così la musica live cominciò a spostarsi in spazi ben più capienti.
Lei frequentava i musicisti?
Poco. Non volevo diventare una groupie, e in quell’ambiente molto maschilista dovevo alzare le difese. Preferivo fotografare, stare nell’ombra. Però feci amicizia con Bob Dylan, che non ha mai suonato al Fillmore ma veniva a sentire altre band da dietro le quinte. Una foto che gli avevo scattato all’isola di Wight nel ‘69 era diventata una copertina di Rolling Stone, così lui mi chiese di vederne altre. Ogni tanto mi incontrava per l’East Village con le borse della spesa e mi offriva un passaggio in auto. Una volta insistette per vedere il film femminista che avevo appena girato sull’artista May Wilson, vincitore di vari premi: nel suo studio aveva un proiettore senza audio e mi chiese di recitargli ad alta voce tutto il sonoro del film. Fu un momento surreale. Lui in quel periodo stava lavorando al suo documentario Eat the Document, veramente un film terribile. Un tipo strano: non era facile comunicare con lui.
C’è una foto che ha scattato all’epoca alla quale è più affezionata?
Quella di Tina Turner e Janis Joplin che cantano insieme al Madison Square Garden, il 27 novembre del ’69, in apertura di un concerto dei Rolling Stones. Era il giorno del Ringraziamento e, come ogni anno, Bill Graham aveva organizzato un grande pranzo per il personale al Fillmore: Janis Joplin era a New York e partecipò. La sera andammo tutti al Madison, a sentire i Rolling e Ike & Tina Turner che facevano da gruppo spalla. Janis sedeva nel pubblico accanto a noi, Tina la notò e la invitò a salire sul palco. Fu un momento emozionante, e la cosa buffa è che nessuno ricorda quale brano cantarono insieme: il concerto fu filmato, ma misteriosamente sparì proprio l’audio di quella canzone.
E il concerto più memorabile?
Tanti. Tutti quelli dei Grateful Dead direi, oltre a Jimi Hendrix il 31 dicembre 1969 eail concerto di chiusura del Fillmore, il 27 giugno 1971, che riunì praticamente tutti i gruppi che ne avevano scritto la storia.
Un suo progetto ancora nel cassetto?
Che domanda! Realizzare un documentario sul Fillmore East.


La mostra fotografica di Amalie R. Rothschild sarà aperta fino a domenica 26 luglio, e poi dal 29 agosto al 26 settembre, presso la sala delle Colonne del Palazzo Comunale di Pontassieve (FI).
Orari:
Martedì, giovedì, venerdì e domenica dalle 16 alle 19
Mercoledì e sabato dalle 9 alle 12
Lunedì chiuso
Ingresso libero
Per informazioni: Comune di Pontassieve, tel. 055/8360343-344, cultura@comune.pontassieve.fi.it

 
da Io donna

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