ROMENE DI SUCEAVA

















Alexandra e sua madre Lena hanno gli stessi occhi scurissimi e il naso imponente ma due esistenze agli antipodi. Lena era ragazza nella Romania di Ceausescu, nata e vissuta sempre qui a Suceava, una città di sali-scendi nella Moldavia settentrionale a una manciata di chilometri dal punto terminale dell’Europa, il confine con l’Ucraina.
Lena ha 45 anni, tre figli, un marito operaio in un’azienda di legname, tra le poche sopravvissute alla chiusura massiccia delle fabbriche di Suceava subito dopo il crollo del regime, e con loro finiva pure la “sindrome di Suceava”, i bambini nati senza mani o affetti da misteriose follie per colpa delle emissioni tossiche delle cartiere, delle fabbriche di fibre sintetiche, di quelle che trasformavano il legno.
È curioso: persino le guide turistiche, non sapendo che scrivere di questo posto nato dall’urbanizzazione forzata di Ceausescu, citano la sindrome come segno distintivo della storia del luogo e intanto consigliano di fermarsi qui il tempo necessario a organizzare una gita ai magnifici monasteri dipinti della Bucovina. Un paio d’ore, insomma.


Lena fa l’assistente sociale da più di 25 anni, e non vede l’ora di andare in pensione per godersi il suo pezzetto di terra in un villaggio a quattro chilometri dai bloc cittadini. È rimasta orfana a 16 anni, ha cresciuto i suoi fratelli e ha potuto studiare grazie alla sua bravura nelle arti marziali: “Vincevo tanti campionati insieme a mio fratello” racconta “così abbiamo ricevuto una borsa di studio e delle razioni di cibo supplementari. Qualcosa di buono c’era, nel comunismo”.
Si occupa di disagio infantile, è una donna dolcissima, e confessa che ogni tanto cerca un doppio lavoro perché non ce la fa, “qui un dipendente pubblico guadagna 200 euro, se va bene”. La scorsa estate ha dedicato tutto il suo tempo libero a portare aiuto ai bambini sfollati dopo la piena del fiume Suceava, che oggi pare solo un inutile rigagnolo. Per un mese, Lena ha dormito tre ore a notte e sua figlia dice che, dopo quella volta, le hanno diagnosticato una sindrome post traumatica da stress. Adesso sorride, risolve imprevisti, sgambetta nel suo cappotto di panno scuro.

Alexandra ha 24 anni, è laureata in legge, parla ottimamente francese e inglese, ha studiato a Nizza e non vuole andarsene da qui. Il mese prossimo sosterrà l’esame per diventare giudice: “I giudici qui guadagnano tantissimo, 1500 euro al mese” informa “sarebbe un sogno arrivarci”.
Un sogno. Al confine d’Europa i sogni sono ancora così: basilari, appassionati e di una semplicità disarmante, come erano quelli dei nostri genitori, o meglio dei nostri nonni.
Una ragazza carina, con una gonna leggera inadatta ai meno due gradi di oggi e al vento furioso, gli stivali di stoffa imbrattati dal fango di una città con strade e marciapiedi fatiscenti, adesso è felice per avermi fatto da traduttrice e programma la sua vacanza italiana.
“Solo vacanza, non ci resterei, da voi” sorride. “Pensate che siamo tutti uguali, noi romeni con i rom, i romeni criminali e quelli onesti, normali. Proprio non vi capisco”.

Neanch’io in effetti, Alexandra. “Anche se ci sono tante cose che non sopporto della mia gente” continua. “Spesso, qualsiasi cosa facciano per te, anche se si tratta di impiegati di uffici pubblici o di negozianti che svolgono semplicemente il loro lavoro, sembra che ti stiano facendo un favore dopo che hai chiesto un’elemosina. La gente è scortese, negligente. Ancora non ha imparato cosa significa essere europei”.
Anche noi, Alexandra, facciamo una certa confusione, te lo assicuro.

L’aeroporto di Suceava è stato chiuso per nebbia.
Vado a Bucarest in treno.
Un treno notturno, 8 ore da Suceava alla capitale, e l'alba è livida quando ci si avvicina lenti alla stazione della capitale.
Bucarest, in fondo, è già Europa. In Moldavia persino il paesaggio sembra non capire che cosa sia cambiato esattamente dopo il 1989, figuriamoci dopo il 2007.

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Commenti

  1. Siamo immersi in una specie di follia collettiva. Mi riesce difficile evitare di pensare al futuro senza immaginare peggioramenti. Volevo comunque dire che il tuo articolo è molto ben scritto, complimenti.

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  2. Grazie dei complimenti. Erano solo appunti su due donne che non dimenticherò per la loro gentilezza incondizionata, rettitudine, l'entusiasmo semplice di trascorrere qualche giorno con una giornalista italiana.
    Io non credo sia follia collettiva, caro Anonimo. E' solo la filosofia di un partito politico che milioni di italiani hanno votato. E dunque siamo noi. Triste ma lampante.

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  3. ma a suceava sono zingari o sono rumeni? e molto importante saperlograzie

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  4. in Romania ci vivono i romeni (con la o). alcuni sono di etnia rom. la parola zingaro è dispregiativa, come negro: meglio non usarla

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