A CASA DI MIRCEA CARTARESCU
PERCHÉ AMIAMO LE DONNE di Mircea Cartarescu
Voland, 153 pagine, 13 euro
È un vero peccato che il nome e il volto vagamente luciferino di Mircea Cartarescu non dicano granché ai lettori italiani. Primo, perché è considerato il più importante scrittore contemporaneo di un Paese, la Romania, che ultimamente guardiamo solo attraverso la lente deformata dei suoi cattivi emigranti, e invece sa produrre intellettuali raffinati come lui (per capirci: è paragonato a Borges, Kafka, Kundera). Secondo, perché dietro lo sguardo di tenebra in pendant con i terrificanti deliri gotici dei suoi libri, c’è un uomo piacevole e ironico, che con sollecitudine serve caffè e biscotti nel suo salotto bianco in una villetta a schiera dentro la foresta di Baneasa, sobborgo bene di una Bucarest che qui finalmente si sveste del suo grigiore. Infine, perché l’11 giugno esce in Italia un suo anomalo e delizioso lavoro, una raccolta di racconti al femminile costruiti su emozioni sottili, nostalgie e complicati erotismi, che abbiamo letto in anteprima.
Perché amiamo le donne, edito da Voland, è tutt’altro rispetto alla trilogia monumentale e visionaria con cui il 53enne Cartarescu ha sedotto la critica (Orbitor: Voland ha pubblicato da noi il primo volume con il titolo Abbacinante).
Ma, casi della vita, è con questi ritratti di signore che l’autore ha conquistato il grande pubblico: in Romania il libro ha stazionato due anni ai primi posti in classifica, «davanti a Dan Brown e Paulo Coelho» sorride lui, tuttora stupito. «Pensare che non doveva neanche essere un libro».
In che senso, scusi?
«Una rivista femminile mi aveva invitato a scrivere una serie di articoli sulle donne, e io proprio non riuscivo a immaginare come sarebbero apparse le mie storie in mezzo a pagine di moda e bellezza. Finché l’idea ha cominciato a stuzzicarmi: era l’occasione di scrivere cose lievi, divertenti, senza rinunciare alla qualità. Le lettrici hanno gradito. Qualche tempo dopo è nato il libro».
La ragazza che comunica attraverso i sogni. L’amante dell’università che diventa un’agente della Securitate. La “contessa” piena di piercing che s’infila nel suo letto durante uno stage di poesia in Irlanda. Tutte sue ex?
(Ride.) «Hanno scritto che questo libro è l’agenda erotica di Mircea Cartarescu, ma non è vero. Sono donne vere, inventate, viste in tv e nella pubblicità. Vita e fantasia che si intrecciano».
Sua moglie come ha reagito?
(Ioana Nicolaie, bella, vent’anni meno di lui, autrice di libri per bambini, è appena uscita per prendere a scuola il loro figlio di sette anni.) «Sa bene che dietro ognuna di queste donne c’è lei. Sa anche che non è un libro sulle donne, bensì sul femminile dentro di me».
Quando uscì la sua novella Travesti, libro cult per un’intera generazione di adolescenti romeni, le hanno dato dell’icona gay...
«Sì, un bell’equivoco. Travesti parla di un ragazzo cresciuto come una bambina, finché un’aggressione omosessuale gli apre gli occhi sul passato. È stato inserito in varie antologie gay. Un vostro giornale lo definì “piccola bibbia gay” (lo dice in italiano). Ma io non sono omosessuale. Sono androgino, doppio. Come qualsiasi essere umano».
È stato spesso in Italia; Torino e Bellagio sono fra gli scenari di Orbitor. Cosa pensa della paura degli italiani verso gli immigrati romeni?
«Singoli casi di cronaca nera - gravissimi, che reclamano punizioni severe - sono stati sfruttati dalla vostra politica per i suoi fini, provocando un’ondata di odio e razzismo che per noi romeni è un’autentica tragedia».
Perché?
«Abbiamo sempre considerato gli italiani come i nostri parenti ricchi. E adesso nutriamo un senso di colpa quando viaggiamo nel vostro Paese: ognuno di noi si sente Mailat, il romeno che ha selvaggiamente ucciso una donna a Roma nel 2007. I nostri giornali enfatizzano i modi diversi con cui Italia e Spagna trattano i romeni: in Spagna sono emigrati circa un milione e mezzo di miei connazionali, compresi i parenti di mia moglie, eppure là non esiste un problema romeno. E gran parte del lavoro nero è stato legalizzato».
Lei stesso, però, ha definito la sua gente “poco istruita” e “campioni di sopravvivenza”.
«In Romania siamo passati dalla dittatura di Ceausescu a una libertà che tanti non hanno compreso, scambiando la democrazia per anarchia. Il sistema dell’istruzione, durante il comunismo e dopo, non è stato capace di impartire un’educazione morale. Intanto il regime aveva sradicato i contadini dai villaggi per lavorare nelle fabbriche in città: gente - soprattutto in Moldavia e nel Sud, la Transilvania è più civilizzata - che ha perso i valori e la dimensione comunitaria, trasformandosi in massa. Un popolo tuttora in crisi di identità. Ora hanno preso piede il capitalismo selvaggio e la cultura kitsch della strada: i giovani disprezzano filosofi e scienziati, il loro modello è chi fa soldi in fretta, non importa come. Ci manca il senso di appartenenza a una comunità: ecco perché domina la corruzione a tutti i livelli».
Qualcosa di positivo, dei romeni, che gli italiani dovrebbero sapere?
«La maggioranza è gente onesta, abituata a lavorare sodo. E anche noi abbiamo un’élite culturale, una upper class molto istruita che varrebbe la pena conoscere, così saremmo liberati dalla croce della nostra cattiva reputazione».
Lei ha insegnato ad Amsterdam e viaggiato molto per l’Europa. Mai stato bersaglio di pregiudizi?
«No, negli ambienti accademici non importa a nessuno da dove vieni, per fortuna. Solo l’anno scorso, al Festival della letteratura di Mantova, una deliziosa signora italiana mi ha rivolto uno strano quesito».
Che cosa le ha chiesto?
«Perché mai i romeni abbiano l’abitudine di camminare a piedi nudi».
Io donna, 30 maggio 2009
foto di Michele Borzoni www.terraproject.net
M.Cartarescu è il simbolo di quell'élite di cui ne è povero il nostro paese, la Romania, nonstante la gente onesta. sono fiera di appartenere ad una nazione come la Romania e fiera di essere rappresentata, all'estero, da una persona di così alti livelli come M.Cartarescu. distinti saluti !
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