SOLDATINI DI PIOMBO



Foto di Alfredo Falvo / Contrasto

 
Sarà una coincidenza che anche Le Nouvel Observateur di questa settimana si sia occupato dei bambini soldato del Nord Kivu, in Congo? Probabilmente no, anche se quella del Congo orientale è la guerra dimenticata per antonomasia.
I caschi blu dell'Onu stanno disarmando parecchi minorenni, in questi mesi. E i centri d'accoglienza di Goma e dintorni strabordano di questi piccoli miliziani disorientati che non sapranno mai cosa sia l'infanzia.
Il mio reportage esce sabato 20 giugno su Io Donna. Intanto, la storia di Joseph.

UN VISO TONDO CHE SEMBRA DIPINTO, occhi allungati, jeans sporchi di terra e troppo grandi per lui. Joseph ha 10 anni ed è già stato schiavo, soldato e assassino.
Un anno fa, le milizie ribelli degli interahamwe – gli hutu rwandesi fuggiti nell’est del Congo dopo il genocidio del 1994, del quale era stati i principali autori – gli hanno trucidato genitori e fratelli davanti agli occhi. Joseph è stato accolto da una famiglia “di ricchi” dice lui, che lo hanno messo a lavorare, da schiavo, nel loro campo di riso. Ma era sempre meglio che morire di fame nella sua capanna omai svuotata.

“Un giorno gli interahamwe sono tornati” racconta “hanno saccheggiato la casa dei ricchi e li hanno uccisi. Io ero al campo e non mi sono accorto di nulla. Li ho visti arrivare da lontano, non mi sono mosso, avevo troppa paura. Mi hanno preso e mi hanno portato nella foresta. All’inizio mi hanno fatto fare piccoli lavori per loro: cucinare, lavare. Poi mi hanno messo in mano un fucile”.
Eric ha imparato a sparare e a uccidere. Dalle seconde linee, quelle dei soldatini di piombo come lui. Finché è riuscito a fuggire, i caschi blu della Monuc lo hanno trovato cencioso per strada e lo hanno portato al centro Cajed di Goma, insieme ad altri 250 vecchissimi ragazzi con il peso della guerra sulle spalle.
Joseph è il più piccolo. Mi racconta che fa sempre brutti sogni, che vorrebbe tanto tornare a casa dalla zia, l’unico affetto che gli è rimasto, ma nessuno sa dove sia fuggita dopo i saccheggi e gli orrori al villaggio. Vuole anche andare a scuola, Joseph, e da grande farà il pasticcere: “Sono bravo. Faccio torte, beignet, creme. Le preparavo anche per i colonnelli”.
Ora che si sta facendo buio, va dagli altri ragazzi a guardare la televisione sotto la tettoia del cortile. Danno un programma musicale. I ragazzi ridono, mangiano in piedi, con le mani, piattoni di patate, carne e riso, e intanto ballano. Joseph fa ridere tutti con i suoi passi di danza veloci e le sue piroette.
Mi saluta agitando la manina, con il sorriso luminoso di un bambino qualsiasi.

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