GLI SPETTRI DI TOUL SLENG
Toul Sleng cade a pezzi. Odora di sporco umido vecchio. Riesce ad assalirti dell’angoscia che deve. Ti fa guardare dai morti dritto negli occhi. Regala un senso di svenimento. Fa il suo dovere: rende la memoria sensazione, la plasma in un disgusto fisico che ti rimane addosso.
Non c’è retorica, a Toul Sleng. Nessuna sbavatura. Essenziale e diretto, com’è il carattere dei cambogiani.
Il museo del genocidio cambogiano sta appena a sud del centro di Phnom Penh, superata una stradina dove un uomo lava l’auto e un altro, anziano, siede con sguardo allucinato fuori dalla porta, sotto la pioggia calma del tardo pomeriggio, solo un telo rosso a coprirgli le gambe. Il complesso di quattro edifici squadrati e biancastri era una scuola superiore. Si chiamava Toul Svay Prey. Nel 1975 l’Angkar (così Pol Pot definiva il suo regime, “l’organizzazione”) la trasforma nella prigione S-21, dove interrogare e torturare gli oppositori del folle comunismo rurale. 10.499 prigionieri documentati, oltre a duemila bambini. Le stime però contano 17 mila vittime.
Continua a leggere la storia nel libro Donne che vorresti conoscere, Infinito Edizioni, in uscita a novembre 2014.
...è stupefacente come riesci a saltare da Auschwitz a Choeung Ek in piena agilità e rivelare la meschinità umana a tutte le latitudini.
RispondiEliminacaro anonimo, tu si che mi conosci...
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