IL PITTORE DI POL POT


A CAMBODIAN PRISON PORTRAIT di Vann Nath
White Lotus, 118 pagine, 21 dollari


“Ho sentito un misto di dolore e sollievo. Ero contento che Pol Pot fosse morto perché ora tutti i cambogiani nel mondo, compreso me, sapevano chiaramente che il padrone più sanguinario era scomparso per sempre dalla faccia della terra. Dev’esserci davvero un karma, ho pensato. Ecco l’uomo che aveva detenuto il potere supremo in Cambogia, rispettato come un dio dai suoi seguaci, e ora era morto in solitudine in mezzo alla giungla. Il corpo avvolto in un telo pesante, bruciato come un animale. Senza monaci a benedirlo.
Allo stesso tempo mi ha scosso un intenso dolore. Ho realizzato che non avrei mai soddisfatto il mio persistente desiderio di vedere Pol Pot sul banco degli imputati, affrontando una corte e rispondere dei suoi crimini. Come sarebbe apparso, in piedi davanti a un tribunale? Avrebbe sorriso con sicurezza o avrebbe tremato, pallido? Si sarebbe inventato delle scuse, degli alibi, o avrebbe confessato? Ora nessuno di questi scenari si sarebbe mai avverato”.

Il pittore cambogiano Vann Nath ha scritto questo libro nel 1998, poco dopo la morte di Pol Pot.
Ed è un peccato che la sua testimonianza non sia stata tradotta in italiano. I suoi dodici mesi nel lager di Toul Sleng, la Auschwitz cambogiana: sette sopravvissuti su 14 mila prigionieri, e lui che si è salvato perché sapeva dipingere e servivano artisti che riproducessero le immagini del “fratello numero uno”.
Vann Nath, che oggi ha 63 anni, non ha potuto vedere il dittatore sul banco degli imputati. Però ha visto Duch, il direttore della prigione di Toul Sleng, l’unico fra i khmer rossi finora inchiodato alla sbarra. Il pittore era fra i testimoni, qualche mese fa, davanti alla corte istituita a Phnom Penh dopo annose polemiche e reticenze del governo cambogiano (l’attuale premier, Hun Sen, era un uomo di Pol Pot, poi riciclatosi come ministro degli Esteri durante l’invasione vietnamita).
“Ho perso la mia dignità” ha detto Vann Nath alla corte, ripercorrendo la sua prigionia così come la racconta nel libro: l’arresto il 30 dicembre del 1977 nella provincia di Battambang, accusato di attività controrivoluzionarie. L’ingresso a Toul Sleng, incappucciato e legato, il 7 gennaio 1978. L’agonia. La fame vera: tre cucchiaini di minestra al giorno, e divorare insetti per placare i dolori allo stomaco.
Nel 2010 si attendono altri processi a ex gerarchi khmer rossi: Khieu Samphan, 77 anni, che era capo di Stato; Ieng Sary, 83 anni, ministro degli Esteri; Ieng Thirith, 76 anni, moglie di Sary e ministro degli Affari sociali; Nuon Chea, 82 anni, ideologo del regime, il “fratello numero 2”.

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