DONNE & LAVORO: SI PUO' FARE DI PIU'
Schiacciate tra famiglia e carriera (quando c’è). Aiuti e incentivi? Un misero uno per cento del Pil. Chissà perché, in Italia, la famiglia è solo un ring per battaglie ideologiche, ma quando si tratta di elaborare vere politiche tutti i parlamentari, di qualsiasi colore, fanno la stessa, magrissima figura.
Ecco un piccolo promemoria d'inizio autunno per tentare, almeno, di invertire la rotta
Se bastasse una sola sanzione... viene da canticchiare all’annuncio estivo della ministra Mara Carfagna: arresto e ammenda da 50 mila euro per il datore di lavoro che discrimina le donne.
Per ora è una bozza di decreto (nulla di originale: lo pretende l’Europa con la direttiva sulle pari opportunità), ma odora già di ultimo, strombazzato rammendo su una voragine che la nostra politica, di ogni colore, non si decide a colmare: il lavoro femminile che non c’è (l’occupazione delle italiane è ferma al 47 per cento; la Ue chiede un chimerico 60 entro il 2010). E, quando c’è, è di qualità scadente e deprime le nascite perché i servizi all’infanzia latitano e la flessibilità è una trappola di precarietà (il 14 per cento delle donne se ne resta a casa dopo il primo figlio, dice l’Istat).
Settembre pare il momento giusto per rinfrescare la memoria ai nostri politici sulle azioni (cinque, concrete, fondamentali) da mettere in campo per invertire la rotta. Per piantarla con gli annunci da solleone e studiare seriamente quella politica della famiglia che in Italia non è mai esistita: secondo la sociologa Chiara Saraceno, da noi la famiglia è un ring per battaglie ideologiche, «ma quando è ora di decidere dove mettere i soldi, si privilegiano le pensioni». Alle politiche familiari resta l’1,1 per cento del Pil, magari sprecato in rattoppi spot come bonus bebè e social card. Francia e Germania investono il triplo e infatti, da loro, più donne lavorano e fanno anche più figli.
In Italia, di questi problemi si discute parecchio (anche il Libro bianco del lavoro ne parla. Mooolto genericamente ma lo fa), e intanto si tagliano gli organici della scuola, composti soprattutto da donne; si minaccia così il tempo pieno, penalizzando le madri lavoratrici; si detassano gli straordinari, appannaggio degli uomini. E si ignora la logica: senza le 25-40enni sul mercato, sarà dura pagare le pensioni di un Paese vecchio e con pochi figli.
Ecco un promemoria autunnale, elaborato con l’aiuto di quattro esperti. E con lo sguardo rivolto a Francia e Germania.
APRIRE ASILI NIDO.
I proclami di riforma, su questo punto, sono passati indenni e fumosi dal governo Prodi del 1996 a quello Berlusconi del 2005, fino all’ultima campagna elettorale del 2008. Ma l’obiettivo europeo per il 2010 - almeno 33 posti nei nidi pubblici ogni 100 bambini - è il solito miraggio. L’Italia si ferma all’11,4 per cento, contro il 25-30 del resto dell’Unione, e con una bella forbice tra il 15,5 per cento del Centro-Nord e il 4,2 del Sud: Milano, virtuosa, copre metà delle domande; Bologna il 35 per cento, Firenze il 29. Roma si arena al 14 per cento; la Campania precipita all’1,5 per cento. «Guardiamo alla Francia» suggerisce la sociologa Chiara Saraceno «dove si può scegliere tra nido tradizionale, nido familiare, baby sitter pubbliche a domicilio, con prezzi accessibili perché sostenuti dagli enti pubblici».
«Una maggiore offerta di servizi di cura significherebbe più concorrenza sul mercato» aggiunge Daniela Del Boca, economista all’Università di Torino «che ridurrebbe gli alti costi dei asili nido privati. Non solo: le famiglie acquisterebbero più fiducia nei nidi come alternativa al tempo materno. Dove ci sono più nidi, infatti, c’è anche più richiesta».
CONGEDO PARENTALE ALLA TEDESCA
Perché i padri italiani snobbano il congedo parentale, lasciando ancora alle donne la cura dei figli? «Perché è pagato solo il 30 per cento dello stipendio» risponde Claudio Lucifora, docente di economia all’Università Cattolica di Milano «ovvio che lo chieda chi, nella coppia, guadagna meno. Cioè la donna». Più interessante l’Elterngeld introdotto in Germania nel 2007: 12 mesi di congedo prolungabili a tre anni, pagati al 67 per cento dello stipendio per il primo anno, con due mesi dedicati solo ai padri. «Se non li usano per stare con i figli, li perdono» precisa Lucifora. «Questo, insieme con il generoso incentivo, rende la misura appetibile per i padri tedeschi». Erano il 5 per cento a utilizzare il vecchio congedo: dopo il 2007 sono raddoppiati. Chiara Saraceno abbinerebbe al modello tedesco quello francese degli assegni familiari: «Sono vantaggiosi e per tutti, non riservati ai lavoratori dipendenti come in Italia».
SOSTEGNO ALLE IMPRESE (PUNTANDO SUL PART-TIME)
«Il mercato fallirà se la politica non sostiene le imprese: è un fatto che, per loro, l’assenza per maternità e il part-time rappresentano problemi di costi e organizzazione» dice Lucifora. «Il part-time resta la strada migliore per rientrare al lavoro dopo un figlio: nei Paesi scandinavi è obbligatorio darlo a chi lo chiede, persino nella formula preferita (verticale o orizzon-tale); in Olanda riguarda la maggior parte delle lavoratrici; in Italia la norma è talmente generica che l’azienda può facilmente dire no, e sono tante le vertenze». Meglio, poi, quando il part-time è reversibile, nell’ottica di una flessibilità amichevole, non imposta. E accanto agli incentivi per le imprese che assumano donne, bisognerebbe reintrodurre la norma anti-abusi abolita dall’attuale governo: assunzione solo per via telematica tramite le agenzie per l’impiego. Il vantaggio? Niente più lettere di dimissioni in bianco per donne in età fertile.
PREMIARE IL LAVORO DI CURA (ANCHE DELEGATO)
«Il congedo parentale è coperto da contributi figurativi (cioè “fittizi”, pagati dallo Stato) e solo su richiesta» dice Chiara Saraceno. «Perché non riconoscere un anno di contributi reali per chi, padre o madre, usufruisca del congedo? E lo stesso per chi si occupi di un genitore anziano. Secondo me le donne, che svolgono un doppio lavoro tra casa e ufficio, hanno diritto ad andare in pensione prima: accumulare contributi le aiuterebbe». Altra idea: un credito d’imposta alla famiglia in cui entrambi i coniugi lavorano e usufruiscono di servizi come il nido o la baby-sitter. Lo propone Daniela Del Boca: «Oltre a valorizzare il lavoro della donna che delega la cura, com’è giusto, farebbe anche emergere il sommerso di baby-sitter e badanti. La misura è stata introdotta in Gran Bretagna nel 2003, aumentando la partecipazione femminile al mercato senza ridurre il tasso di natalità».
TUTELARE LE ATIPICHE
Le ultime misure sugli ammortizzatori sociali penalizzano gli atipici, che in maggioranza, neanche a dirlo, sono donne: il 20 per cento delle occupate ha un contratto a progetto, a termine, interinale, contro il 13 degli uomini. «Per gli atipici non c’è sostegno al reddito né formazione e orientamento se perdono il lavoro» spiega Ivana Pais, sociologa del lavoro all’Università di Brescia. «Gli ammortizzatori sociali devono essere universali, soprattutto in un periodo di crisi economica in cui il ricorso ai contratti parasubordinati è la via meno onerosa per le imprese. Anche i collaboratori, poi, dovrebbero poter accedere ai fondi interprofessionali per la formazione continua, utilissima alle donne per rimettersi in gioco dopo l’assenza per maternità».
da Io donna, 12 settembre 2009
Commenti
Posta un commento