IL COMMERCIANTE DI BOTTONI



Quando si sono incontrati, Erika era poco più che una bambina. Sedeva tra centinaia di alunni nella sua scuola media di Ladispoli ad ascoltare il racconto di Piero Terracina, ebreo romano deportato ad Auschwitz a 15 anni, fortunosamente scampato all’inverno polacco e alle atroci selezioni per la vita e per la morte, oggi tra i più tenaci testimoni pubblici della Shoah.
Tante volte Erika ha ripercorso con la mente la storia incredibilmente reale di quell’anziano signore che non si vergognava di commuoversi mentre parlava di sé bambino, nel 1938, quando le leggi razziali lo cacciarono da scuola. Del 16 ottobre 1943, la retata nazista nel ghetto ebraico di Roma: era in coda sotto la pioggia per comprare le sigarette al padre e proprio da lui si sentì urlare: «Vieni via! Arrestano tutti gli ebrei!».
Del nascondiglio e della paura condivisi con i genitori, i nonni, i tre fratelli e la sorella fino al 7 aprile del 1944, quando un giovane sciocco e avido li denunciò alle SS per 40 mila lire.

Furono rinchiusi nel carcere di Regina Coeli, trasferiti nel campo di Fossoli, vicino a Modena, e il 16 maggio, su un treno piombato riempito di 581 persone, deportati ad Auschwitz. L’abisso da cui solo Piero riemerse, il braccio sinistro deturpato dal numero A5506.
Erika gli ha scritto e ha voluto incontrarlo di nuovo. Per approfondire una tragica pagina della nostra storia e soprattutto per capire come sia possibile continuare ad amare la vita dopo aver conosciuto l’inferno.
Oggi Erika Silvestri è una studentessa di storia all’università. La sua amicizia con Piero si è fatta profonda, indissolubile, nonostante i 58 anni che li separano. Come con un nonno dal quale cercare risposte sul senso dell’esistenza.
Ha scritto un libro su di lui (Il commerciante di bottoni, ed. Fabbri), ed è la prima volta che Piero Terracina, instancabile oratore, accetta di mettere per iscritto le sue ferite. «Un giorno gli raccontai che da piccola amavo giocare con i bottoni», spiega Erika, «e lui mi disse: "Che coincidenza. Io ho lavorato a lungo in un’azienda di bottoni"».
Il libro ha la freschezza della giovane autrice, che lo paragona a «una scatola con dentro tanti biglietti da estrarre a uno a uno, scoprendo episodi della nostra amicizia e le tappe della vita di Piero: le leggi razziali, la deportazione, il ritorno dal lager». Inizia con Erika che, da una vecchia foto, disegna un ritratto della bellissima sorella di Piero, rimasta cenere ad Auschwitz. Esita a lungo se fargliene dono, teme di riaccendere in lui la sofferenza, finché si decide.
Un gesto in cui Piero legge grande affetto, ed è un regalo che innesca ricordi, un racconto e un altro ancora. Uno dei più intensi riguarda il legame con un altro sopravvissuto, Sami Modiano: «Eravamo adolescenti, soli, impauriti, nella stessa baracca di Birkenau. Ci aggrappavamo l’un l’altro per conservare una sembianza di vita in mezzo alla morte», ammette Piero nel salotto della sua casa romana, mentre con Erika sorseggia succo d’arancia.
«Sami fu selezionato per la camera a gas. Mentre attendeva di morire, arrivò un treno di patate e servivano braccia per scaricarlo: fu chiamato al lavoro e si salvò. Dopo l’arrivo dei russi, nel gennaio del ’45, percorremmo un tratto di viaggio insieme a Primo Levi, come lo narra nel libro La tregua. Finché io mi ammalai e fui portato in un sanatorio nel Caucaso. Di Sami non ebbi più notizie, né lui di me. Solo qualche anno fa mi vide in televisione e mi riconobbe subito, nonostante fossi tanto diverso dal ragazzino emaciato di un tempo. Ci ritrovammo e oggi siamo legati come allora».
Piero Terracina rivide Roma nel dicembre del ’45, a 17 anni. Ritrovò qualche parente, cominciò a lavorare, divenne dirigente d’azienda. Non si è mai sposato: «Qualcuno pensa sia perché non ho voluto mettere al mondo figli, dopo ciò che ho vissuto», nota, «ma non è vero, dalla vita ho avuto anche gioie. Smettere di credere in Dio e negli uomini ignificherebbe ripiombare nel nulla assoluto di Auschwitz».
La sua famiglia sono i nipoti. Ed Erika, che lo ha accompagnato ad Auschwitz in due viaggi organizzati dal Comune di Roma per le scuole. Gli ha offerto il braccio mentre Piero, tra le rovine delle baracche rosse di Birkenau, rievocava una notte del ’44 in cui gli zingari smisero all’improvviso di suonare e cantare: erano stati mandati al gas, migliaia in una volta sola.
Erika talvolta lo segue nei tanti incontri con gli studenti che ancora non stancano Piero. «I ragazzi sono sempre meravigliosi», sottolinea lui. «Sono appena stato a Napoli, in un quartiere ai margini. Mi avevano messo in guardia e invece gli studenti sono stati attentissimi: non esistono adolescenti difficili, basta imparare a comunicare con loro».
Come lui ha saputo comunicare con Erika, che ora progetta di specializzarsi in storia della Shoah a Gerusalemme. Per portare avanti la preziosa testimonianza che le è capitata in dono. E farsi candela della memoria.

Commenti

  1. Questo libro è davvero bello e molto commuovente. Narra non solo dei terribili fatti accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche della profonda amicizia che lega Erika con Piero Terracina, di come la Shoah ha cambiato tutta la vita di un uomo fino alla morte.

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  2. E' vero. Erika Silvestri, nonostante la giovane età, ha fatto un ottimo lavoro

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