I SOSPETTI DI UN MILLIONAIRE
I SEI SOSPETTI
di Vikas Swarup
Guanda, 600 pagine, 18 euro
L'indiano Vikas Swarup, 47 anni, sfoggia una doppia identità come i personaggi del suo secondo libro (I sei sospetti, in uscita il 10 settembre per Guanda). Diplomatico di carriera (ora è console generale a Osaka, Giappone) e, nel tempo libero che immaginiamo scarso, scrittore ormai pop: dal suo Le dodici domande, per capirci, è tratto il film-evento di Danny Boyle The Millionaire. Altra doppiezza: Swarup lavora per il governo indiano, e intanto scrive questo nuovo romanzo zeppo di governanti mafiosi e criminali impuniti grazie a una giustizia facile da ungere. Un thriller teso e divertente, moralistico ma senza trionfi sentimentali come nella saga del miserabile Jamal che sbanca il quiz televisivo. Qui c’è un odioso Vicky Rai che uccide e viene assolto perché suo padre è primo ministro e gangster. Finché a una festa Vicky si becca la pallottola vendicatrice. Sei gli indiziati: il burocrate che si crede Gandhi, la bambola di Bollywood, il padre della vittima, il texano che parla per massime improbabili, il ladro di cellulari, l’aborigeno spaesato. Ognuno ha movente e arma. In una giostra di eventi che culminano in tre diversi, possibili finali. Uno solo - il più logico, in fondo - sarà quello vero.
Il suo ritratto della società indiana è impietoso. Parla di classe media sedata dalla tv e di “viscidume” della nazione. Però precisa che le opinioni non sono riferibili a lei nel suo ruolo ufficiale. In Italia si direbbe che getta il sasso e nasconde la mano.
«Perché? Non è un saggio sulla corruzione in India, è un romanzo. Personaggi e situazioni sono funzionali alla storia. L’India è tanto grande e complessa che ci trovi qualsiasi tipo umano, e poi la grettezza di Vicky Rai appartiene a ogni società. Anche a quella italiana, immagino».
Risposta diplomatica. E ora dobbiamo aspettarci un altro musical in pieno stile Bollywood?
«Difficile dirlo. La Bbc ha ozpionato i diritti, e John Hodge (autore di Trainspotting e The Beach, ndr) sta scrivendo la sceneggiatura. Conoscendo la Bbc, prevedo che non sarà un film commerciale e che si atterrà fedelmente al libro».
Tutt’altro rispetto a The Millionaire, quindi.
«Quello era il film perfetto, come ne riescono raramente. È piaciuto a pubblico e critica: il film ideale».
Quanto è cambiata la sua vita dopo quel successo planetario?
«Ero a Los Angeles con mia moglie, alla notte degli Oscar. Quando tornai in Sudafrica, dove lavoravo, andai dal mio medico per un controllo di routine. Lui mi misurò la circonferenza della testa e disse: “Non è cambiata dall’anno scorso. Pensavo te la fossi montata almeno un po’”».
Lei non è diventato milionario?
«(Ride) Non in dollari. Ma in rupie sì».
I sei sospetti è molto diverso dal libro precedente. Non c’è un eroe per cui fare il tifo; non ci sono veri buoni. Persino l’integerrimo giornalista ha un che di perverso...
«Non è un libro rassicurante, non raggiunge un risultato emozionale. È vero: nessun personaggio è puro, tutti vestono una maschera. È stata una sfida renderli così interessanti da convincere chi legge a seguirli uno per uno, fino alla fine».
Ha impiegato solo due mesi a scrivere il primo romanzo. E per questo?
«Un anno e mezzo: ho voluto giocare con sei storie e sei voci diverse e credo di essermi evoluto, come scrittore. Se il secondo libro fosse stato peggiore del primo, avrei fallito».
Le dodici domande ha ricevuto parecchie critiche, le più aspre da Salman Rushdie. L’hanno accusata di mettere in vendita la povertà dell’India. Di questo nuovo lavoro, nel suo Paese, cos’hanno scritto finora?
«Qualcuno non ha gradito la citazione di fatti di cronaca: il ragazzo che investe i senzatetto; la cameriera uccisa perché rifiuta un drink. Crimini di cui, nel libro, il colpevole è solo Vicky Rai. Ma io scrivo per i lettori, non per i critici».
Ci dica qualcosa della sua famiglia.
«Aparna, mia moglie, è un’artista. I miei figli Aditya e Varun hanno 17 e 13 anni. Il minore una volta mi ha ricattato: aveva letto in bozza il finale di I sei sospetti e ha minacciato di pubblicarlo su Facebook se non gli avessi regalato il lettore mp3 che reclamava da tempo».
E lei ha ceduto?
«Naturalmente».
Non le piacerebbe fare lo scrittore a tempo pieno?
«Oh no. Primo: è un mestiere solitario, e io ho bisogno di interagire con la gente e il mondo come riesco a fare grazie al mio lavoro attuale. Secondo: essere scrittore part-time mi permette di esercitare la fantasia nel tempo libero, senza pressioni. Terzo: questo è il momento migliore per lavorare per il governo indiano all’estero. L’India, come la Cina, è in grande fibrillazione. Diversamente dal resto del mondo».
Fa molto ridere, nel libro, il texano imbecille che per caso si chiama come l’inventore di Google. Non si offenderà Larry Page?
«Spero di no. Comunque, al vero Larry Page ho mandato una copia del libro. Aspetto di sapere se lo ha divertito».
da Io donna, 29 agosto 2009
leggo sul Corriere di oggi che sta per uscire anche in Italia questo libro di Vikas Swarup. Per chi non lo conoscesse, Vikas è l'autore del libro dal quale è stato tratto il film "the millionaire". Quel libro (in italiano: "le dodici domande") è assolutamente fantastico ed io posso dire di averlo segnalato quando ancora Vikas era un emerito sconosciuto e del film non esisteva nemmeno il progetto.
RispondiEliminaHo letto "I SEI SOSPETTI" nel maggio 2008, quando era appena stato pubblicato (in inglese) e quanto dissi allora lo ribadisco adesso: per me Vikas Swarup dovrebbe essere uno dei prossimi vincitori del premio nobel per la letteratura! Scommettiamo? Anche perché ... oggi "Il Corriere" nella pagina della cultura ci fa sapere che la critica (anglosassone) lo ha già stroncato.
Però Livia Manera (autrice dell'articolo sul Corriere) ci spiega anche il motivo di una tale critica: il libro racconta di un'India corrotta e violenta e questo è - secondo la critica - falsamente corrosivo!
E pensare che nella mia recensione del maggio 2008 (la trovate su ANOBII) scrivevo: "la descrizione di un'India così corrotta è alquanto simile all'Italia, con il potere nelle mani dei criminali, la povera gente rimasta ormai a vivere di sogni senza speranza, l'unico valore riposto nel denaro."
Ai posteri l'ardua sentenza?
Paolo Federici
... non a caso, nella lunga chiacchierata che Swarup e io abbiamo fatto il 12 agosto, qualche frecciata sull'Italia il pur compostissimo diplomatico indiano me l'ha tirata: "... la grettezza di Vicky Rai appartiene a ogni società. Anche a quella italiana, immagino".
RispondiEliminaSebbene con un certo ritardo rispetto all'articolo, posso ora anch'io lasciare un commento di apprezzamento a questo eccellente libro. Si mangia davvero in una notte da quanto appassiona.
RispondiEliminadOKKY.