CHI CONTROLLA IL PASSATO CONTROLLA IL FUTURO
A vent'anni dal crollo del regime di Ceausescu, i romeni scoprono di essere stati un popolo diviso fra spiati e spioni. E gli archivi della polizia segreta del dittatore, finalmente accessibili, sono come vasi di Pandora
L’atrio dell’algido palazzo in via Matei Basarab, nel centro di Bucarest, è un museuccio di obsolete tecnologie di spionaggio rese sinistre dalla frase di Orwell, 1984, dipinta su una colonna: «Chi controlla il presente controlla il passato». La sala lettura è ovattata come un sacrario. Gli sguardi delle sei persone sedute hanno un che di stranamente identico: sconvolti eppure fermi, inchiodati su fascicoli ingialliti compilati a mano, con timbri, correzioni, appunti in diverse grafie.
Sembra l’ultima scena del film Le vite degli altri solo che qui, al Consiglio nazionale per lo studio degli archivi della Securitate (Cnsas), sono reali le labbra tremanti di una donna elegante, che tamburella con le dita mentre apprende che il padre veniva omaggiato con cravatte e bottiglie per le sue spiate alla Securitate, la polizia segreta del regime comunista trasformata da Ceausescu in un Grande Fratello orwelliano. Nel dicembre dell’89, alla fucilazione del dittatore, contava 14 mila agenti e 700 mila “collaboratori informali” che riferivano ogni dettaglio delle esistenze di vicini di casa, parenti e amici. Non per denaro. Per opportunismo e paura.
Germina Nagit
Il regime comunista romeno è stato l’unico a cadere nel sangue. E l’ultimo: il 25 dicembre, Nicolae Ceausescu e la moglie Elena venivano fucilati dopo un processo farsa. La gente scopre soltanto ora quanto penetrante fosse lo sguardo della Securitate e quanti insospettabili orecchi fossero in ascolto, ovunque.
Gerhardt Csejka si era rifugiato a Francoforte, dove ha avuto successo come editore: ora, nei resoconti top secret pedissequi e sgrammaticati, rivede il collega che lo denunciava come alcolizzato per soffiargli il posto. E la glaciale Germina Nagîţ, che di mestiere setaccia questi archivi cerchiando in rosso le macchie sul passato delle personalità pubbliche, si è presa la testa tra le mani leggendo il dossier del poeta Stefan Augustin Doinas, con cui lei lavorava, adorante, da ragazza: «Persino lui era un informatore... Qui non si tratta di comprendere il passato, come qualcuno romanticamente dice. Qui c’è da capire se i politici che stipendiamo, che per legge giurano di non essere stati spie comuniste, ci ingannino o no. Tra i giudici, ne abbiamo appena scoperti venti che, prima dell’89, violavano quotidianamente i diritti umani».
È un’esposizione di minuscoli cristalli, la memoria. Ancora più fragili in Romania, dove fino al 2004 la politica è stata dominata da un Ion Iliescu figlio del regime e regista dell’esecuzione sommaria del “satrapo ignorante” Ceausescu e della moglie, si dice per sotterrare con loro i propri segreti.
L’istituto di Germina Nagîţ, il Cnsas, esiste da dieci anni ma solo da due ha accesso ai documenti segreti della Securitate, gelosamente custoditi dai Servizi segreti che della polizia del dittatore sono ideali eredi.
«Eravamo un’istituzione decorativa, studiosi senza carte da studiare» sorride lei, che dirige l’ufficio più scomodo tra quelli creati dallo Stato romeno per tentare, o simulare, un confronto col passato: il dipartimento investigativo del Cnsas, 60 esperti che setacciano trenta chilometri di dossier cartacei con dentro le vite di due milioni e 300 mila persone. Gente comune (i fascicoli dei pezzi grossi sono andati, guarda caso, distrutti) pedinata dalle spie tra il ‘48 e l’89.
Dai file delle vittime si risale, di codice in sigla, all’identità dei carnefici che usavano nomi in codice: «Ricostruiamo il dinosauro dalla base» dice Germina «è un’archeologia del crimine».
Ma il sentiero che porta al passato è fangoso: quando il Cnsas ha cominciato a spiattellare i precedenti non gloriosi di politici in carica, magistrati, scrittori, vescovi e venerabili scienziati come Constantin Balaceanu Stolnici, la paura di Stato ha sfoderato il bavaglio. Al gruppo di Germina è stato vietato di indagare sul clero ortodosso («Non sappiamo cosa dire a tutte le vittime che riconoscono la grafia del parroco, nel loro dossier» rimarca lei). Poi la Corte Costituzionale, all’inizio del 2008, accoglie il ricorso del magnate della stampa Dan Voiculescu - vice primo ministro in pectore e smascherato come vecchia spia – e ne approfitta per dichiarare illegittimo il Cnsas, perché troppo simile a un tribunale speciale, vietato dalla Costituzione romena. Monta la protesta degli ex prigionieri politici guidati a Constantin Ticu Dumitrescu, il decano degli undici “saggi” a capo del Cnsas. E finalmente, un anno fa, arriva una nuova legge che pare migliore della vecchia: «Ora i nostri report sono pubblicati integralmente» spiega Germina. «Li depositiamo all’Alta Corte e chiunque può leggerli, mentre le persone riconosciute come spie possono fare ricorso. E lo fanno tutti» sorride «è il nuovo gioco in città. Ci vorrà tempo perché la Corte si esprima sull’incompatibilità di questa gente con cariche pubbliche: così i delatori, nel frattempo, restano tranquilli al loro posto».
Mona Musca
C’è stato un solo caso di “lustrazione”, in Romania: l’ex ministra della cultura Mona Musca, nota per i suoi fervorini sulla pulizia morale. Da assistente universitaria a Timisoara negli anni ’70, sorvegliava studenti stranieri per conto della Securitate con il nome in codice “Dana”. Il Cnsas lo ha scoperto e lei si è goffamente scusata. Il Partito liberale l’ha spinta a dimettersi.
Raluca Grosescu
Raluca Grosescu, sociologa trentenne, è un’altra inflessibile detective decisa ad aprire gli occhi ai giovani come lei sulla classe dirigente del Paese. Ha curato un manuale di storia che, per la prima volta, racconta agli studenti cosa fu davvero il comunismo in Romania.
Raluca è dirigente all’Istituto di investigazione sui crimini del comunismo, aperto nel 2006 e già impantanato: «Abbiamo depositato oltre 300 denunce» informa «poi un procuratore è stato rimosso, e gli altri erano tutti giudici militari sotto Ceausescu. È paradossale, un silenzio istituzionalizzato: lo Stato crea istituti come il nostro e poi li ostacola. E i servizi segreti ancora si tengono stretti i dossier degli ufficiali della Securitate, aprono solo quelli della gente comune. Non capiscono che il processo della memoria è lento, sì, ma irreversibile».
Nella sala lettura del Cnsas, ogni giorno si siedono 25 persone, a leggere brani delle loro vite scritti da altri. Qui si piange. Si sviene. Le carte sono come vasi di Pandora: scoperchiano mali. «Un noto attore ha scoperto, dalle trascrizioni delle sue telefonate, che la moglie lo ha sempre tradito con il suo migliore amico» racconta Daniela Iamandi, assistente al Cnsas. «e ricordo un uomo ha appreso che i sorveglianti li aveva in casa: erano moglie e suocera».
Aurora Dumitrescu, incarcerata nel ‘51 per sovversione, ha quasi sorriso nel leggere quante risorse la polizia segreta avesse messo in campo fino all’81 per registrare le sue telefonate, seguire i suoi movimenti, impedirle di lavorare. Lei che era una qualunque. «Mi ha assalito un senso di fragilità assoluta» confida nel suo salotto a Bucarest. «Io non sono mai stata libera, prima dell’89. Nulla, nella mia vita, è dipeso da me».
Nicolae Mărgineanu
Nicolae Mărgineanu è un regista cinematografico che ha appena terminato per il Cnsas un documentario sulle esistenze orwelliane al tempo della Securitate. Nei faldoni dedicati a lui e a suo padre, ha trovato persino la copia di una lettera con il disegno di suo figlio bambino: «Pensavano fosse un messaggio in codice… Sapere fa male, ma è necessario per disintossicarci».
Adina Cantuniari, neuroscienzata fuggita in Canada nell’86, è tornata a Bucarest, in via Matei Basarab, per sapere chi fosse davvero suo padre: ingegnere di talento, ufficiale di aviazione, decorato e poi incarcerato, non si è mai piegato alle minacce del regime, che al contrario lo ha controllato fino all’ultimo. «I dossier sono scritti da analfabeti» sbotta Adina. «Voglio studiarli a fondo: mio figlio deve sapere come la nostra generazione sia stata manovrata e spezzata da un branco di ignoranti».
Stelian Tănase
Lo scrittore Stelian Tănase, polemista e anchorman di Realitate Tv, la Cnn di Bucarest, è riuscito a visionare i fascicoli segreti già nel 2001. Il suo best-seller A casa si parlava solo per sussurri è l’inquietante specchio di due diari: quello intimo, che lui teneva all’epoca, e quello compilato dagli informatori negli stessi giorni, per dieci anni. «Non credo più nell’amicizia» rivela nella sua bella casa piena di mobili antichi. «A spiarmi era il mio migliore amico. Sono paranoico e vivo solo: non è bello, ma è più sicuro».
Secondo lui, l’errore più grave è stato concentrare le ricerche del Cnsas sulla rete dei collaboratori informali e non sui colonnelli di Ceausescu: «Le rivelazioni spettacolari su personaggi pubblici non hanno scalfito il sistema» sostiene. «Oggi, gli ex ufficiali della Securitate sono il blocco economico della Romania. Li riconosci dalle limousine e dalle ville».
A presentarmi Tănase è stata una giovane giornalista, Dia Radu, esperta dell’argomento: da tempo aspetta che il Cnsas tiri fuori dalla polvere le carte su suo padre, critico letterario, morto quando lei era piccola. «Mi hanno detto che il fascicolo non esiste, ma io sono certa che anche mio padre è stato spiato». Nel ‘91, a Berevoisti, i servizi segreti bruciarono masse di carta. «Un amico di mio padre corse, salvò dei fogli dalle fiamme, ci trovò il dossier di uno sconosciuto “Lettore” e, in mezzo, i nomi di mio padre e del suo entourage». A 27 anni, Dia sa già che la memoria va maneggiata con cura. Perché, come continuava la frase di Orwell, chi controlla il passato, controlla il futuro.
Questa è la versione ampliata di un articolo pubblicato da Io donna il 21 novembre 2009
Complimenti per la qualità dei contenuti e per la costanza nell'aggiornamento del suo interessantissimo blog
RispondiEliminaSV
grazie. sebbene l'aggiornamento, ultimamente, non sia il mio punto di forza
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