L'ALTRA META' DI SAN LUCA



Hanno creato una ludoteca nella villa confiscata a un boss. Vanno a New York a esporre le loro fotografie. Le mogli e le madri coinvolte nella faida calabrese alzano la testa. Per dimenticare Duisburg.

«Era il figlio della sorella mia. Da piccolo me lo tenevo accanto, al telaio. Capisci perché ogni parola della televisione era una freccia nel cuore? Capisci perché non ce ne voglio giornalisti in casa mia?». Il suo dialetto perde rabbia e Saveria ha gli occhi lucidi, adesso. Ma l’ospitalità è stata più forte della repulsione per i giornalisti e, quasi senza accorgercene, eccoci alla sua tavola imbandita come in un giorno di festa. Maccheroni al sugo, salsiccia, cotolette, funghi, pomodori, pane e vino di casa, e lei che mangia in piedi per lasciarci comodi.


Ci ha mostrato i suoi telai a pedali, arte antica ereditata dalla nonna; ha estratto da un baule i corredi per le nipoti, tessuti con le sue mani filo per filo. A certi discorsi di dolore non ci voleva arrivare. Ma siamo a San Luca, 4.000 abitanti ai piedi dell’Aspromonte, paesaggio e silenzio che parrebbero fatati a chi ignorasse la ’ndrangheta, la faida tra le famiglie Nirta-Strangio e Pelle-Vottari che dal 1991 allarga il cimitero. E i bunker dei latitanti, la squadra di calcio che un mese fa ha giocato con il lutto al braccio per la morte del boss Antonio Pelle.

Il “mondo spento, lunare” dei pastori di Corrado Alvaro; quello ineluttabile della strage di Duisburg, ferragosto 2007: le immagini di sei corpi crivellati fuori dal ristorante “Da Bruno” fanno il giro del mondo e rilanciano San Luca, per chi ne avesse perso memoria, come il ventre della mafia calabrese. «Piangevano pure le pietre della via» sussurra Saveria. Uno di quei morti si chiamava Marco Marmo, aveva 25 anni e non era un santo. Per lei era solo suo nipote.




Ci sono luoghi immobili come le montagne dove chi spera di invertire i destini non può cominciare attribuendo alle cose il loro vero nome, né invocando l’evidenza della storia. E solo occhi speciali afferrano le scintille sotto il sedimento che per “noi del Nord” è omertà o connivenza. Rosy Canale ci porta a casa di Saveria per farceli respirare, questi concetti d’Aspromonte, e spiegarci che «a San Luca è stupido, inutile, pretendere di cambiare le cose agitando la bandiera dell’antimafia».

Questa piccola donna di Reggio Calabria - 37 anni, sigaretta sempre accesa e stivali tacco 13 nonostante una gamba sofferente - è venuta qui dopo Duisburg, semplicemente perché voleva fare qualcosa, da volontaria. Un sogno maturato da un incubo, che ci racconta dentro la villa che fu di Antonio Pelle, pezzo da novanta della ’ndrangheta. Era vuota, sprecata, quando Rosy l’ha ottenuta dal ministero degli Interni, ed è la prima volta che a San Luca un immobile confiscato vive di progetti sociali.
È una ludoteca, appena inaugurata, con pareti colorate, giocattoli, libri, strumenti musicali, corsi di ballo e pittura. Altrove sarebbe uno spazio qualunque ma qui, dove non esiste l’oratorio, internet va con il cavo del telefono e il cinema non lo ricorda nemmeno Saveria che è nata nel ’45, sa di ribellione: un posto per occupare le menti di figli e madri. Riempire il tempo vuoto.
Per Rosy San Luca è lo stesso, all’inverso: una specie di terapia contro il passato, quando era imprenditrice a Reggio e la sua discoteca andava a gonfie vele, tanto da stuzzicare chi ne avrebbe fatto volentieri una piazza di spaccio. Rosy si oppone, caccia i tizi sospetti, affronta le minacce con la testa d’ariete dei calabresi onesti. Una sera del 2004 una moto affianca la sua auto: pistola puntata, due uomini che la fermano, la sbattono a terra, le fracassano la bocca con il calcio dell’arma, a pedate le rompono costole e femore lasciandola svenuta sull’asfalto. E lei si sente ostaggio della paura.
Fugge a Roma con la figlia, tre anni di buio. Non denuncia: «Conosco la vita dei testimoni di giustizia: non è vita. E io non sono un eroe». Finché i cadaveri di Duisburg visti in tv la schiaffeggiano: parte per San Luca, la genesi di tutto. «Non conoscevo nessuno: mi sono presentata alla scuola media per allestire un laboratorio d’arte, ed è accaduta una cosa incredibile. I ragazzi più difficili, già marchiati come delinquenti, erano i più attenti e docili. Nessuno, prima, li aveva fatti sentire diversi dalla spazzatura».
Le madri si chiedono chi diavolo sia la dutturessa di città che sembra avere la bacchetta magica con i figli; una che dice ad alta voce ciò che loro si tengono dentro da sempre: la scuola allo sfascio, gli insegnanti assenti, i ragazzi abbandonati perché considerati già feccia. Così le “signore”, come le chiama Rosy, si presentano. Due giorni dopo ne arrivano altre, e in tutto fanno 400. Mezzo paese al femminile. Ognuna a confidare che vorrebbe darsi da fare, e non sa come, per lavare l’immagine lurida di San Luca, rendendolo un posto in cui valga la pena vivere. E per liberarsi da una quotidianità fatta di pulizie, televisione, qualche stagione nei campi. Pensieri e scelte che non lasciano scampo.
C’è Aurelia, cinque figli e il rimpianto di non aver finito le magistrali, che si è scoperta poetessa e artista della pasta di mais: le sue bamboline sembrano dipinte da Chagall. Daniela e Patrizia, 22 anni, orgogliose del loro diploma, che vorrebbero lavorare senza fuggire da qui. Teresa Giampaolo, viso di Madonna dagli occhi verdi, che difende con i denti il movimento femminile contro chi, a San Luca, ci crede poco: «Sono venuti in tanti con la bocca piena di belle parole: legalità, antimafia... Ci hanno lasciati peggio di prima. Tutti dicono la ’ndrangheta: nessuno dice che siamo un paese di disoccupati». C’è anche Teresa Giorgi, madre del minorenne ucciso a Duisburg: la donna che illuminò la chiesa della Pietà, il giorno dei funerali, con un abito bianco e parole di perdono.

Rosy le ha portate a New York, alcune signore, in una galleria di Chelsea che ha esposto i loro ritratti, e alla fiera dell’artigianato di Firenze, con Saveria al telaio che ha lasciato tutti a bocca aperta. «Non sono le modelle della ’ndrangheta» dice Rosy «sono stufe delle foto rubate dai giornali dove appaiono come donnette vestite di nero capaci solo di piangere ai funerali. A San Luca la madre ha ancora l’autorità di tenere i figli lontani dalla malavita: per questo è importante dare opportunità alle donne».

Le idee non mancano: «Apriremo un museo del telaio antico, un laboratorio di gastronomia, una cooperativa per escursioni nei luoghi più belli dell’Aspromonte. Questo paese diventerà una bomboniera» sorride la piccola donna di Reggio Calabria, convinta che non siano utopie. Perché se ha riunito in un grande entusiasmo creativo le madri e le mogli di uomini che s’ammazzano da diciott’anni, forse tutto è possibile.

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L'associazione di Rosy Canale: donnesanluca.org
La Onlus di Enel: enelcuore.org


Da Io donna, 19 dicembre 2009.

Primo premio sezione Carcere e diritti umani del Concorso Giornalisti del Mediterraneo, edizione 2011.

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