PIERINO E IL LUPO AL PUB
Con un cognome come il suo (Prokofiev) e un nonno come il grande compositore russo, poteva sfondare nei teatri di tutto il mondo. Invece ha preferito un’altra sfida: far amare sinfonie e notturni ai giovani. Portandoli nei locali e mischiandoli a birra e dj-set.
È stato bulimico compositore ed esecutore di dance underground, hip hop e disco-punk, mimetizzato dietro svariati e sballati pseudonimi: Caspa Codina, Medasyn, Spektrum, Olegavich. Finché, da qualche anno, s’è finalmente deciso a firmarsi con il suo vero, ingombrante nome, e a cercare l’abbraccio del Dna: la musica classica. Gabriel Prokofiev è londinese, ha 35 anni ed è nipote del grande compositore russo Sergej Prokofiev, del quale confessa di preferire Romeo e Giulietta a Pierino e il lupo e dal quale ha di certo ereditato il gusto di sperimentare. La sua etichetta musicale è provocatoria fin dal nome, Nonclassical, e nello stesso spirito lui allestisce sonate e concerti d’archi in un pub di East London, l’Horse & Groom. Per dire che la musica classica ha parecchio di innovativo da raccontare. Ai giovani, soprattutto.
Basta chiamarsi Prokofiev per balzare in un attimo dal punk alla classica?
Ho sempre studiato musica classica, ho anche un master in composizione: suono pianoforte e corno francese. Ma da ragazzo è normale che ti piacciano il pop e il rock, perché la classica ti sembra fuori dal mondo. Finché ti accorgi che i generi musicali “ribelli” sono in realtà restrittivi: seguono le mode e i gusti delle radio; i brani durano pochi minuti. La classica, al contrario, ti offre la massima libertà espressiva.
Hai dichiarato che è una forma d’arte accademica, senza interazioni con la vita reale. Come si fa a riportarla vicino alle emozioni del pubblico?
Rendendola parte del nostro stile di vita. Pensa a 150 anni fa, quando i quartetti d’archi suonavano nei salotti e il piano era uno strumento da caffè. Oggi invece la musica classica è relegata a contesti formali e seriosi, fuori moda: i giovani non vi si identificano. Così ho pensato di portarla dentro un club, con concerti alle 22 e non alle 19.30 come nei teatri (orario impossibile per chi lavora), e con il dj che a fine concerto mixa classica e musica contemporanea. E’ un nuovo sound, il pubblico ascolta in piedi, si beve una birra, se non gradisce esce e rientra. Si rilassa, insomma. E alla fine fa due chiacchiere con i musicisti. E’ così che la musica diventa parte del mondo reale: la classica può dare alla gente un’esperienza più profonda del pop ormai ridotto a immagine e mode.
Tuo nonno è morto nel 1953, non lo hai mai conosciuto: pensi di avere qualcosa in comune con lui?
So che era energico, ossessionato dalla musica. Componeva ogni giorno dalle 9 alle 5, e in questo credo di somigliargli: la qualità principale per un musicista è la determinazione, l’impegno.
Perché hai deciso di farti conoscere come Prokofiev solo dopo tanto tempo che lavoravi in campo musicale?
Mio padre Oleg (scappato dall’Unione Sovietica in Gran Bretagna, negli anni Settanta, come dissidente, ndr) era pittore e scultore, e a ogni sua mostra i giornali sottolineavano che fosse figlio di Sergej Prokofiev: mio nonno era come un’ombra sul suo lavoro. Così negli ultimi anni della sua vita ha cominciato a firmarsi solo Oleg sui quadri, e mi diceva che per lui era finalmente una liberazione. Ovvio che anch’io mi sentissi intimidito dal mio cognome: la prima volta l’ho usato con un quartetto d’archi, su insistenza degli altri musicisti che ci tenevano a scrivere Prokofiev sul programma. Ero molto nervoso, ma andò bene.
Però con la tua punk band Spektrum continui a usare lo pseudonimo di Olegavich...
(Ride). Sì, ho una doppia vita, e l’una influenza l’altra. O forse è la mente che ha bisogno di nutrimenti diversi.
Nel tuo ultimo disco di classica, Piano Book 1, hai composto brani per la pianista russa GéNIA, anche lei erede d’arte (è pronipote del pianista Vladimir Horowitz). Curiosa coincidenza, non trovi?
Quando l’ho conosciuta non sapevo che avessimo in comune discendenze importanti, e che mio nonno e il suo bisnonno avessero persino lavorato insieme. Non avevo mai composto per pianoforte: mio nonno aveva scritto talmente tanto per questo strumento che mi spaventava il confronto con lui. Ma GéNIA ha insistito, e io sono rimasto affascinato dal suo tocco.
Porterai la tua “nonclassica” in Italia?
Mi piacerebbe molto. Pensa che un editore italiano, qualche anno fa, usò una mia foto senza sapere di chi fosse quel volto come copertina di un libro! (Il romanzo era E tutto fu diverso di Serena Sinigaglia, l’editore Rizzoli, ndr).
da Io donna, 24 luglio 2010
È stato bulimico compositore ed esecutore di dance underground, hip hop e disco-punk, mimetizzato dietro svariati e sballati pseudonimi: Caspa Codina, Medasyn, Spektrum, Olegavich. Finché, da qualche anno, s’è finalmente deciso a firmarsi con il suo vero, ingombrante nome, e a cercare l’abbraccio del Dna: la musica classica. Gabriel Prokofiev è londinese, ha 35 anni ed è nipote del grande compositore russo Sergej Prokofiev, del quale confessa di preferire Romeo e Giulietta a Pierino e il lupo e dal quale ha di certo ereditato il gusto di sperimentare. La sua etichetta musicale è provocatoria fin dal nome, Nonclassical, e nello stesso spirito lui allestisce sonate e concerti d’archi in un pub di East London, l’Horse & Groom. Per dire che la musica classica ha parecchio di innovativo da raccontare. Ai giovani, soprattutto.
Basta chiamarsi Prokofiev per balzare in un attimo dal punk alla classica?
Ho sempre studiato musica classica, ho anche un master in composizione: suono pianoforte e corno francese. Ma da ragazzo è normale che ti piacciano il pop e il rock, perché la classica ti sembra fuori dal mondo. Finché ti accorgi che i generi musicali “ribelli” sono in realtà restrittivi: seguono le mode e i gusti delle radio; i brani durano pochi minuti. La classica, al contrario, ti offre la massima libertà espressiva.
Hai dichiarato che è una forma d’arte accademica, senza interazioni con la vita reale. Come si fa a riportarla vicino alle emozioni del pubblico?
Rendendola parte del nostro stile di vita. Pensa a 150 anni fa, quando i quartetti d’archi suonavano nei salotti e il piano era uno strumento da caffè. Oggi invece la musica classica è relegata a contesti formali e seriosi, fuori moda: i giovani non vi si identificano. Così ho pensato di portarla dentro un club, con concerti alle 22 e non alle 19.30 come nei teatri (orario impossibile per chi lavora), e con il dj che a fine concerto mixa classica e musica contemporanea. E’ un nuovo sound, il pubblico ascolta in piedi, si beve una birra, se non gradisce esce e rientra. Si rilassa, insomma. E alla fine fa due chiacchiere con i musicisti. E’ così che la musica diventa parte del mondo reale: la classica può dare alla gente un’esperienza più profonda del pop ormai ridotto a immagine e mode.
Tuo nonno è morto nel 1953, non lo hai mai conosciuto: pensi di avere qualcosa in comune con lui?
So che era energico, ossessionato dalla musica. Componeva ogni giorno dalle 9 alle 5, e in questo credo di somigliargli: la qualità principale per un musicista è la determinazione, l’impegno.
Perché hai deciso di farti conoscere come Prokofiev solo dopo tanto tempo che lavoravi in campo musicale?
Mio padre Oleg (scappato dall’Unione Sovietica in Gran Bretagna, negli anni Settanta, come dissidente, ndr) era pittore e scultore, e a ogni sua mostra i giornali sottolineavano che fosse figlio di Sergej Prokofiev: mio nonno era come un’ombra sul suo lavoro. Così negli ultimi anni della sua vita ha cominciato a firmarsi solo Oleg sui quadri, e mi diceva che per lui era finalmente una liberazione. Ovvio che anch’io mi sentissi intimidito dal mio cognome: la prima volta l’ho usato con un quartetto d’archi, su insistenza degli altri musicisti che ci tenevano a scrivere Prokofiev sul programma. Ero molto nervoso, ma andò bene.
Però con la tua punk band Spektrum continui a usare lo pseudonimo di Olegavich...
(Ride). Sì, ho una doppia vita, e l’una influenza l’altra. O forse è la mente che ha bisogno di nutrimenti diversi.
Nel tuo ultimo disco di classica, Piano Book 1, hai composto brani per la pianista russa GéNIA, anche lei erede d’arte (è pronipote del pianista Vladimir Horowitz). Curiosa coincidenza, non trovi?
Quando l’ho conosciuta non sapevo che avessimo in comune discendenze importanti, e che mio nonno e il suo bisnonno avessero persino lavorato insieme. Non avevo mai composto per pianoforte: mio nonno aveva scritto talmente tanto per questo strumento che mi spaventava il confronto con lui. Ma GéNIA ha insistito, e io sono rimasto affascinato dal suo tocco.
Porterai la tua “nonclassica” in Italia?
Mi piacerebbe molto. Pensa che un editore italiano, qualche anno fa, usò una mia foto senza sapere di chi fosse quel volto come copertina di un libro! (Il romanzo era E tutto fu diverso di Serena Sinigaglia, l’editore Rizzoli, ndr).
da Io donna, 24 luglio 2010
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