LA RAGAZZA IN ROSSO (CON LA CHITARRA)



foto di Maisie Cousins

Sotto le luci soffuse al bar di un hotel nel Lower East Side di Manhattan, fatico a riconoscerla. Cerco la dark lady dei suoi video, sguardo affilato e labbra rosso sangue, la sfrontatezza di una che canta ambiguità sessuali e patti con il diavolo, e invece Anna Calvi è una ventottenne minuta che siede con le spalle curve, occhi verdi struccati e troppo timidi, l’abitudine di prendersi la testa fra le mani. Eppure secondo la stampa inglese è lei il fenomeno musicale del 2011. Cantante, chitarrista e compositrice londinese di padre toscano (“ma non ricordo il nome del suo paese”), ha appena pubblicato un omonimo album d’esordio che è un raffinato mix di rock, tango, flamenco e nebbie gotiche, con chitarre austere e vibranti che sarebbero perfette in un film di David Lynch. Suoni retrò con intuizioni nuove, impastate da una voce morbida e cattiva capace di sedurre persino Brian Eno e Nick Cave, che l’ha voluta come supporter nell’ultimo tour.

Il pubblico newyorchese l’attendeva alla prova dei suoi volubili palchi, ma Anna s’è lussata il braccio destro per troppa chitarra e ha annullato le date americane. È qui da turista (“voglio gironzolare, perdermi”): dopo la vacanza forzata suonerà in Italia, dal 9 all’11 aprile a Bologna, Ravenna e Roma.

Tu parli della tua musica in termini quasi fisici. Dici che il palco ti dà uno shock, facendoti percorrere le tue varie personalità. Quante Anna Calvi esistono?
La musica è la mia condizione perfetta, mi provoca emozioni che nient’altro è in grado di darmi. Ognuno di noi è tante persone differenti, è l’equilibrio fra i nostri diversi a tenerci vivi. Ma per me la musica è verità: sul palco sono più me stessa che in qualsiasi altro luogo.

Però il tuo ripetere “volevo incidere il disco meno commerciale della storia, volevo solo esprimermi” suona finto, non trovi?
Cosa intendi per finto?

Costruito. E un po’ snob, questo disinteresse per il successo...
Be’, non è così. Ho iniziato a registrare canzoni prima di avere la certezza di pubblicare un disco, e avevo le idee chiare. Conosco le band costrette a produrre musica che piaccia per forza al pubblico: è il peggio, per un artista. Io volevo solo fare qualcosa di cui essere orgogliosa. Il mio album si apre con un brano strumentale: se avessi mirato al successo immediato non avrei fatto certe scelte artistiche, ti pare? Ed è stata una decisione terrificante: c’era il rischio che questa musica oscura e bizzarra non piacesse a nessuno tranne che a me.

E invece… Che facevi prima di diventare famosa?
Ah! Non mi sento famosa, l’unica cosa che è cambiata è che non ho più l’assoluto controllo delle mie giornate. Ho sempre fatto la musicista, mi mantenevo così. Anzi, ero squattrinata: i miei genitori volevano che mi trovassi un lavoro serio, ma io ho tenuto duro. Il giorno in cui ho firmato il contratto con la Domino Records ero proprio al verde.

Spiegami perché canti I’ll be your man (sarò il tuo uomo).
Mi piace l’idea che siamo tutti sia maschi sia femmine. Per necessità sociale dobbiamo scegliere di essere l’uno o l’altro, ma è interessante sperimentarsi in entrambi i generi.



Sii più esplicita, prego.
Provare a essere sia uomini sia donne è molto divertente...

Uomo ideale?
Nick Cave.

Grande artista, ma potrebbe essere tuo padre…
Che importa? Ascolto la sua musica da sempre, non avrei mai pensato di poter aprire i concerti della sua band Grinderman. Sentirlo suonare ogni sera dal vivo, e gratis!

Altre passioni? Il flamenco, per esempio.
Ho iniziato ad ascoltarlo a 16 anni, ed è diventato un’ossessione. Cercavo un genere musicale che esprimesse con potenza la mia passionalità, e il flamenco è così: drammatico e romantico. Ispira ogni cosa che faccio, anche nel colore rosso: la copertina del mio album, le mie camicie, i miei video. È l’essenza di me.

Che fai quando non suoni?
Cammino per Hyde Park. Leggo Virginia Woolf. Guardo i film di Gus Van Sant. Mangio pasta. E dipingo.

Dobbiamo aspettarci una tua mostra?
No, non mi sento sicura come pittrice. Da ragazza amavo allo stesso modo dipingere a olio e suonare, poi la musica ha preso il sopravvento. Ma continuo ad amare la pittura perché è fisica, riflette – di nuovo – la mia passionalità. Vorrei saper dipingere le tempeste di Turner.

Quanto fa bene all’autostima essere paragonata a Patti Smith, Édith Piaf e PJ Harvey?
Veramente mi infastidisce questa tendenza ad accostare fra loro le cantanti donne solo perché sono donne: di un pittore non si direbbe mai che è stato influenzato da un altro solo perché dello stesso sesso.

Come ti vedi tra 10, 20 anni?
Nascosta al mondo: che nessuno sappia dove vivo, che la mia faccia non compaia su nessun giornale ma che i miei dischi piacciano ovunque.

Conosci Mina? Perché sembra una sua descrizione…
Certo, è bravissima. Vorrei diventare proprio quel genere di artista.

(da Gioia, 23 marzo 2011)



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