QUESTA CASA NON E' UN OSPIZIO
Convivono come studenti universitari, ma hanno novant'anni. Prove di welfare parallelo nel Paese più vecchio d'Europa.
Dentro lo spazio privato di Luigia, tra l’armadio e le tende da lei decorate a farfalle rosse e verdi, basta soffermarsi sugli oggetti, uno alla volta, per sfogliare i capitoli della sua vita.
Sul letto, una bambola di porcellana: “Il primo regalo di mia figlia. Aveva 15 anni, prendeva la prima paga da parrucchiera e la spendeva per me, per la festa della mamma”. Sul muro, le foto di Christian, 4 anni e mezzo (“il prediletto dei miei 4 pronipoti”) e quelle del marito, conosciuto alla fine della guerra in una sala da ballo. Sullo scaffale, cd di Giorgio Gaber, libri di Wilbur Smith e Christian Jacq: “I romanzi d’amore mi hanno stancata, conosco Liala a memoria”.
E la scatola verde con le collane coloratissime, di plastica e di lana, inventate e intrecciate con le sue mani, come quella di ovali lilla che oggi Luigia indossa sul golf nero. Ha imparato a comporre gioielli quando stava in ospizio, a colmare un tempo vuoto che pensava rotolasse verso il capolinea, ma il destino può sorprenderti persino a 85 anni e così eccola qui, a sperimentare una vita nuova, con lo spirito di una studentessa universitaria fuori sede.
E la scatola verde con le collane coloratissime, di plastica e di lana, inventate e intrecciate con le sue mani, come quella di ovali lilla che oggi Luigia indossa sul golf nero. Ha imparato a comporre gioielli quando stava in ospizio, a colmare un tempo vuoto che pensava rotolasse verso il capolinea, ma il destino può sorprenderti persino a 85 anni e così eccola qui, a sperimentare una vita nuova, con lo spirito di una studentessa universitaria fuori sede.
E’ l’ospite più giovane di questo appartamento al piano rialzato in via Mario Bianco a Milano, zona Lambrate, allestito dalla Comunità di Sant’Egidio per anziani che, come Luigia, sono in buona salute ma non possono né vivere soli né permettersi una badante, rischiando di scegliere soltanto l’ospizio. “Ed è provato che si vive più a lungo, si reagisce meglio alle malattie e si soffre meno di demenza senile quando si resta a casa propria o in un ambiente in cui, diversamente dall’istituto, la persona non è ridotta a patologia” dice Riccardo Mauri, coordinatore di questa coabitazione tra anziani fragili in una città con un indice di vecchiaia del 196 per cento. Ogni 100 giovani milanesi, in altri termini, ci sono 196 over 65: ben oltre la media nazionale del 144 per cento.
Il progetto “Viva gli anziani!” prende spunto da esperienze francesi e tedesche e a Roma conta già tre case gestite dalla Comunità di Sant’Egidio.
A Milano, il 23 febbraio si festeggeranno i primi cento giorni di una convivenza che funziona, dimostrando che la spartizione di spazi e quotidianità non è solo per giovani flessibili. Sono tre gli ospiti, e c’è un quarto posto ancora da assegnare nell’appartamento di 200 metri quadri ceduto dal Comune tra quelli confiscati alla mafia e rimesso a nuovo.
Due badanti si alternano, ma il punto di forza è la rete di 15 volontari che vengono ogni giorno, coinvolgono gli ospiti in piccoli lavori domestici, li accompagnano fuori, si sobbarcano per loro le code dal medico e le burocrazie.
Loro, i nonni, coprono le spese con l’80 per cento della pensione, il che rende il progetto potenzialmente replicabile ovunque, con l’aiuto di Comuni o parrocchie che forniscano le case: un modello di welfare parallelo, nel Paese più vecchio d’Europa dopo la Germania.
I tre sono stati scelti fra gli anziani già sostenuti dalla Comunità di Sant’Egidio in zona Corvetto, dove i volontari frequentano da tempo una casa di riposo e assistono gli anziani che vivono soli.
Piero è l’unico uomo per ora: ironico e lucidissimo, vedovo e con un figlio lontano, a 90 anni non poteva più restare in casa senza aiuti. Mostra le foto delle gite in Liguria con i volontari e quelle della seconda moglie Angela, il grande amore: “Abitava di fronte alla mia officina, è stato un colpo di fulmine”. Racconta di quando era nella Marina militare, durante la guerra, e degli oggetti che ha inventato ma mai brevettato, come le prime zanzariere da finestra.
Infine c’è Enrica, anche lei novantenne: ben truccata e immobile sulla sua poltroncina, da quando s’è rotta il femore è cambiata, dimentica le cose, “e accettare le debolezze degli altri” osserva Riccardo Mauri “fa parte del patto di coabitazione”.
La casa luminosa è un via vai di volontari con i loro bambini e di parenti, e ogni domenica c’è la figlia di Luigia a preparare il pranzo. Oggi si mangia pasta al ragù, cotoletta e patate fritte: “Se sei a dieta, non accettare i nostri inviti a pranzo” ride Franco, volontario, ex imprenditore appassionato di archeologia che ha trasmesso a Luigia l’amore per l’antico Egitto.
Il pomeriggio scorre tra letture e televisione nel salotto comune, con Piero che monopolizza lo schermo per vedere le partite (“Mi devo imporre, sono l’unico uomo”), oppure si esce. “Stanno imparando a gestire abitudini e manie” dice Mauri “prima litigavano su come si prepara il brodo o sul tipo di pasta da cucinare. C’è anche la gestione del senso del pudore, che negli anziani assume una dimensione diversa: qui sanno che devono lavarsi, curare il proprio corpo, per rispetto di sé e degli altri”.
Intanto, la taverna della casa diventerà sede di incontri e iniziative per il quartiere: un’isola di solidarietà in una Milano stressata e confusa, che finalmente guarda negli occhi i suoi vecchi.
da Io Donna, 18 febbraio 2012
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