SE BASTASSE UNA RISOLUZIONE (ONU)
Per la prima volta, arriva dal Palazzo di vetro dell’Onu la condanna delle mutilazioni genitali femminili. Una risoluzione adottata poco fa dal Comitato per i diritti umani dell’assemblea generale definisce queste pratiche una seria minaccia per la salute psicologica, sessuale e riproduttiva di donne e ragazze. Un regresso di civiltà, insomma. E il documento invita i 193 Stati membri dell’Onu non solo a penalizzare le mutilazioni genitali, ma a impegnarsi in campagne di sensibilizzazione per eliminarle una volta per tutte e punire chi si ostina a reiterare questa forma di violenza che - è sempre utile sottolinearlo - non ha alcuna radice nella religione islamica ma nasce da pratiche tribali.
Nel 2010, secondo i dati Onu, circa 70 milioni di donne hanno subìto mutilazioni genitali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di seimila ragazze infibulate o escisse ogni giorno. In Italia - stimava il ministero della Salute qualche anni fa - sarebbero 94 mila le vittime, e quattromila bambine figlie di immigrati egiziani, senegalesi, somali, eritrei, etiopi, sudanesi e nigeriani rischiano di essere “sistemate” durante le vacanze estive nei Paesi d’origine.
Amnesty International ricorda che queste pratiche sono comuni in 28 Paesi africani ma anche altrove: Yemen, Iraq, Malaysia, Indonesia e alcuni gruppi etnici del Sud America.
I racconti delle donne che hanno vissuto questo scempio sono difficili da ascoltare. Echeggiano di dolore fisico vero e intollerabile, di femminilità aggredita, di sessualità mai vissuta a pieno.
In realtà, nessun Paese africano riconosce per legge l'escissione né l'infibulazione, anche se di fatto sono spesso tollerate. Con il Protocollo di Maputo del 2005, tutti i membri dell’Unione Africana hanno formalmente condannato queste pratiche, in un documento sui diritti delle donne comunque importantissimo per la storia del continente.
L’Europa conosce bene quanto l’Africa le mutilazioni genitali, da quando le nostre società sono multietniche. La Svezia è stato il primo Paese europeo ad adottare una legislazione specifica per il reato di mutilazione genitale femminile, nel 1983, prevedendo una pena di due anni di reclusione. Nel 1985 è arrivata la Gran Bretagna, che invece infligge fino a cinque anni di carcere e punisce anche chiunque abbia favorito tale violenza.
In Francia il reato di mutilazione genitale è perseguito ai sensi dell'articolo 312 del Codice penale (violenze sui minori di 15 anni), con una reclusione che raggiunge i vent’anni e addirittura l'ergastolo per i genitori che abbiano sottoposto i figli a mutilazioni genitali.
In Francia il reato di mutilazione genitale è perseguito ai sensi dell'articolo 312 del Codice penale (violenze sui minori di 15 anni), con una reclusione che raggiunge i vent’anni e addirittura l'ergastolo per i genitori che abbiano sottoposto i figli a mutilazioni genitali.
In Italia, con la legge 7 del 2006 le mutilazioni genitali fanno reato a sé e sono considerate “violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona ed alla salute delle donne e delle bambine”. La norma parla anche di prevenzione, con campagne informative e interventi culturali, medici e istituzionali.
Per l’approvazione della risoluzione di oggi da parte dell’intera assemblea generale dell’Onu bisognerà attendere metà dicembre, ma con 110 Stati che la sponsorizzano, di certo passerà. Non impone alcun vincolo legislativo agli Stati membri, ma ha un peso morale e politico che - in teoria - non dovrebbe essere ignorato.
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