NEL NOME DI MIO PADRE


Il giornalista Beppe Alfano.


Vent’anni fa veniva ucciso in Sicilia il giornalista Beppe Alfano. Indagava sui rapporti tra mafia e massoneria deviata. Sua figlia Sonia si è sempre battuta per portare a galla la verità sull’omicidio.
L’ho incontrata cinque anni fa, quando era appena diventata un personaggio noto, spesso invitata in tv da Santoro insieme a Salvatore Borsellino, a seguito delle sue intemperanze: le critiche aspre all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella; le denunce ad alta voce sulle infiltrazioni mafiose nella sua città, Barcellona Pozzo di Gotto nel Messinese; la battaglia per la dignità delle vittime di mafia.
A rileggere ora questa intervista sembra passato un secolo. Era solo il 2008 eppure il lessico dell’antimafia pareva così acerbo, accennato quasi, come dimostrano gli ostacoli incontrati da Sonia Alfano persino nel suo lavoro alla Regione Sicilia (“La sua attività antimafia crea imbarazzo all'amministrazione”, s’è sentita dire un giorno). E lei ancora non pensava di entrare in politica. Poi ha cambiato idea e s’è candidata alla presidenza della Regione con i Grillini e nel 2009 al Parlamento Europeo, dov’è stata eletta come indipendente nelle liste dell’Italia dei Valori. Oggi presiede la Commissione speciale antimafia a Bruxelles.
Ecco la nostra conversazione di allora, nel salottino della pasticceria Spinnato a Palermo.


Le foto di famiglia che Sonia Alfano ha mostrato a Io donna.

Si definisce una vittima di mafia atipica, Sonia Alfano. Una per cui “la memoria ha senso se è impegno civile, indignazione attiva”. Lei arringa folle di giovani nelle scuole del Sud, ammutolisce politici, fa nomi e cognomi dei mafiosi. Ha l’intransigenza di suo padre Beppe Alfano, insegnante appassionato di giornalismo: scriveva per il quotidiano La Sicilia, 4.500 lire a pezzo. Scavava nel torbido della sua città, Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, dove Cosa Nostra lavora invisibile. L’8 gennaio del 1993 l’hanno ucciso nella sua auto con tre colpi di pistola, “l’ultimo diretto in bocca” racconta Sonia, che allora aveva 21 anni. “L’avete ammazzato, perché sfigurargli il volto? Poi ho capito che era un messaggio per chi restava: guardate, questa è la fine che fa chi parla, chi pensa di cambiare le cose”.
La famiglia Alfano lascia Barcellona per trasferirsi a Palermo. Sonia fa la mamma, segue in silenzio i processi che si concludono con la condanna del boss barcellonese Giuseppe Gullotti (quello che recapitò a Giovanni Brusca il telecomando per la strage di Capaci, referente nel messinese di Nitto Santapaola), mandante, e del killer Antonio Merlino. Ma per lei non era che l’inizio.
Sonia, quando ha deciso di uscire dal silenzio?
Nel 2002. Non riuscivo più a guardare la tomba di mio padre: mancava la verità sui veri mandanti. E mi dannavo perché, quando si parlava di vittime di mafia, sentivo soltanto i nomi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ho accantonato le mie paure organizzando il decennale dell’assassinio di mio padre, nel 2003. Volevo che fosse l’occasione di parlare, finalmente, di quanto la mafia sia infiltrata a Barcellona Pozzo di Gotto. Si è sfiorata la rissa.
Subito dopo, però, la Direzione antimafia di Messina ha riaperto l’inchiesta su suo padre.
Sì, in base alle mie dichiarazioni sui mandanti occulti e su sospetti di depistaggio delle indagini.
Il sostegno che lei, Salvatore Borsellino e i ragazzi calabresi del movimento “Ammazzateci tutti” state dando ai magistrati Forleo e De Magistris ha fatto dire al ministro Mastella, dopo una puntata di Annozero, che i vostri toni sono da terrorismo.
Mastella ha chiamato me e Rosanna Scopelliti (figlia del magistrato Antonino Scopelliti ucciso in Calabria nel 1991, ndr) “giovani qualunque portate in tv con chissà quali intenzioni”... Io l’ho detto pubblicamente: oggi non è più necessario uccidere i giudici, basta utilizzare strumenti legislativi per isolare e delegittimare chi indaga sui poteri forti.
Con il ministro ha poi avuto un dialogo duro pubblicato su MicroMega.
Gli ho chiesto di mandare ispettori anche in Sicilia: le procure di Catania e di Caltanissetta sono abbandonate, ai mafiosi non parrà vero. Lui ha detto che nelle cose siciliane non mette becco. Poi però ha fatto sospendere la fiction Rai su Graziella Campagna (vittima di mafia nell’85, ndr) per non turbare il processo in corso a Messina. Perché non s’interessa invece a un sostituto procuratore che usava conversare con la moglie del mafioso Gullotti?

Sonia Alfano, oggi parlamentare europea.

Quante querele ha ricevuto, Sonia?
Ho appreso che l’ex prefetto di Messina mi chiederebbe danni per 500mila euro, sostenendo di essere stato trasferito per causa mia. Forse perché ho detto che nella sua deposizione al processo Scuto (re dei supermercati siciliani, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) lui rispose trenta volte “non ricordo”.
Lei è stata minacciata.
Sì, quando ho divulgato la relazione della Commissione antimafia sulla provincia di Messina, insistendo sullo scioglimento del Comune di Barcellona. Tanti giovani mi si erano avvicinati, e questo dava fastidio. Il 16 marzo del 2006 due uomini in moto mi hanno affiancata mostrandomi una pistola: è esattamente quello che ha visto mio padre prima di morire... Hanno anche tentato di introdursi in casa mia, mentre ero sola con le mie tre bambine. Ma il momento più scoraggiante è stato quando mi hanno tolto la scorta: un’autentica presa in giro.
Perché è morto, Beppe Alfano?
Aveva scoperto che il boss catanese Nitto Santapaola si nascondeva a Barcellona, vicino a casa nostra. Ma quella è stata solo la goccia. Ogni venerdì sera papà stava alla finestra del soggiorno e puntava il cannocchiale sulla villa di fronte: era convinta che quell’edificio ospitasse le riunioni di una loggia massonica deviata. Forse aveva visto Santapaola recarsi là con altri personaggi. E poi scriveva di traffici d’armi, truffe nel commercio degli agrumi, irregolarità al Comune, dove erano arrivati gli ispettori ministeriali. Dopo quindici anni, non si sa ancora nulla di quella ispezione.
Suo padre mostrava paura, negli ultimi tempi?
Mostaccio (indicato tra i mandanti ma poi assolto, allora presidente di una società su cui Alfano indagava, ndr) gli aveva detto che poteva far scomparire chiunque schioccando le dita. Una sera papà si sfogò con me: “Non arriverò vivo a San Sebastiano” mi disse, e San Sebastiano è il 20 gennaio. Io avrei dovuto abbracciarlo e invece gli risposi: “Ma che film ti fai?”. Lui aveva lo sguardo di chi non è compreso. In cambio del suo silenzio, Mostaccio gli aveva anche offerto 39 milioni di lire: l’ammontare dei debiti che papà aveva contratto dopo che la sua auto era stata incendiata, danneggiandone altre con il rogo. “E tu che gli hai risposto?” gli chiesi io. Lui si voltò di scatto, fulminandomi con lo sguardo: “L’ho mandato a quel paese”.
Secondo lei suo padre sarebbe vivo, se avesse accettato di tacere?
Sì, e io mi vergognerei di lui. Lo ringrazio per non essersi fatto comprare. Mi manca, era la colonna portante della mia vita, ma sono fiera di poter dire che Beppe Alfano ha avuto la schiena dritta, e di poterlo dire in faccia a tanti politici.
Lei lavora alla Protezione Civile, dipendente della Regione Sicilia. E’ mai stata invitata a toni più sobri?
Mi è stato detto che la mia attività antimafia crea imbarazzo all’amministrazione.
Insieme con altre vittime di mafia, lei si è incatenata davanti alla Prefettura di Palermo chiedendo di non essere considerati di serie B rispetto alle vittime del terrorismo. Com’è finita quella vicenda?
Una legge del 2004 riconosce solo alle vittime del terrorismo una serie di benefici, anche formali. Ora la Finanziaria ci ha accordato lo stesso vitalizio, 1,033 euro al mese, senza però equipararci. Mio padre e Marco Biagi non sono forse morti entrambi per un ideale?
Perché non lascia la Sicilia?
Per poter continuare a combattere da dentro. Ai ragazzi del Sud dico sempre: il vostro futuro è nella vostra terra. Lasciamo stare i convegni e riportiamo la gente in piazza per levare consenso alle mafie. Ci sono tanti giovani che vogliono davvero cambiare le cose. Non scorderò mai una ragazza di Catanzaro che chiedeva, in lacrime: “Chi votiamo? Chi ci rappresenta?”.
Cosa le ha risposto?
Candidatevi voi.
Potrebbe candidarsi lei.
Tanti ragazzi me lo hanno chiesto, ma io non sono compiacente e non medio: quale partito mi vorrebbe? Sono stata anche esclusa dall’associazione Libera per aver criticato il presidente della Commissione antimafia... Per ora non so. Preferisco fare casino, svegliare la gente.
E’ stata anche invitata a scrivere.
Ho rifiutato offerte da giornali e televisioni. Sono soltanto il veicolo per far conoscere mio padre: la sua figura è troppo grande, non mi sento all’altezza. Il giornalista era lui, e veniva censurato persino dal suo giornale. Alla cui redazione, spesso, devo ricordare io il necrologio in memoria per l’8 gennaio...

QUELLA NOTTE DI VENT’ANNI FA
Ultimo di otto giornalisti uccisi in Sicilia, da Cosimo Cristina a Mauro Rostagno, Beppe Alfano aveva 47 anni quando è stato freddato da una pistola calibro 22 la sera dell’8 gennaio 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), nella sua Renault con i fari ancora accesi. Era un militante di destra, la stessa destra legalista seguita da Paolo Borsellino. Il tesserino dell’Ordine dei giornalisti gli è arrivato dopo la sua morte, così come i premi alla professione.
Prima di seguire la pista mafiosa, le indagini sul suo assassinio si sono concentrate sulla ricerca di inesistenti debiti di gioco e di pericolose relazioni sentimentali, forse perdendo del tempo prezioso.
All’inizio del 2008, Sonia Alfano riferiva che ogni 8 gennaio il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto commemorava Alfano senza consultare la famiglia. E che in via Marconi, proprio dove il giornalista moriva, restava un cassonetto dell’immondizia.

da Io donna, 12 gennaio 2008

Commenti

Post più popolari