PIÙ DONNE NEI CDA, PIÙ PROFITTI
Che siamo brave, puntigliose sul lavoro, con un'ansia da prestazione che ci istiga a dare sempre il meglio e una voglia di emergere che è la nostra droga per non sentire la fatica, lo sapevamo già. Adesso però arriva dalla Bocconi la formula matematica che aspettavamo: se al timone di un'azienda medio-grande ci sono almeno due donne, il profitto aumenta. Ne ho appena scritto su Io Donna.
Da sole al comando, rendono poco. Se invece l'azienda conta almeno due donne nel consiglio d'amministrazione, il profitto aumenta addirittura del 18 per cento. Il dato sorprendente è contenuto in una ricerca di Alessandro Minichilli e Mario Daniele Amore dell'Università Bocconi di Milano, condotta insieme a Orsola Garofalo dell'Universitat Autonoma de Barcelona e appena pubblicata sulla rivista Management Science.
Dal 2000 al 2010, gli autori hanno studiato l'andamento di tutte le 2.400 imprese a controllo familiare in Italia con un fatturato annuo al di sopra dei 50 milioni di euro, “che dunque sono rappresentative del tessuto imprenditoriale del nostro Paese” spiega Alessandro Minichilli, assistant professor al dipartimento di Management e Tecnologia della Bocconi.
Minichilli racconta di essere partito da un'intuizione: “Una ricerca del 2012 affermava che le donne provenienti da scuole esclusivamente femminili risultano più competitive rispetto a quelle che hanno frequentato istituti misti. Così abbiamo pensato di verificare se i contesti omogenei per genere possano davvero permettere alle donne di esprimere al meglio le loro potenzialità”. Il risultato è appunto quel 18 per cento di incremento medio del profitto quando in un'azienda familiare c'è più di una donna al timone. Se invece la manager è sola in un board di uomini, il panorama cambia: “In questi casi i risultati non sono positivi” chiarisce l'esperto “forse perché le disparità di genere e i pregiudizi creano ancora ostacoli alla carriera femminile”.
Lavorando in gruppo o almeno in coppia, al contrario, le donne ai vertici si legittimano a vicenda, si supportano, si sentono incoraggiate nella cooperazione e nello scambio di informazioni. Avvertono meno la tensione competitiva e finiscono per dispiegare al meglio le loro capacità.
Un fenomeno che si rivela molto più marcato nel nord Italia, nelle aziende di dimensioni più contenute e in quelle dove le donne manager non appartengono alla famiglia proprietaria, “perché sono state selezionate secondo criteri di merito e non di parentela”.
Ed è un'ulteriore conferma dell'utilità della legge 120 del 2011 per la quale, entro quest'anno, un quinto dei membri dei board e dei collegi sindacali delle imprese quotate in borsa dovrà essere donna, mentre nel 2015 la quota rosa dovrà arrivare a un terzo. Per ora, solo il 10,6 per cento degli amministratori è di sesso femminile: mancano 469 donne consigliere per adeguarsi alla scadenza indicata dalla legge per quest'anno, e altre 351 entro il 2015.
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