MIO PADRE HA UCCISO MIA MADRE
Su Facebook, Anna sorride accanto al padre durante un viaggio in Australia: “Papà, dicevi che era il momento più felice della tua vita” scrive. “Anche per me lo era”. E poi un’immagine di lei con la madre, in piazza Duomo a Milano: “Mamma, sei nel mio cuore”.
Parlano d’amore e di strazio, le foto di questa diciannovenne campana: in giugno suo padre, carabiniere, ha sparato alla moglie e si è tolto la vita. Il padre di Giulia è invece all’ergastolo: nel 2009, a Catania, ha ucciso a coltellate la moglie e la figlia più piccola. Giulia aveva 13 anni. Il padre ha tentato di soffocarla mentre lei gli gridava: “Noi ti vogliamo bene, perché lo fai?”. Tempo dopo ha lanciato un appello: “Non liberatelo. Dev’essere fatta giustizia”.
Appaiono nelle cronache e subito si dileguano, come personaggi secondari di una tragedia che non riescono a decifrare. Invece ne sono protagonisti: bambini e ragazzi interrotti, che a volte faticano persino a mangiare perché era soprattutto a tavola che il padre esplodeva contro la madre.
QUANTI SONO
Sono già 128, quest’anno, le donne uccise dai propri uomini. Oltre duemila negli ultimi 13 anni, e molte erano madri. Nel 30% dei casi, l’assassino si è suicidato. Secondo l’Istat, il 62,4% delle violenze domestiche si consuma di fronte ai figli, e per questi casi il decreto legge cosiddetto "sul femminicidio", approvato in ottobre, aumenta la pena di un terzo.
Non esistono però statistiche precise su quanti siano gli orfani dei femminicidi: “Dal 2000 a oggi, ne stimiamo 1.500” dice Anna Costanza Baldry, psicologa della Seconda Università di Napoli che, con la rete dei centri antiviolenza D.I.re, conduce il primo studio italiano sul tema. “Cercheremo di capire cosa succede a questi minori: a chi vengono affidati, se si portano addosso un “marchio” sociale... E proporremo delle linee guida per tutelarli”.
Al sito switch-off.eu il gruppo di esperti ha iniziato a raccogliere, nell'assoluto rispetto della privacy, storie e richieste d’aiuto: “I casi sono rari, se confrontati con il numero dei minori abusati” precisa Baldry. Secondo uno studio Terre des Hommes-Cismai, in Italia le piccole vittime di maltrattamenti sono infatti 100 mila, ma a volte il loro dramma si intreccia con il femminicidio. Come per Giulia, che ha assistito all’assassinio della madre e per giorni è stata in prognosi riservata perché il padre si è accanito anche contro di lei. Come per un diciassettenne di Collegno, nel Torinese, ferito mentre tentava inutilmente di fermare il padre che accoltellava la madre: spettatore e, insieme, vittima di violenza.
CHE TIPO DI DISAGI ACCUSANO
“Spesso il femminicidio avviene dopo anni di abusi” chiarisce la psicologa Valeria D’Angelo dell’associazione romana Differenza Donna. “I bambini che vi assistono accusano depressione, ansia, stress post-traumatico. E per alcuni di loro, la prevaricazione diventa il paradigma di ogni relazione”.
L’esperta racconta di un bimbo di 4 anni che inveiva contro la madre, rifugiata con lui in un centro antiviolenza dopo le percosse del marito: “La mordeva, la aggrediva con bestemmie. Era abituato a un perenne stato d’allarme, a casa con il padre. Da noi ha iniziato a rasserenarsi”.
Da una ricerca americana (Graham-Bermann & Seng, 2005) emerge che i bambini testimoni di violenze in casa sono più soggetti a tentare il suicidio, abusare di droghe e alcol, prostituirsi, commettere stupri. Anna Costanza Baldry ricorda un ragazzo, orfano di madre a 14 anni, scivolato nella delinquenza: “Difendeva il padre, diceva che aveva fatto bene a uccidere la madre perché lei lo tradiva. Questi orfani si ritrovano senza certezze, a volte sballottati da una casa all’altra: ci vuole un supporto psicologico, non si può lasciare il loro destino al caso. E anche un sostegno per i parenti che li accolgono, i quali devono elaborare un lutto e, allo stesso tempo, crescere dei bambini sofferenti”.
A CHI VENGONO AFFIDATI
“Il primo passo è capire se i nonni o gli zii possano prendersene cura” spiega il giudice minorile di Lecce Maria Rita Verardo. “L’importante è che non sostino a lungo in una comunità e che non cambino troppe famiglie: hanno bisogno di un ambiente affettivo e stabile, per questo si individuano i parenti più disponibili e capaci”. E non sempre sono quelli materni: “Dipende dal rapporto che hanno con il bambino” osserva il magistrato Piercarlo Pazé, direttore della rivista Minorigiustizia che a gennaio dedicherà un dossier al femminicidio. “Alcuni parenti dell’uxoricida si sentono in colpa e desiderano sinceramente accogliere questi orfani. Ogni caso è a sé, non esistono regole generali, ma in genere è la famiglia allargata a prenderli con sé: le adozioni sono casi limite”.
Come il bimbo di due anni che ha vegliato per ore il corpo della madre Rosi, uccisa a Palermo, in luglio, dall’ex compagno: i nonni materni, che volevano crescerlo, erano troppo anziani e indigenti, e ora lui è in attesa di adozione. E sono i servizi sociali e i giudici minorili a valutare se, a un certo punto, un figlio possa visitare in carcere il padre, che con la condanna perde la potestà genitoriale: “Hanno sentimenti ambivalenti verso il genitore assassino” dice Baldry “dipende tutto dal rapporto precedente al delitto. Alcuni figli, pur non perdonando il padre, riescono a non crescere nell’odio”.
UNA LEGGE PER LORO?
In agosto ad Avola, provincia di Siracusa, un uomo ha sparato alla moglie Antonella e si è suicidato. Il figlio di 4 anni è rimasto a lungo rannicchiato in un angolo. Ora la figlia maggiore, Nancy Mensa, chiede aiuto allo Stato che non ha saputo preservarli dall’orrore: “La madre aveva più volte cercato protezione dai carabinieri” spiega il suo avvocato, Emanuele Tringali. “Aveva chiesto la separazione in agosto e l’udienza era stata fissata in ottobre: come poteva, Antonella, restare tutto quel tempo accanto a un uomo che già aveva denunciato?”.
Nancy oggi abita con la famiglia del fidanzato, si è iscritta all’università ma non ha risorse economiche. Il fratellino è in psicoterapia, ma soltanto grazie a una professionista che non si fa pagare. Così, lei e il suo avvocato hanno elaborato una proposta di legge per gli orfani dei femminicidi-suicidi: “Sostegno economico, agevolazioni lavorative, aiuto psicologico. Come per le vittime di terrorismo” chiarisce Tringali. Ma finora, dalle istituzioni, ha risposto solo una deputata del Pd, Sofia Amoddio, che sta portando avanti la causa dei ragazzi come Nancy. “La Corte Europea ha sanzionato l’Italia perché non risarcisce adeguatamente le vittime di crimini violenti” ricorda Amoddio “e gli orfani del femminicidio rientrano fra questi casi. Non possiamo abbandonarli”.
Soprattutto quando c’erano chiare avvisaglie della furia assassina. E nessuno ha fatto nulla per fermarla.
I nomi dei minori citati sono tutti di fantasia, le loro storie invece sono vere.
L'articolo è stato pubblicato sul settimanale Donna Moderna il 21 novembre 2013.
L'intervista sul tema durante un incontro a Piacenza: http://www.liberta.it/2013/11/25/femminicidio-e-dintorni-1-500-orfani-in-13-anni/
L'articolo, come TUTTI i contenuti di questo sito, è di esclusiva proprietà dell'autrice. Ne è quindi vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo, senza chiedere preventivamente l'autorizzazione a Emanuela Zuccalà. E' invece benvenuta la citazione su altri siti e social network, purché contenga il link a questo sito.
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