LE FARFALLE NELL'INFERNO DI BUENAVENTURA

Foto UNHCR/L.Zanetti
Gloria Amparo ha dedicato la vita alle donne vittime di violenza e, nel 1993, ha dovuto lasciare Bogotà perché lei stessa era stata minacciata di morte. Maritza Asprilla Cruz ha maturato la passione per i diritti delle donne nel suo quartiere di Buenaventura, percorso da miseria e guerre fra bande che non risparmiano nessuno. Mery Medina accompagna le vittime che vogliono ottenere giustizia e organizza manifestazioni affinché la loro voce risuoni forte e chiara.
Il 29 settembre a Ginevra, saranno queste tre donne colombiane a ritirare il prestigioso Nansen Refugee Award, con il quale l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati premia individui e associazioni che abbiano svolto un eccezionale lavoro umanitario a favore di profughi e sfollati.

UNHCR/L.Zanetti
Quest’anno tocca a loro, le “farfalle” che volano nell’inferno di Buenaventura, città di 300 mila abitanti che è il maggior porto della Colombia sul Pacifico. La loro associazione, Red Mariposas de Alas Nuevas Construyendo Futuro, riunisce cento volontarie che, spesso a rischio della vita, assistono le donne sfollate e quelle che hanno subìto vari generi di violenza. 
Dopo la Siria, la Colombia è il Paese al mondo con il maggior numero di sfollati interni, quasi 6 milioni - su 46 milioni di abitanti - costrette a fuggire dalle loro case per la guerra civile che dura da cinquant’anni. E Buenaventura, crocevia marittimo del traffico di cocaina, è uno dei campi di battaglia più caotici, stretto nella morsa di gruppi armati che lottano per il controllo della droga e del racket delle estorsioni, tenendo in ostaggio interi quartieri. I bersagli di stupri, omicidi e torture sono spesso le donne e i bambini, tanto che Human Rights Watch ha definito questo posto “terrore in una terra di nessuno”.
“La situazione a Buenaventura mostra l’impatto devastante del conflitto sulle famiglie, e quanto sia necessario il lavoro delle Mariposas” ha spiegato António Guterres, Alto Commissario Onu per i rifugiati. “I gruppi armati mirano a distruggere il tessuto sociale della comunità. Aggrediscono i più vulnerabili con violenze sessuali, rapimenti e omicidi. Le volontarie prendono le vittime sotto la loro protezione e le aiutano a riappropriarsi delle proprie vite e a reclamare i loro diritti”.
Le “farfalle” percorrono a piedi o in bicicletta i quartieri più atroci, aiutando le donne ad accedere alle cure mediche, sostenendole nei difficili percorsi in tribunale per condannare i loro aguzzini, rendendole coscienti dei loro diritti e organizzando corsi professionali.

UNHCR/L.Zanetti
Sono oltre mille, oggi, le beneficiarie dell’associazione. Tra loro c’è Luz Dary Santiesteban, che nel ’95 fuggì dal suo villaggio nella foresta pluviale della provincia di Choco dopo una devastante incursione dei ribelli. “Sono arrivata a Buenaventura indossando abiti bagnati e nient’altro” racconta, ma qui si è ritrovata nel mezzo di altri fuochi incrociati, e nel 2004 quattro paramilitari armati l’hanno violentata dentro casa sua. “Abusavano dei nostri corpi per controllare il territorio” dice. “Era un modo per mostrare che comandavano loro”. Per sei anni, la paura ha tappato la bocca di Luz Dary ma, quando ha incontrato le Mariposas, ha finalmente deciso di spezzare il silenzio: “Raccontare lo stupro alle altre è stato come togliermi di dosso un cancro che mi stava consumando” ammette. “Grazie al gruppo, sono diventata più forte e ho imparato a dare valore a me stessa”.
Oggi Luz Dary offre supporto e consigli ad altre donne sopravvissute agli stupri. Come lei, la maggior parte delle volontarie di Mariposas sono state sfollate negli ultimi decenni, hanno perso familiari nel conflitto, sono sopravvissute alle violenze. Subiscono costanti minacce dalle gang criminali ma non si fermano.  Anzi, i 100 mila dollari del Nansen Award le ha rese più forti e agguerrite.

da Io donna, 17 settembre 2014


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