L'UOMO CHE RIPARA LE DONNE
“Devo proteggermi. Devo rendermi insensibile per essere in grado di aiutare una paziente che perde urina e materia fecale dopo che lo stupro di gruppo l’ha lacerata dentro. Come farei, altrimenti, a curare donne torturate con bastoni, coltelli, baionette esplose dentro i loro corpi rimasti senza vagina, senza vescica, senza retto? Come potrei dire a un’adolescente: mademoiselle, lei non diventerà mai una donna?”.
Il ginecologo congolese Denis Mukwege mi raccontava con queste parole il suo tormento di medico e di uomo, quando lo incontrai nel 2009 nel suo ospedale Panzi a Bukavu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, provincia del Kivu: il teatro di una guerra che si trascina da oltre quindici anni.
Nel 1999, una ragazza violentata poco lontano dall’ospedale s’era trascinata da lui implorandolo di fermare l’emorragia: da allora, Mukwege ha operato quasi trentamila vittime di stupri efferati e ne ha medicate altrettante nei villaggi, condannato a leggere nei loro corpi tutti gli scempi del suo Paese, dove dal 1998 si combatte per il controllo di immense ricchezze minerarie.
Oggi il ginecologo è uno dei maggiori esperti mondiali nel trattamento delle fistole: lo chiamano “l’uomo che ripara le donne”, e l’appellativo che lo ha reso famoso in tutto il mondo ha dato anche il titolo originale al libro in cui la giornalista belga Colette Braeckman racconta la sua storia, appena uscito in Italia per le edizioni Fandango con il titolo Muganga. La guerra del dottor Mukwege.
Dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali (tra cui il Premio delle Nazioni Unite per i diritti dell’Uomo e il Premio Olof Palme in Svezia), dal 18 al 20 ottobre Denis Mukwege sarà a Genova per ritirare il Premio internazionale Primo Levi, un piccolo Nobel per la pace tutto italiano dedicato a personalità che hanno promosso i diritti umani anche a rischio della vita. E il ginecologo, nella Repubblica Democratica del Congo, è tra i pochissimi uomini che abbiano levato la propria voce in difesa delle donne, raccontando come in questo cruciale lembo d’Africa gli stupri di massa siano diventati un’autentica arma di guerra per tutte le milizie in lotta: “Quando ho cominciato a curare le vittime, ho iniziato anche a chiedermi cosa stesse accadendo” spiega. “Non si trattava solo di violenti atti di guerra: era una vera e propria strategia. Quando tante donne vengono violentate contemporaneamente, in pubblico, si feriscono non solo le vittime ma intere comunità, obbligate a guardare. Il risultato di questa strategia è che la gente è costretta a fuggire dal proprio villaggio, ad abbandonare i propri campi, le proprie risorse”.
Nato nel 1955, figlio di un pastore protestante, “l’uomo che ripara le donne” si è laureato in Medicina in Burundi e specializzato in Francia. Nel 1998 ha fondato l’ospedale Panzi come un campo tendato per tamponare le emergenze sanitarie, in un’area che proprio quell’anno vedeva l’inizio della guerra che fino al 2002 ha coinvolto otto nazioni e venticinque gruppi armati. Furono cinque milioni le vittime e decine di migliaia gli sfollati, nel più sanguinoso conflitto del globo dopo la seconda guerra mondiale. E anche se ufficialmente le ostilità sono terminate, dal 2002 continuano a fronteggiarsi l’esercito regolare congolese e numerosi gruppi ribelli che mirano al controllo delle miniere d’oro, di coltan, di rame e di diamanti.
“Avrei voluto poter dire “Ho l’onore di essere parte della comunità internazionale che voi qui rappresentate”, ma non posso”: così Denis Mukwege esordì nel suo discorso alle Nazioni Unite, nel settembre del 2012, denunciando l’indifferenza globale verso gli orrori che si consumano in Congo. “Come potrei dirlo, quando la comunità internazionale ha dimostrato paura nel mio Paese durante questi anni?”. Poco dopo, il medico è stato vittima di un attentato a Bukavu: “Degli uomini mi hanno tirato fuori a forza dalla mia auto e hanno sparato a una delle mie guardie, uccidendola. Io sono caduto e loro continuavano a sparare. Davvero non so come io sia sopravvissuto”. Anche la sua famiglia è stata minacciata. Per qualcuno, l’attentato era legato al suo durissimo discorso all’Onu, in cui Mukwege denunciava anche il governo congolese per aver permesso gli stupri di massa e l’impunità per i colpevoli, criticando inoltre il governo del Rwanda per aver fomentato il caos nell’est del Congo.
Dopo un esilio forzato in Svezia e a Bruxelles con la moglie e le due figlie, Mukwege ha deciso di tornare nella sua Bukavu, nel gennaio del 2013, “grazie alla determinazione delle donne congolesi che lottano contro queste atrocità” spiega. “Queste donne hanno avuto il coraggio di protestare con le autorità per ciò che mi era accaduto. Hanno addirittura fatto una colletta per pagarmi il biglietto di ritorno, e sono donne che non hanno nulla, vivono con meno di un dollaro al giorno...”. Al suo rientro, è stato salutato come un autentico eroe, e adesso le donne che ha curato fanno a turno per proteggerlo, notte e giorno.
Oggi, il dottor Denis Mukwege è uno dei candidati al Nobel per la pace: “Se fossero gli uomini a soffrire, invece delle donne” mi ha detto, sommesso, durante il nostro incontro a Bukavu, “sono certo che la comunità internazionale avrebbe già trovato una soluzione”.
Racconto il mio incontro con Mukwege e testimonianze di donne del Kivu vittime di stupri di guerra nel libro "Donne che vorresti conoscere", in uscita il 20 novembre per Infinito Edizioni.
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