L'OBIETTIVO DELLE DONNE
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Una rivincita femminile in un mestiere tradizionalmente da uomini? In molti casi sì. “Ho un ricordo intenso di una madre che aveva perso il figlio nella guerra del Golfo” racconta Maggie Steber, che in quarant’anni di carriera ha lavorato in 64 Paesi. E sa che quella madre prostrata avrebbe potuto aprire il suo cuore solo a un’altra donna: “Ho vissuto con lei per il mio progetto Lettere di guerra e alla fine, piangendo insieme davanti a un caffè al tavolo della sua cucina, io ho scattato la foto che cercavo e lei mi ha detto: “Questi giorni con te sono l’inizio della mia guarigione””.
Stephanie Sinclair, Too Young to Wed |
Nujood Ali sorride radiosa e, nel gesto di aggiustarsi il
velo rosso sul capo, sembra accingersi a sventolarlo come la bandiera della sua vittoria. Data in
moglie a soli 9 anni a un uomo adulto, la piccola yemenita ha avuto il coraggio
di ribellarsi, di chiedere il divorzio e tornare libera a godersi la sua
infanzia, diventando un volto simbolo di speranza per tutte le spose bambine del mondo.
Il ritratto della sua felicità riconquistata, a firma della fotografa StephanieSinclair, ha fatto il giro del globo, è stato utilizzato dall'Onu per una campagna contro i matrimoni precoci ed è anche stato scelto come manifesto di una mostra tutta
al femminile: Women of Vision, a
Palazzo Madama a Torino fino all’11 gennaio, promossa dalla Fondazione Torino Musei e
dalla rivista National Geographic Italia.
Novantanove immagini di 11 autrici americane, tra veterane dell’obiettivo come
Jodi Cobb e Maggie Steber e talenti in ascesa come Kitra Cahana, che sulle
pagine internazionali dello storico giornale hanno esplorato culture e paesaggi, conflitti, fenomeni sociali e, soprattutto, i diritti negati delle donne.
“Quando si pensa al fotoreporter impegnato, viene in mente
un omone barbuto con la Leica a tracolla, un mix tra Indiana Jones e il
fotografo cinico interpretato da Nick Nolte nel film Sotto tiro”, osserva Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia e curatore
della mostra. “Invece anche nel reportage di guerra ci sono signore che non
disdegnano il tacco 12 e, attraverso il loro sguardo, ci restituiscono storie
inaccessibili agli uomini: sia per le barriere culturali in certi Paesi; sia perché,
trattando la violenze di genere, solo una donna coglie nel profondo la
sofferenza delle vittime”.
Maggie Steber, War Letters |
Una rivincita femminile in un mestiere tradizionalmente da uomini? In molti casi sì. “Ho un ricordo intenso di una madre che aveva perso il figlio nella guerra del Golfo” racconta Maggie Steber, che in quarant’anni di carriera ha lavorato in 64 Paesi. E sa che quella madre prostrata avrebbe potuto aprire il suo cuore solo a un’altra donna: “Ho vissuto con lei per il mio progetto Lettere di guerra e alla fine, piangendo insieme davanti a un caffè al tavolo della sua cucina, io ho scattato la foto che cercavo e lei mi ha detto: “Questi giorni con te sono l’inizio della mia guarigione””.
Lynsey Addario, Veiled Rebellion |
A quarant'anni, Lynsey Addario del New York Times è già un grande nome
della fotografia di guerra, scampata a due rapimenti in Iraq e in Libia e
refrattaria a disegnare barriere di genere nella sua professione. Eppure persino
lei ammette che solo una donna poteva avvicinarsi alle due afgane protagoniste
di uno scatto del suo lavoro Ribellione velata, in una
terra in cui gli uomini non rivolgono la parola all’altro sesso: “Vidi madre e
figlia sul lato della montagna, sole e vestite con il burqa” ricorda Addario. “La
diciottenne Noor Nisa era incinta, le si erano appena rotte le acque ma l’auto
si era fermata e il marito era andato a cercare un altro mezzo per raggiungere
l’ospedale di Faizabad. Era determinato ad arrivarci: la sua prima moglie era
morta di parto in casa. Sono stata io ad accompagnargli, e la giovane ha
partorito una bimba. Incredibile: ero in Afghanistan per un servizio sulla salute
materno-infantile, e l’intera storia era lì ad attendermi su una strada
polverosa”.
Lynn Johnson, Necessary Angels |
“In molti Paesi di costumi tradizionalisti, essere donna è un vantaggio” spiega LynnJohnson, che con Jodi Cobb e Maggie Steber è stata tra le prime fotogiornalise donne del National Geographic. “Sei più invisibile e trattata con cortesia”. Dai primi scatti
per l’annuario scolastico del liceo, Johnson si è specializzata nel trattare
temi durissimi, astratti e difficili da figurare, con delicatezza e grande empatia per i soggetti: il vaiolo in
Africa, le lingue in estinzione, la casta degli “intoccabili” in India. “Le
donne eccezionali che ho fotografato mi hanno dato forza”, ammette. Come
l’infermiera indiana Sakubai Gite, che in un suo scatto mostra le dita
deturpate dalla lebbra avuta in gioventù: uno stigma che lei ha saputo vincere
lavorando per la sua comunità.
Teenage Brain |
La ventisettenne Kitra Cahana è la più giovane nel gruppo delle fotografe in mostra a Torino,
scoperta da National Geographic per un suo lavoro sugli adolescenti americani. Figlia di un rabbino e cresciuta tra
Canada e Svezia, oggi prosegue l’esistenza nomade con il suo fidanzato: “Ci muoviamo
di storia in storia” sorride. “Adesso io sono al Circolo polare artico per
documentare il riscaldamento globale e lui viaggia tra California e Messico
scrivendo un romanzo. Ci incontreremo lungo la strada e proseguiremo insieme”.
Di strada ne hanno fatta parecchia, le donne dietro l’obiettivo. E finalmente non devono più sorbirsi frasi simili a quelle che negli anni Cinquanta Kathleen Revis, la prima
fotoreporter donna nello staff di National
Geographic, era costretta a sentire dalla bocca del suo capo: “Se non riesci a portare a casa il
lavoro, puoi sempre andare a fare shopping”.
da Donna Moderna, 26 novembre 2014
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