LA RABBIA DELLE DONNE
Foto di Filippo Venturi |
“I cocci di ceramica schizzavano in aria, il mobile di legno si sfilacciava sotto i miei colpi, e io vedevo schierati davanti a me, pronti ad accogliere l’impeto della mazza da baseball, i problemi della mia vita. Il fatto che a un anno dalla laurea fossi ancora disoccupata. La crisi nera con il mio fidanzato. Venti minuti dopo avevo spaccato tutto, dentro quella stanza, sorprendendomi della forza pazzesca che il mio corpo gracile è in grado di esprimere”.
Anna, 27 anni, non se ne vergogna: l’ha fatto per eliminare lo stress di un periodo psicologicamente gravoso, e l’insonnia a prova di corse e nuotate. Ramona, invece, continuerà a liberare le sue pressioni emotive suonando la chitarra, praticando yoga e pilates perché, dice, “quel giorno ho realizzato che la distruzione non è nella mia natura. Mentre agitavo quel bastone non facevo che pensare “Oddio, e adesso chi pulisce?””.
La collera delle donne ha radici, percorsi e approdi infiniti ma almeno qui, in questo capannone alla periferia di Forlì, è legittimata a schiantarsi contro tutto ciò che trova senza lasciare traccia, una volta che i cocci saranno gettati via. Si chiama Camera della rabbia e ha aperto quasi due anni fa come luogo protetto per uno sfogo alternativo e ludico: “L’unico posto dove puoi distruggere tutto e nessuno ti dirà niente” recita il suo slogan. Si prenota, si pagano 15 euro per dieci minuti e 25 euro per venti minuti. Si sceglie tra una stanza zeppa di chincaglierie in ceramica e un’altra con bottiglie e ampolle di vetro. Ci si protegge con scarpe e tuta anti-infortunistiche, ginocchiere, guanti, maschera e casco. Quando s’impugna la mazza di ferro e parte la musica heavy metal, ogni scoria emotiva può finalmente erompere.
Il proprietario, Cristian Castagnoli, sta per avviare un franchising in tutta Italia: “Avevo letto di una Anger Room a Dallas, e di esperienze simili in Slovenia e Giappone”, spiega, rivelando che l’idea originaria risale niente meno che a Gianni Rodari. “Nel suo racconto Il palazzo da rompere, il sindaco di una cittadina predispone un edificio di 7 piani affinché i bambini troppo irrequieti vi si possano sbizzarrire e smettano così di rompere vetri e sedie a scuola”. E se nella storiella del 1962 l’innocente orgia di martellate trasforma le piccole pesti in frugoletti “delicati e leggeri come farfalle”, le odierne sedute anti-stress nella campagna romagnola sfiancano membra e nervi al punto da sedare qualsiasi furia interiore.
“Ci sono andata mentre scrivevo la tesi” ammette Floriana, 27 anni, prossima alla laurea in Scienze criminologiche. “È stato divertente e liberatorio”. Anche Rossella ha voluto provare per sgravarsi di un carico di tensione universitaria esagerato. “Riceviamo una ventina di persone a settimana” spiega Castagnoli “dai 20 ai 35 anni, oltre la metà provenienti da fuori regione: dalla Toscana, soprattutto, o chi è in vacanza in riviera e si concede un pomeriggio qui”. Clienti occasionali o habitué, e all’80 per cento donne. Come Anna, Ramona, Rossella e Floriana, ritratte dal fotografo cesenate Filippo Venturi per il suo progetto L’Ira funesta. Una massiccia affluenza femminile che non è casuale: “La rabbia è un’emozione naturale, che si attiva quando siamo attaccati nel nostro spazio psico-fisico” osserva la psicoterapeuta Monica Morganti, che sul tema ha scritto La rabbia delle donne e Gestire la rabbia (edizioni FrancoAngeli). “Per le donne la censura sociale resta forte sul piano dell'espressione: in una dimensione simbolica che ancora influenza i nostri modelli culturali, almeno in Italia, l’uomo aggressivo è normale, socialmente accettato, mentre la donna resta un’Afrodite che misura il suo valore nell’amore e nella dedizione. Per la mentalità comune l’uomo potente è un vincente mentre la donna potente è considerata castrante”. Così, prosegue Morganti, “le donne tendono a rimuovere la collera, a negarla. La somatizzano in disturbi legati al trattenere, come mal di schiena, collo e testa, oppure la fanno esplodere in modi scomposti che finiscono per danneggiarle nel sociale e nel privato: piangendo sul lavoro, per esempio, o urlando contro figli e compagni. Quelle che gli uomini definiscono “scenate da pazze”. Ho tante pazienti che picchiano i figli per liberare la frustrazione”.
L’uomo iracondo sarebbe dunque epigono di Marte o di Achille, mentre la donna furente resta una mostruosa Erinni o Medusa. Per questo, secondo gli esperti, la Camera della rabbia può essere, soprattutto per le donne, uno scarico temporaneo che distende i nervi, “ma senza una riflessione sulle cause del malessere, nel lungo periodo frantumare oggetti servirà a poco” nota lo psicologo Gianluca Farfaneti, che ha collaborato al progetto fotografico di queste pagine e riconosce alla Camera della rabbia “un’utilità pragmatica in un’epoca di precarietà diffusa, in cui le persone faticano a trovare dimensioni per realizzarsi e cercano delle protesi per incanalare l’insoddisfazione. La Camera della rabbia centra un bisogno che evidentemente esiste: restituisce un senso di libertà, una sorta di riduzione del danno emotivo che altrimenti potrebbe spingere l’aggressività oltre il livello di guardia e trasformarla in autolesionismo o violenza sugli altri. Ma per affrontare la radice degli eventi stressanti sono più efficaci le tecniche di mindfulness e di meditazione”.
Lo scriveva già nel II secolo l’imperatore filosofo Marco Aurelio: “Contro le cose non conviene adirarsi, giacché esse non se ne curano affatto”.
da Io donna, 21 marzo 2015
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