NELLA VALLE DEL GIORDANO


Diari palestinesi/1
Amal ha 22 anni. Indossa una vezzosa gonna nera, lunga e lucida, decorata a lacci e cinghie fitte, e confida un sogno semplice come il suo viso indurito dal sole: “Riprendere gli studi e laurearmi in informatica, per diventare un’insegnante e trasferirmi in città, a Hebron, dove sono nati i miei nonni. Ogni tanto ci andiamo, per un matrimonio o un battesimo... Invece devo restare qui, con la mia famiglia”.

Amal, a destra, con la cugina Ichlas.
Il qui di Amal è una perdita d’occhio di campi di grano nei pressi della cittadina di Tubas in Cisgiordania, Palestina. E la casa di Amal è una tenda con il pavimento di plastica su cui poggiano quattro materassi. Fuori, altre tende, un riparo per 50 pecore, un asino, qualche gallina.
Amal e la sua numerosa famiglia allargata sono beduini che da tre generazioni abitano nel sito di Humsa Al Baqai: 26 persone fra cui 17 bambini che vivono grazie agli animali, vendendo latte e formaggio a Tubas. Un giorno di quattro anni fa si sono sentiti dire - loro che ignoravano la storia e la politica - che se ne dovevano andare.  “Ma noi non abbiamo altri posti dove andare” alza le spalle Amal, che ancora oggi, da abusiva in una terra che ha sempre considerato sua, non riesce a trovare un perché. 

L’Unione Europea ci ha invitati a visitare i progetti umanitari che finanzia o sostiene in Cisgiordania a favore delle comunità rese più vulnerabili dal conflitto israelo-palestinese. E il nostro viaggio comincia a nordest, nell’alta valle del fiume Giordano: una zona che declina fino alla depressione del Mar Morto, il luogo più basso del globo, con un clima caldo e umido e una terra ricca che disegna un percorso ondulato di rocce e palme. È il confine naturale tra Israele e la Giordania. Un paesaggio affascinante nella sua asprezza che, per l’ostica terminologia geopolitica della regione, rientra nell’Area C, la più vasta delle tre zone in cui è stata divisa la Cisgiordania. Quella con la popolazione più precaria.

Come altre 37 comunità sparse per l’Area C, la radura in cui è nata la giovane Amal è stata dichiarata zona militare da Israele. Humsa Al Baqai è circondata anche da insediamenti ebraici e da una riserva naturale. Per questo, nel 2011, Israele ha ordinato ai beduini di sgomberare, rinnovando l’invito anno dopo anno, finché nell’aprile del 2014 i soldati sono venuti a distruggere le tende delle 26 famiglie. “Siamo rimasti un mese sotto al sole, ogni giorno, per protesta” racconta con un sorriso surreale Lina, 30 anni, cugina di Amal, le gote arrossate e gli occhi azzurrissimi dei beduini di queste terre. “Non abbiamo paura, siamo a casa nostra. Davanti ai soldati basta non dire una parola e loro non ti portano in prigione”. 
L’Area C è il territorio più controverso della Cisgiordania. Si trova sotto il completo controllo israeliano (a differenza dell’Area A amministrata dai palestinesi e dell’area B a controllo misto), ma gli accordi di Oslo degli anni Novanta ne prevedono la graduale cessione ai palestinesi, che in vent’anni non è mai avvenuta. Qui, per i palestinesi, è impossibile costruire case, e sono frequenti le demolizioni in zone destinate alle esercitazioni militari: un posto dell’esercito è a poche centinaia di metri dalle tende di Humsa Al Baqai.
Lina, 30 anni.
“A questi beduini abbiamo dato un aiuto economico per sopravvivere almeno sei mesi, e tende nuove per loro e per gli animali” spiega un operatore umanitario che lavora a un progetto dell'agenzia dell'Onu Ocha e dell’Unione Europea, il quale chiede di restare anonimo “per non avere problemi con Israele”. Un attacco è arrivato qualche mese fa dall’associazione israeliana Regavim, in un rapporto in cui accusava l’Unione Europea di assistere illegalmente i palestinesi nell’Area C e di agevolare il loro “abusivismo edilizio”. “Invece la Convenzione di Ginevra obbliga Israele, come potenza occupante, a proteggere i civili palestinesi” ribatte il cooperante “vietando i trasferimenti forzati e la distruzione delle loro proprietà”.


Secondo le statistiche dell’Ocha, nell’Area C vivono circa 300 mila palestinesi in 530 comunità, mentre i coloni israeliani sono 340 mila. Nel 2013 sono state demolite 565 strutture di proprietà palestinese, con 805 persone sfollate. Nell’Area C, più del 70 per cento delle comunità palestinesi non hanno accesso all’acqua corrente, e il 24 per cento di loro soffre di insicurezza alimentare, contro il resto della Cisgiordania che si ferma a una media del 17 per cento. “Ma io amo la mia vita qui” continua a sorridere Lina. Lei, a differenza di Amal, non ha mai sognato di andarsene altrove e rinunciare alle sue giornate assolate, scandite dalla mungitura delle pecore e la preparazione del formaggio: “La mia anima è connessa con questa terra”.
E il silenzio quieto e immobile, che ti avvolge uscendo dalla sua tenda calda, dona una fugace, sciocca, sensazione di pace.


Diari palestinesi è un progetto in collaborazione con l'Unione Europea, pubblicato da Io donna (Corriere della Sera).
Le sei puntate:
1. Nella valle del Giordano
2. Il sale della dignità
3. I bambini palestinesi ripuliscono Gerusalemme Est
4. Betlemme, le donne di Aida Camp
5. La gita a Nablus e il concetto di resilienza
6. Gerusalemme ed Hebron, i tour dell'occupazione (coming soon)

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