IL BENESSERE SOCIALE A MISURA DI DONNE E BAMBINI

Fortaleza, Brasile, favela di Conjunto Palmeiras, marzo 2015.

Per la prima volta, una ricerca mette in relazione i diritti dell’infanzia e la parità di genere per misurare la qualità di vita in 167 Paesi del mondo. E l’Italia ne esce con molte ombre.

Per misurare il benessere di una società, la qualità di vita e le opportunità che offre ai suoi cittadini, bisogna osservare le donne e i bambini: sono loro le cartine di tornasole per leggere il presente e pianificare gli interventi futuri. È la premessa, del tutto nuova, di una corposa ricerca che questa mattina la ong WeWorld ha presentato al ministero degli Esteri. Si chiama WeWorld Index 2015 e, attraverso 34 indicatori suddivisi per 7 grandi temi (dalla salute all’educazione, dalla situazione ambientale all’accesso all’informazione), stabilisce un’interconnessione tra i diritti dell’infanzia e la parità di genere, allo scopo di disegnare il quadro delle condizioni di vita in 167 Paesi del mondo.

Donne e bambini, infatti, non solo rappresentano il 70 per cento della popolazione globale, ma risultano anche i più colpiti dalla vulnerabilità sociale: «Promuovere i diritti di una di queste due categorie rafforza anche i diritti dell’altra, e vice versa», spiega Stefano Piziali, responsabile advocacy di WeWorld e curatore dell’Index insieme a Elena Caneva. Non è tanto la classifica degli Stati a regalare grandi sorprese: ai primi posti per buon vivere troviamo sempre il Nord Europa (Norvegia, Danimarca, Svezia, Islanda, Finlandia, con un indice superiore a 70), e la maglia nera spetta come di consueto ad alcuni Paesi africani (ultima è la Repubblica Centrafricana, preceduta da Ciad, Niger, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Mauritania e Sierra Leone). Mentre Stati Uniti e Canada non brillano per inclusione sociale dei soggetti più deboli.
È piuttosto la metodologia a essere innovativa rispetto a principali report internazionali, come per esempio l’Indice di sviluppo umano dell’agenzia Onu UNDP, il riferimento principale fino a oggi. «Abbiamo considerato tanti indicatori nuovi, che hanno un impatto forte sulla vita di donne e minori», chiarisce Piziali. «Per esempio il tasso di omicidi, che influisce sulla sicurezza nella vita quotidiana, la diffusione di internet e dei cellulari, i dati sul lavoro minorile, i tassi di maternità precoce e persino la corruzione, che nella crescita economica di una nazione è sottrazione di denaro pubblico che si traduce in meno risorse per i servizi rivolti a chi ha più bisogno, in genere proprio donne e bambini».

E l’Italia, come si posiziona? «In termini assoluti non male, al 18esimo posto, subito prima di Stati Uniti e Irlanda», risponde Piziali. «Ma questa discreta posizione è dovuta soprattutto a due indicatori che dipendono da scelte compiute nel passato: l’istruzione universale, una conquista di fine Ottocento, e l’accesso alla sanità, che risale agli anni Sessanta del Novecento. Se invece guardiamo altri ambiti, siamo ancora molto indietro: l’inquinamento delle aree urbane, la partecipazione delle donne alla vita economica e sociale, l’accesso a internet, la corruzione. Per agire su questi settori migliorando la vita di donne e bambini, non ci vogliono strategie radicali di investimento: basterebbero scelte mirate e puntuali».

Per info: weworld.it

da Io donna, 23 giugno 2015

 

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