UN SEME PUÒ SALVARE IL MONDO
"Mentre le multinazionali affamano il pianeta, le donne che lavorano nei campi producono tanto con poco" dice Vandana Shiva.
A tu per tu con la studiosa indiana che coniuga ecologia e femminismo
L’inseparabile
sari colorato, l’abito tradizionale indiano, avvolge di un’eleganza senza tempo
questa signora vivace e facile al sorriso. Ma di Vandana Shiva ti colpisce
prima di tutto lo sguardo: limpido, aperto, ricco del fascino dei grandi
visionari. E lei, parlandoti, ti guarda dritto negli occhi come se avesse già
intercettato la tua anima.
Incontriamo
l’icona dell’ambientalismo mondiale alla Libreria delle Donne di Milano: una
pausa tutta al femminile tra gli eventi che l’hanno portata a Expo 2015 in veste
di ambasciatrice dell’agricoltura familiare, rispettosa dei cicli della natura,
della varietà dei semi e della dignità delle persone, contrapposta alle
multinazionali che impongono monocolture, Ogm e chimica “puntando solo al
profitto e affamando il mondo con i brevetti”, denuncia Vandana.
Fisica e
filosofa, nata 62 anni fa nello Stato settentrionale indiano dell’Uttarakhand,
con l’associazione Navdanya si batte dal 1987 per rivoluzionare le politiche
agricole globali e sostenere coltivatori in tutta l’India secondo i dettami del
biologico e della biodiversità, le materie insegnate nella sua Università della
Terra. Ma se da scienziata ci dice d’ispirarsi a Einstein “per la sua capacità
di connettere fisica e responsabilità sociale”, e da attivista guarda alla
lezione non violenta di Gandhi, quando si tratta di agricoltura e di ogni
declinazione del suo impegno ecologista, Vandana indica tutt’altro genere
d’insegnanti: “Le donne che lavorano nei campi, paladine dell’ecosistema. Ho
imparato tutto da queste donne escluse e oppresse che però rifiutano di essere
vittime”. Sono loro, “le massime esperte di pratiche economiche che consentono
di produrre tanto con poco”, le protagoniste sotto traccia del suo ultimo libro
Chi nutrirà il mondo?,
appena pubblicato da Feltrinelli.
Per Vandana
Shiva, l’ecologia è sempre stata legata a doppio filo alla valorizzazione delle
donne. Ce lo spiega raccontando proprio l’ultima visita a Expo, quando ha
inaugurato il “Parco della biodiversità”: “Lì accanto c’è un’enorme insegna
della Coca Cola. Ho scattato una foto, cosa che in genere non amo fare, ma il
cartellone rosso mi ha ricordato le mie “sorelle” di Plachimada, un villaggio
del Kerala, nel sud dell’India, dove le contadine hanno costretto la Coca Cola
a chiudere un impianto perché rubava la loro acqua. Una vittoria storica. Io le
ho appoggiate quando la leader, Mylamma, mi ha chiamata dicendomi: “Chi beve
Coca Cola, beve il sangue della nostra gente”. Diffondendo la loro storia per
tutto il Paese, abbiamo convinto 4mila scuole indiane a bandire la bevanda”.
Ma che ci fa
questa incorruttibile ambientalista tra le vetrine delle multinazionali che
puntellano Expo? “I visitatori, soprattutto i giovani, devono sapere che c’è
un’alternativa al paradigma economico dominante, capitalista e maschilista”
risponde decisa lei, che infatti qui ha presentato il suo manifesto “Terra
Viva” per una nuova economia circolare, rigeneratrice delle risorse che
sfrutta. “Solo il 30 per cento del nostro cibo proviene da coltivazioni
industriali” chiarisce, “il grosso è invece prodotto su piccoli appezzamenti.
L’agricoltura intensiva non nutre il pianeta, bensì consuma il 75 per cento
delle risorse, provocando catastrofe ecologica, fame e povertà. Sapete?”
confida poi. “Alcune industrie hanno chiesto al vostro governo di non farmi
venire, proponendo al posto mio i loro esperti di biotecnologie”.
Non sono
riusciti a escluderla, e Vandana rivela che pure questa sua perseveranza è
un’eredità di donne incontrate lungo il cammino. Come quelle che, sempre in
India, protestavano contro una miniera tossica: “Erano state attaccate con le
armi: le trovai ferite ma irremovibili nel sit-in. Una aveva una brutta
frattura alla testa. “Come fai a stare qui?” le chiesi, e lei pronunciò parole
che mi rimarranno per sempre: “I fili d’erba si piegano sotto i nostri piedi ma
tornano dritti. Le foglie, prese dagli alberi per darle agli animali,
ricrescono. È lo shakti, parola che in sanscrito indica il
potere creativo in forma femminile. Lo shakti nell’erba e nella foglia è lo stesso
dentro di noi: è la forza femminile della natura”.
La piccola
donna decisa a cambiare il mondo si sposò con la natura negli anni Settanta,
imbattendosi alle pendici dell’Himalaya nelle contadine del movimento Chipko,
che significa abbraccio: “Abbracciavano gli alberi per sottrarre le foreste al
disboscamento, facendo scudo con i loro corpi ai tagliatori. In seguito ho
creato il mio Chipko abbracciando i semi, primo anello della catena alimentare
e fonte della vita”, riflette. “A Monsanto, l’azienda dei semi geneticamente
modificati che impoveriscono il suolo e i contadini, ho detto: non accettiamo i
vostri Ogm né le vostre bugie sul fatto che giovino alla terra e al cibo.
Demolire quelle falsità proponendo un’agricoltura alternativa è per me il risultato
più importante delle mie battaglie”.
C’è dunque
qualcosa che possiamo fare, anche noi nel nostro piccolo, per nutrire il
pianeta? “Scegliere il cibo con consapevolezza” suggerisce Vandana, “e
diventare tutti dei “salvatori di semi”, anche solo coltivando basilico in
balcone. Basta un po’ di terra in una scatola per dare sfogo alla creatività”. Per lei,
“coltivare un seme è ravvivare la speranza più alta: la guarigione della terra
che conduce a una società più sana. Per questo sto andando in Nepal a piantare
semi dopo il terremoto. E dopo Expo vorrei che ci incontrassimo tutti a
Lampedusa, terra ferita dal dramma dei nostri fratelli che annegano nel
Mediterraneo: la speranza, per me, va ricostruita da qui”.
da Donna Moderna, 3 giugno 2015
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