INSOSPETTABILI FEMMINISTE: JORDAN ROOKE, ICONA DEL PUNK '77

Una mostra fotografica a Milano celebra il quarantesimo anniversario del punk inglese e lei, che fu un’icona fashion del movimento, ci racconta perché certe eredità non passano mai di moda.


Jordan e il suo inconfondibile make-up (Foto Simon Barker).
Il suo look ha ancora venature punk: un’ironica t-shirt con disegnata una scollatura profonda, piccoli orecchini colorati, capelli a spazzola tra l’azzurro e il viola. Al concerto dei Tuxedomoon di venerdì scorso, al Black Hole di Milano, siede su un divanetto accanto al palco e confessa di ascoltare per la prima volta la band di San Francisco che sperimentava con l’elettronica negli anni in cui lei, a Londra, andava ai concerti dei Sex Pistols e lavorava con Vivienne Westwood nel negozio Sex al 430 di King’s Road.
Oggi Pamela Rooke è una signora di 61 anni impiegata in una clinica veterinaria di Brighton, nel sud dell’Inghilterra. S’è concessa un weekend milanese per godersi l’apertura della mostra Punk in Britain, alla Galleria Carla Sozzani di corso Como 10 fino al 28 agosto, dove compaiono diverse foto di lei alla fine degli anni Settanta, quando con i capelli cotonati biondo platino, i body in vinile, il volto dipinto a linee nere e quadrati fucsia, era l’icona femminile di uno stile rivoluzionario che ha lasciato tracce incancellabili nella moda, nella musica e nel costume.

All’epoca Pamela Rooke si faceva chiamare Jordan, come la Jordan Baker delGrande Gatsby dal “freddo sorriso insolente” e il “corpo resistente e vivace”. Dalla costa sulla Manica viaggiava ogni giorno verso Londra per lavorare al Sex e passare le serate in compagnia del Bromley Contingent, il gruppo di punk che ruotava attorno ai Sex Pistols. Era amica di Siouxsie Sioux, del fotografo Simon “Boy” Barker, di Billy Idol e Soo Catwoman, altro volto simbolo del punk al femminile. E adesso che si celebrano i quarant’anni di una delle più potenti subculture del Novecento – nel 1976 uscivano New Rose dei Damned eAnarchy in the Uk dei Sex Pistols, atti di nascita del movimento – , Jordan Rooke teme che la mole di omaggi e tributi scivoli in rappresentazioni leziose e sbagliate. “Prendete il festival Rebellion che si tiene ogni anno nel nord dell’Inghilterra, a Blackpool” dice mangiando biscottini nel giardino di 10 Corso Como dove a intervistarla, prima  di andare a sentire insieme i Tuxedomoon, c’è anche il sociologo dell’Università Cattolica Simone Tosoni che indaga i significati e le eredità delle subculture giovanili. “Quel festival è una caricatura del punk” ride Jordan, “la musica usata come scusa per ubriacarsi, e immagino che l’edizione di quest’anno sarà ancora più sguaiata”.
Jordan Rooke oggi, con me (Foto Viola Violetta/Ex Voto).
Ha invece adorato la mostra Punk 1976-78, alla British Library di Londra fino al 2 ottobre, durante la quale ha partecipato a dei talk. E naturalmente questa di Milano, che è divisa in due parti con le foto di Simon “Six” Barker, Dennis Morris, Sheila Rock, Ray Stevenson, Karen Knorr e Olivier Richon, ei collage e le grafiche di Jamie Reid, oltre a una sezione speciale dedicata a John Tiberi. Ci sono le regine Elisabetta deturpate dalle spille da balianelle copertine dei dischi dei Sex Pistols; c’è Jordan con Siouxsie, nelle notti in cui la futura regina del goth improvvisava cacofonie al 100 Club con Sid Vicious alla batteria; ci sono vari John Lydon/Rotten in camicie bianche, cappotti rossi e il tipico occhio da folle; c’è Soo Catwoman nuda, il corpo acerbo percorso da una delle regole fissate dal manager Malcolm McLaren per lanciare la sua band di culto: “Lezione 2: stabilire il nome Sex Pistols”.
Jordan con Siouxsie Sioux (Foto Simon Barker).
“Sì, eravamo consapevoli che stavamo creando qualcosa che non era effimero e sarebbe rimasto”riflette oggi Jordan Rooke. “Era un movimento liberatorio, soprattutto per noi donne: per la prima volta, il punk stabiliva una parità di genere usando la moda come veicolo. Fino ad allora dovevamo tutti adeguarci a schemi prestabiliti, nel vestirci: negli anni Sessanta, per esempio, per essere belle bisognava essere magre come Twiggy. Quando è arrivato il punk, invece, ognuno ha potuto scegliersi il look che voleva, nessuno ti additava, non era socialmente necessario essere belli, gli abiti erano unisex e cancellavano la differenza tra uomini e donne. E poi creavamo da soli il nostro look, disegnavamo gli abiti. Tutto questo era particolarmente liberatorio per noi donne”.
Jordan mostra le foto che tiene nel cellulare: lei con Dee Dee Ramone, quando i newyorchesi padri del punk suonarono al Rainbow Theatre di Londra, il 31 dicembre 1977; lei con Andy Warhol; lei con David Bowie che si finge scioccato dal suo make-up. “Mi ero ispirata a due immagini, per quel trucco” racconta Jordan. “Un libro fotografico di Leni Riefenstahl sulle tribù Nuba del Sudan, in cui gli uomini avevano disegni fantastici sul volto, e i quadri di Mondrian. Mi ci è voluto tempo per raggiungere il risultato che volevo: non si trattava solo di tracciare righe sulla mia faccia, ma di far diventare quel disegno l’autentica espressione di ciò che ero”.
Alla fine degli anni Settanta, Jordan si lega agli Adam and the Ants: canta nel brano Lou, dedicato a Lou Reed, e partecipa ai loro tour fino a metà ’78. Poi è la volta di un’altra band, i Wide Boy Awake, in cui l’ex marito Kevin Mooney suonava la chitarra. Compare nei film Sebastiane e Jubilee di Derek Jarman, e in The Great Rock and Roll Swindle di Julien Temple. “Dopodiché non ho trovato più nulla di significativo da fare in quell’ambito” confida. “Da 22 anni lavoro con gli animali, e questo ha molto senso per me. Ma sono la stessa donna di allora, certe cose non possono cambiare: non giudico le persone e non desidero essere giudicata, mi sento libera, non cerco il consenso di nessuno, nella vita, e vado dritta per la mia strada, senza condizionamenti. Questo è il significato del punk: non si tratta di nostalgia, ma di ricreare oggi quel suo spirito che ti dice di non sforzarti di stare dentro gli schemi, di sentirti comodo dentro la tua pelle, di credere in te stesso senza preoccuparti di come gli altri ti vorrebbero. Il punk è uno stato mentale: non c’è bisogno di indossare borchie o di tingersi i capelli”.
Da Io donna, 17 giugno 2016 

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