Il futuro interrotto delle giovani siriane rifugiate in Giordania


Nel distretto numero 6 del campo profughi di Zaatari, la famiglia di Hamda riordina la propria vita dentro un recinto di lamiera. Il profumo di un cespuglio di rose quasi stordisce. Le donne servono il tè nel container bianco, arredato con cuscini e tappeti di colori accesi. Hamda ha 49 anni. Con i 9 figli, le nuore, i generi e i nipoti, nel 2014 è fuggita da una campagna vicina a Damasco per ritrovarsi a Zaatari: città artificiale costruita nel 2012 nel deserto settentrionale della Giordania, oggi contiene circa 80mila siriani ed è il secondo campo profughi più popoloso al mondo dopo quello di Dadaab in Kenya. “Non stiamo bene qui, ma meglio che sotto le bombe in Siria” dice Hamda con il sorriso delle persone ottimiste. Amal, penultima delle sue figlie, culla un neonato: lei ha 16 anni, voce da bambina e unghie laccate di rosso. “Farla sposare era l’unico modo di darle un futuro” s’affretta a precisare la madre Hamda.
Se il matrimonio precoce delle ragazze è in declino fra i giordani, sta invece pericolosamente esplodendo tra i profughi siriani presenti nel Paese. Sono circa un milione e mezzo, di cui solo 659mila registrati presso l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati. Gli altri sono fantasmi: senza documenti, con lavori in nero. Solo un quinto dei siriani registrati abita in 3 campi profughi; gli altri risiedono nei centri urbani di Amman, Irbid, Mafraq, Zarqa. Secondo l’Unhcr, l’86% vive sotto della soglia di povertà.
La crisi in Siria è entrata nel settimo anno con un’emorragia di 5 milioni e 200mila rifugiati, in maggioranza dislocati in Turchia, Libano e Giordania. Il futuro interrotto delle giovani donne è un avvilente effetto collaterale dello sradicamento forzato: secondo il censimento giordano di fine 2015, il 44% delle siriane che si erano sposate quell’anno avevano fra i 13 e i 17 anni. Una crescita esponenziale rispetto al 12% rilevato dall’Unicef nel 2011, e un dato superiore anche a quello registrato in Siria prima della guerra, dove il tasso di matrimoni precoci si fermava al 13%. Non solo: Diminuisce l’età delle mogli bambine - puntualizza Melanie Megevand della Ong americana International Rescue Committee (Irc). - Oggi le rifugiate siriane si sposano addirittura tredicenni: abbandonano la scuola e restano analfabete”.
In mezzo alla geometria sconfinata e deprimente di Zaatari, nella Clinica materno-infantile dell’agenzia dell’Onu Unfpa, la dottoressa Rima Diab riferisce che, tra le gravidanze seguite, il 10% riguarda minorenni. “Arrivano da noi già incinte o sposate - dice - è difficile fare prevenzione”. Quattro donne, intanto, allattano i loro neonati. Heba, 19 anni, ha dato alla luce la seconda figlia: “Anche la prima è nata qui, quando avevo 17 anni” sussurra.

“Le famiglie di profughi tentano di proteggere le figlie dalla precarietà in cui vivono, e di risolvere i problemi economici, visto che il marito paga una dote” informa la giornalista di AmmanNet Hiba Obeidat, da tempo impegnata sul tema. Inoltre, secondo le agenzie umanitarie, molti matrimoni precoci non sono registrati ma solo celebrati da imam compiacenti: le baby-mogli si ritrovano così prive di documenti e di diritti. “Molti siriani provengono da aree rurali, sono poco alfabetizzati e spesso non sanno nemmeno che il legame coniugale si registra” spiega la giurista Samar Muhareb, direttrice dell’associazione giordana Ardd che fornisce supporto legale ai rifugiati. “Ma il nodo sta a monte - aggiunge. - La Giordania non ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sull’accoglienza dei profughi, così questi non godono di un vero status di rifugiati. Le nostre leggi li definiscono “visitatori”, “ospiti”: ciò li priva di diritti e complica loro la vita nel nostro Paese. A volte è più semplice procurarsi documenti falsi che affrontare la burocrazia giordana, ma questo crea poi enormi problemi in caso di divorzio, di affidamento dei figli, di eredità”.
“Con l’arrivo dei primi profughi dalla Siria abbiamo assistito anche a un “mercato” delle adolescenti - racconta Adnan Abu Alhaija della Fondazione Noor Al Hussein, che offre ai profughi servizi medici gratuiti. - Uomini facoltosi dal Golfo sposavano ragazzine siriane in moschea, senza registrazione civile. Dopo 3 mesi scomparivano, magari lasciando le mogli incinte che, in assenza del marito, non potevano registrare il figlio né il matrimonio. Così è aumentata la prostituzione fra le giovani siriane, e sono tanti i neonati abbandonati fuori dalle moschee e dagli ospedali”.
Non nasconde preoccupazione nemmeno Matteo Paoltroni, responsabile dell’ufficio giordano di Echo, la Direzione per gli aiuti umanitari della Commissione Europea: “La condizione dei siriani qui si sta deteriorando - osserva. - Tanti non possono permettersi di lasciare i campi profughi ed entrano in una spirale di frustrazione, tolgono i figli da scuola per mandarli a lavorare e fanno sposare presto le figlie per la sopravvivenza della famiglia. La chiamano già “generazione perduta””.

Un’altra emergenza è la violenza domestica. Dal 2012, nelle sue cliniche di Ramtha e Mafraq, l’Irc ha incontrato 4.633 siriane vittime di abusi da parte dei mariti, su 13mila che hanno ricevuto supporto psicologico. “La violenza domestica è legata al matrimonio precoce - sostiene Melanie Megevand di Irc. - Lo stress causato dalla fuga accresce le tensioni dentro casa: la moglie adolescente si ritrova in un ambiente estraneo, e non ha più attorno una comunità solida che la protegga. Sarà più isolata ed esposta agli abusi”. Secondo l’esperta di Irc, “non dobbiamo colpevolizzare i genitori, bensì guardare al fenomeno nel quadro della perdita di dignità delle famiglie siriane”. Come fermare, dunque, questa involuzione sociale e morale? “Lavorando sulla prevenzione - risponde Megevand. - È importante che le ragazze accedano ai servizi, interagiscano tra loro, tornino a scuola anche se sposate”.

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Nella sede di Irc a Mafraq, la città giordana più vicina al campo di Zaatari, donne siriane d’ogni età seguono corsi di formazione e incontrano le psicologhe. Marah ha 21 anni, rimpiange la sua Damasco e studia grafica. “Mio padre è arrivato in Germania” confida, “ma io e mia sorella non possiamo raggiungerlo perché siamo maggiorenni. Tutti ci dicono di sposarci, l’unica soluzione per sentirci protette. Mia sorella ci sta pensando, io no: voglio studiare, lavorare, essere indipendente. E tornare nella mia Siria finalmente in pace”.

da Avvenire, 29 settembre 2017

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