IL BAFFO DELLA RESISTENZA


Invita i latitanti a costituirsi, sbeffeggia i clientelismi dei politici locali. Pino Maniaci, patron di Telejato, microemittente nel mirino di Cosa Nostra, è un omino ossuto e irrefrenabile. Un piccolo grande eroe in terra di mafia. E chi vuole intervistarlo, deve contemporaneamente lavorare per lui

Alle 15.30, Pino Maniaci conduce il suo telegiornale quotidiano, che comincia alle 14.20 e dura quanto piace a lui. Fa l’anchorman incravattato e composto per i minuti necessari, e appena parte il servizio schizza nell’altra stanza per montare quello successivo, imprecare contro il tempo, fumare.
Gli squilla un cellulare (ne ha tre, mai muti, come lui): c’è movimento di carabinieri a Borgetto. Perquisiscono le case, e sono in giubbotto antiproiettile. «Arrestano Mimmo Raccuglia u’ veterinariu!» grida Pino con la voce sporcata da 60 sigarette al giorno e 20 caffè. Punta il dito: «Andate! Tu e lei!».
“Lei” sarei io, che sono qui per intervistarlo, Pino Maniaci, e invece gli corro appresso dalle 9 di stamane, ignara che l’affannosa intervista interattiva terminerà solo dopodomani alle tre del mattino.
Mi ha già buttata davanti alla telecamera, per intervistare il presidente del centro “Pio La Torre”, Vito Lo Monaco, e tradurre dall’inglese l’appello di due americane in cerca dei parenti. «Chi viene qui deve la-vo-ra-re» scandisce Pino alla mia faccia supplice, e pazienza se sono una neofita del video.

Mi precipito fuori con la sua bellissima, ventitreenne figlia Letizia («La macchina fotografica ce l’hai? Questo è uno scoop pazzescooo!»), che guida e intanto cambia cassetta alla telecamera. Ma a Borgetto i carabinieri ci passano davanti: nessun arresto, solo l’intero paese perquisito. Una donna sulla porta fa per sparire dietro le tende di pizzo: «Signora, che è successo?». «A me non mi interessa niente quindi non è successo niente». Un uomo ci caccia rabbioso. «Andiamocene. Raccuglia gli è sfuggito di nuovo, è chiaro» sospira Letizia sgranando gli ipnotici occhi chiari.

Riavvolgiamo il nastro...
Chi è Mimmo Raccuglia? E Pino Maniaci? Partiamo dal secondo: 55 anni, aspirante medico, poi imprenditore, nel ‘99 rileva dal Pci l’agonizzante emittente Telejato e la sgancia dalla politica (lui colpisce a destra e a sinistra, senza sconti). Sta a Partinico, 32 mila abitanti, 30 chilometri da Palermo, e i suoi 150 mila spettatori vivono in quello che Maniaci chiama “il triangolo delle Bermude”: la Corleone di Riina e Provenzano, la San Giuseppe Jato di Brusca e Di Maggio, la Partinico dei Geraci prima, dei Vitale poi, di Raccuglia oggi, nel tris d’assi dei super latitanti di Cosa Nostra con Matteo Messina Denaro e Gianni Nicchi. Sarebbe lui l’erede degli efferati boss Vitale in galera, un potere conteso con un gruppo emergente. Ecco perché a Partinico si spara: sette omicidi, nell’ultimo anno, e una lupara bianca. Qui neanche i Lo Piccolo (arrestati poco lontano, a Giardinello) allungavano le mani.
«Qui c’è l’ala stragista di Riina, non quella sommersa di Provenzano» spiega Maniaci, che all’ex fantasma “Binnu” faceva gli auguri di compleanno in diretta invitandolo a costituirsi (dalle indagini è poi emerso che Provenzano guardava Telejato).

Giornalista senza tessera (ha ricevuta ad honorem quella dell’Unione nazionale cronisti), il mestiere lo sa fare, e bene. È stato il primo, nel “triangolo”, a parlare di mafia nel suo italiano imbastardito di siculo, come un Camilleri arrabbiato e sboccato. Fa nomi, cognomi e soprannomi (i Vitale sono i Fardazza, gli straccioni). Denuncia i debiti del Comune che spende 20 mila euro per un inutile convegno. Sbeffeggia i clientelismi dei politici locali, che lo temono. «Un precedente sindaco ha dichiarato che grazie a Telejato non è finito in galera: lo controllavamo, non poteva favorire la mafia». Maniaci è sotto scorta, non l’ha chiesta lui: «Quando mi vogliono sparare mi sparano».
A gennaio è stato picchiato: lui dice dal figlio del boss Vito Vitale, il ragazzo nega. Telejato aveva trionfalmente trasmesso la demolizione delle stalle abusive dei Vitale, sede di summit con i corleonesi. Ma Pino insiste: ogni giovedì porta tavolo e sedia sulle macerie e registra da là, «dal luogo simbolo del riscatto di Partinico». A luglio, gli incendiano l’auto sotto gli studi: aveva ironizzato sui mafiosi usciti di galera che passeggiano sereni e ossequiati. Forse uno di loro, il luogotenente del veterinariu, non ha gradito.

L’omino ossuto e baffuto resta irrefrenabile. Dorme tre ore per notte, pranza alle 17, dopo il tg, macina servizi con Letizia, suo braccio destro, con tanti giovani volontari e la moglie Patrizia («la mia padrona») che lo segue come un’ombra.
Nessuno fa a gara per comprare spazi pubblicitari su Telejato, ma intanto lui colleziona scoop: nel 2005 dà per primo la notizia del pentimento di Giusy Vitale, unica donna a capo di un mandamento mafioso. «Abbiamo visto i carabinieri prendere i suoi figli a scuola» racconta Pino «era ovvio che entravano nel programma di protezione». Il 5 novembre del 2007 Telejato è la prima a filmare l’arresto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo a Giardinello. «Mio zio abita là» ricorda Letizia «quella mattina ha chiamato mio padre per dire che era tutto bloccato e c’erano gli elicotteri. Papà si è precipitato».
Le immagini fanno il giro del mondo, ma Letizia giura di averci guadagnato appena 500 euro: «Non siamo pratici». Ed è entrata nella mitologia particinese la battaglia contro la distilleria Bertolino, più volte sequestrata per reati ambientali e riaperta a colpi di ricorsi: Pino e Letizia hanno ripreso clandestinamente gli scarichi scuri e portato in piazza un terzo del paese per protestare. Delle 270 querele vantate da Maniaci, 200 arrivano dalla signora Bertolino, e due sono sfociate in condanne. «A Schifani, che è venuto per solidarietà dopo l’incendio dell’auto, ho chiesto un lodo Maniaci». Veltroni gli ha offerto una candidatura alle regionali: «No grazie, resto in trincea». Alcuni lo vorrebbero sindaco.

«C’è tanta gente per bene» sottolinea lui, sincero idealista «e qualcosa sta cambiando: in una lite di confine, un agricoltore colpito da un mafioso ha denunciato ai carabinieri dicendo: “Me l’ha insegnato Telejato”. Al processo “Rappa +27”, un commerciante ha ammesso di aver pagato il pizzo ai Fardazza. “Intende i Vitale” lo ha interrotto il giudice. “No, Fardazza: così li chiama Telejato”». A suggellare il suo impegno civile, il Comune sta per dargli un immobile confiscato alla mafia: «È grande, ci possiamo fare Porta a Porta».

Per ora le sue tre stanzette sono un continuo via vai: l’associazione “Rita Atria”, allo slogan “Siamo tutti Pino Maniaci”, invita chiunque a Partinico a leggere il tg. Per dire alla mafia che, se colpirà lui, mille altri continueranno il suo lavoro. Sono venuti don Ciotti, l’ex vicepresidente della Commissione antimafia Lumia, i ragazzi di Addiopizzo, sindaci e giornalisti, gente comune. E anche Io donna è stata Pino Maniaci. Ci salutiamo alle tre di notte, tornati da un convegno nel Belice dove ho intervistato due vittime di mafia per Telejato. Pino è gentile. Divertente. Ma quel che pensa lo dice: «Voi del nord state due giorni e credete di capire. Seguimi per due mesi». Che fai Pino, minacci?

Pubblicato su Io Donna il 18-10-2008
La produzione francese Monamour ha appena realizzato un film su Telejato.

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