LA BUON COSTUME DI HAMAS
Hanno una laurea, non ancora una divisa. Missione delle poliziotte di Gaza: moralizzare la Striscia. Colpendo il traffico di droga, ma anche sorprendendo coppie appartate in spiaggia. Tolleranza zero: nel nome della guerra santa
Campo profughi di Shati, gli agenti sfondano la porta di una casa. Najlaa e Faiza - in tunica, velo integrale e kalashnikov - irrompono per prime. Gentilmente, invitano la moglie dello spacciatore a infilarsi abiti decorosi e a coprirsi il capo: stanno per entrare una decina di uomini in divisa. La perquisiscono, frugano tra i mobili. La droga non c’è. Najlaa e Faiza vanno a cercare dove i loro colleghi non oserebbero: nel cassetto della biancheria intima della donna. E la marijuana sta nascosta lì, abbastanza per spedire in galera la coppia, ma nulla a che vedere con i due milioni di dollari di cocaina e hashish che le due agenti in niqab hanno scovato mesi fa nello stesso quartiere, invitando poi i mariti al pubblico falò che la polizia di Gaza allestisce dopo ogni sequestro di droga. Un modo per dire ai palestinesi che Hamas ha le mani pulite: l’era corrotta di Fatah è terminata.
Faiza Zaied è incinta del terzo figlio. Najlaa Kalief ne ha cinque, e suo marito le ha proibito i turni di notte. Trentenni minute e scattanti pur nelle informi tuniche d’ordinanza, in attesa di una divisa che le finanze di Hamas ancora non possono permettersi. Sono tenenti della sezione antidroga e hanno un ufficio con bagno privato, per stare separate dagli uomini, al primo piano dell’edificio azzurro cielo “Arafat Police City”, sede centrale della polizia di Gaza. Sono state reclutate lo scorso autunno con un addestramento lampo: dopo la faida con Fatah (il partito dell’Autorità Nazionale Palestinese) e la presa del potere sulla Striscia nel giugno 2007, il movimento islamico radicale di Hamas ha ricostruito da zero gli apparati statali, polizia femminile compresa: Fatah continua a pagare gli stipendi ai suoi funzionari a Gaza perché restino a casa e non collaborino con Hamas.
Le neo-poliziotte sono 52 su novemila agenti, «ma presto ne recluteremo altre 150» assicura il maggiore Islam Shahwan, portavoce del comando e uomo di spicco di Hamas. «Due paesi europei, di cui non posso fare i nomi, ci hanno promesso aiuti per rafforzare la presenza femminile nei nostri ranghi».
Non sarà difficile trovare donne laureate, come richiede il concorso, pronte ad arruolarsi: al primo bando, divulgato con il passaparola tra moschee e associazioni femminili, si sono precipitate in 150 e «altre 200, in questi mesi, ci hanno portato il curriculum» precisa Shahwan. Non è un mistero che le donne rappresentino lo zoccolo duro dell’ampio consenso popolare di cui gode Hamas a Gaza, e inoltre la polizia, con i suoi stipendi da 300 a 600 dollari mensili, è un’ottima sistemazione in una società con il 70 per cento di disoccupati.
Le poliziotte di Hamas imbracciano fucili solo nelle retate anti-droga. Sono avvocatesse, insegnanti, assistenti sociali in cerca di un ruolo in prima linea «per servire il nostro popolo» recitano quasi in coro. Non sono violente come le colleghe iraniane, ma la loro missione è analoga: completare l’opera di moralizzazione della Striscia nell’era di Hamas.
In uno dei loro reparti, “Educazione e Consapevolezza”, riabilitano ladre, prostitute e adultere a colpi di preghiere e letture del Corano. Sventano delitti d’onore persuadendo padri, mariti e fratelli a non ammazzare la donna che sbaglia. Precedono i colleghi uomini quando c’è da perquisire una casa, perché se ci fosse una signora in désabillé, criminale o no, ne resterebbe umiliata. E tutte, anche quelle con mansioni amministrative, s’addestrano alla guerra: «Se Israele attaccherà, saremo chiamate alle armi» spiega Najlaa con la sua voce roca. E aggiunge: «Sono fiera di lavorare per Hamas: è l’unico a contrastare l’occupazione israeliana».
Anche Faiza, pancione di cinque mesi, comunica la sua dedizione al movimento: «Mi sono arruolata per riferire alla gente quanto sia autentica la rettitudine morale di Hamas». Racconta che sotto Fatah le poliziotte erano considerate prostitute: «Venivano in ufficio truccate, senza velo, e avevano avventure con i colleghi. Con Hamas c’è massimo rispetto per la donna, secondo il Corano. E oggi, agli occhi della società, noi poliziotte siamo diventate le custodi dei buoni costumi».
Al reparto investigazioni, tre agenti ascoltano una donna che denuncia la scomparsa del marito, rapito, dice lei, dalla mafia del Sinai. Appena la donna esce, Reema Al-Maray ride: «Sarà solo fuggito da una moglie petulante». Reema ha 26 anni, un bel viso tondo incorniciato dall’hijab azzurro. Era assistente sociale e oggi, in polizia, rieduca ragazze “deviate”.
Come una studentessa che si prostituiva per soldi: «Al controllo medico è risultata vergine. Non era una professionista, non l’ho mandata in prigione: è venuta ai colloqui riabilitativi finché non ha ripreso a studiare e ad andare in moschea. Un grande risultato professionale, per me». Reema ha aiutato anche una giovane di Ramallah, ricattata da un ragazzo di Gaza conosciuto su internet al quale aveva spedito una sua foto nuda. «Ci ha contattate lei. Ha fatto credere al ragazzo che gli avrebbe mandato il denaro in banca: quando lui si è presentato per ritirarlo, c’ero io ad attenderlo».
La spiaggia di Gaza City è uno dei luoghi più battuti da questa “buon costume”. Sembrano amiche a passeggio, in realtà vanno a caccia di coppie non sposate in atteggiamenti vietati dall’Islam. Una sera Reema ha sorpreso un uomo e una donna appartati in una tenda vicino al mare: «Li portiamo in caserma con discrezione, per non rovinare la reputazione della donna. Firmano un impegno a non farlo mai più, e se lo violano vanno dritti in galera».
È opinione comune, nella Striscia, che Hamas abbia restaurato rigore e sicurezza. «Sotto Fatah, se una detenuta chiedeva di telefonare a casa, doveva elargire favori agli uomini del comando» dice il tenente colonnello Hatem Siyam, direttore del carcere di Gaza. «Da quando c’è Hamas i reati sono diminuiti, e quelli femminili quasi scomparsi: su 721 detenuti, abbiamo solo cinque donne». Sono accusate di furto, prostituzione, spionaggio per Israele. Entriamo nella loro grande cella con letti a castello, bagno e cucina: a custodirle ed educarle, oggi sono di turno le poliziotte Mariam Abu Mustafa, 41 anni, una laurea in economia, e Jasya Moussa, 50, ex insegnante.
Gioviali e materne, parlano del patriottismo che le ha spinte in polizia, delle lezioni di Corano impartite alle detenute come fossero in collegio, della «grandezza di Hamas, che ha dato a tutti più coscienza dell’Islam e dei diritti dei palestinesi» dice Jasya.
E tra le poliziotte di Gaza incontriamo anche giovani ambiziose che sorprendono, in un ambiente tanto conservatore e integralista, per il loro desiderio di carriera. Fatma Al-Bursh, avvocatessa di 27 anni, segue le pratiche legali dei detenuti e aspira a dirigere la prigione. Il tenente Anadi Karsoun, 25 anni, è la punta di diamante del corpo investigativo: ha smantellato una rete di ladre che s’intrufolavano ai matrimoni di tutta la Striscia arraffando soldi e gioielli agli invitati. «Lavorare in polizia è il mio contributo alla jihad» spiega la sottile Anadi, jeans e scarpe da tennis che spuntano dalla tunica. E quando restiamo sole nel cortile della centrale, senza uomini vicino, si congeda così: «Torna fra qualche anno. Mi troverai capo della polizia».
Pubblicato da Io Donna, luglio 2008.
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