BLUFF ROSA A ENNA


E' una provincia con una bassissima occupazione femminile, eppure quella con la più alta percentuale italiana di imprenditrici. No, non è sorprendente sviluppo. Sono i mariti che intestano le aziende alle mogli. Perché i fondi europei fanno gola

Giuliana Di Franco ha effervescenza adolescenziale e capigliatura rasta. È innamorata dell’oro che plasma in insoliti gioielli con corallo e pietra lavica. Esporta in Spagna, Stati Uniti e Grecia e dà lavoro a sette giovani nella sua fabbrica-atelier ricavata da un antico granaio in un paesino siculo lontano da tutto, Leonforte, tra sali-scendi silenziosi a nord di Enna. Ha impiegato anni ad aprire l’azienda, frenata dalla burocrazia («È mentalità. Accidia, forse»), e ora sorride di fronte a un dato sbandierato dai politici locali durante la scorsa campagna elettorale: Enna è la capitale italiana dell’imprenditoria femminile.
La provincia meno popolosa in Sicilia e tra le più spopolate d’Italia (187 mila abitanti nel 1990, 173 mila oggi), con un modesto tasso d’occupazione femminile (il 28,3 per cento contro il 46,3 della media nazionale), un reddito pro capite di 11.500 euro annui e ultima in Italia per consumi, avrebbe iniettato nelle donne un’irresistibile «voglia d’impresa» dice Liborio Gulino, presidente della Camera di Commercio provinciale che ha divulgato la trionfale statistica.

In questa terra senza mare dove la mafia non si sente, con strade contorte e paesaggi incantevoli dai Nebrodi agli Erei, tra paesini semi-deserti e anziani in panchina, le oltre 4.000 aziende con titolari donne superano il 28 per cento del totale, mentre il dato italiano si ferma al 24 per cento e il siciliano al 25,8. Le nuove nate nel 2007 sono 330: un incremento dell’8,5 per cento, il miglior risultato percentuale d’Italia. E a crescere, sottolinea Gulino, non è solo la tradizionale agricoltura ma i servizi, il turismo, «e se accade a Enna e non altrove significa che qui le istituzioni si stanno scommettendo lo sviluppo economico e sociale». Cita l’ateneo Kore, che ha fatto di Enna il quarto polo universitario dell’isola; l’ambizione di trasformare la zona industriale del Dittaino in una piattaforma logistica per le merci; l’outlet e il parco giochi che sorgeranno sulla via per Catania. E conclude: «Siamo piccoli ma pensiamo in grande». Giuliana Di Franco è perplessa: «A me non pare che il territorio stia esprimendo innovazione né fermento economico. E all’ultimo convegno istituzionale su donne e impresa, noi relatori eravamo soli davanti a una platea vuota».

«Se non lavorassi per gli enti pubblici chiuderei» rincara Fabiola Lo Presti, titolare di un’azienda informatica e referente della Camera di Commercio per l’imprenditoria femminile, pure lei trasecolante di fronte al primato ennese. Spiega che qui non ha attecchito la legge 215 che dal ’97 al 2006 ha sostenuto le imprenditrici in Italia («Tante s’illudevano che bastasse compilare un modulo per ottenere una bella somma a fondo perduto») e racconta che in provincia «le ditte femminili sono minuscole, nascono e muoiono. C’è immobilismo, il privato arranca, il turismo si ferma ai mosaici di Piazza Armerina. Mia figlia studia a Roma: spero non le venga in mente di tornare». E allora perché tante titolari donne? «Perché gli agricoltori intestano l’attività a mogli, figlie e sorelle per accedere ai finanziamenti europei» risponde Fabiola.

In effetti, delle 4.201 imprese femminili in provincia (di cui 3.812 individuali), 2.003 sono agricole. Di queste, 976 sono spuntate negli ultimi sei anni beneficiando degli oltre 255 milioni di euro stanziati in Sicilia dal “Por 2000-2006” (il Piano operativo regionale per lo sviluppo, in gran parte finanziato dall’Unione Europea e ormai al termine) al capitolo “nuovi insediamenti in agricoltura”, nel quale quest’area detiene il record siciliano di domande e finanziamenti approvati: 2.092 nuovi agricoltori per 41 milioni di euro. E le 976 donne superano le presenze femminili di ogni altra provincia.

La misura europea, la 4.07, prevede 20 mila euro a fondo perduto per chi non abbia 40 anni e investa nella terra per la prima volta, con certi parametri di redditività iniziale (piccoli) da incrementare (di poco) in tre anni, e l’impegno a tenere attiva l’impresa per sei anni occupandosene personalmente. E nei bandi le donne hanno la precedenza, «dal 2005 anche più punteggio per coinvolgerle in un settore svantaggiato sebbene predominante nel nostro territorio» spiega il direttore dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, Giuseppe Nasello. Ci tiene a precisare che il “nuovo insediamento” è stato un buon veicolo per lo sviluppo e rigetta l’idea che abbia piuttosto generato finte imprenditrici presta-nome ignare di campi e bestiame, alle quali gli uomini intestano l’azienda già avviata (non nascitura, come vuole l’Europa) per prendersi i 20 mila euro. «Dai nostri controlli» assicura Nasello «non è mai capitato di esigere indietro la somma per questo motivo. È difficile fare i furbi: la signora, se non ha esperienza in agricoltura, deve seguire un corso e, aprendo partita Iva, è tenuta a versare i contributi. Proprio ora l’Inps ci ha richiesto l’elenco dei nuovi insediamenti». Già, proprio ora. Stando ad alcuni tecnici che preparano le domande per i fondi pubblici, molti semplicemente non li versano, i contributi.

Alla Confagricoltura lo ammettono con naturalezza: «Le nuove aziende agricole femminili sono numerose perché moglie e figlia prestano il nome al vero imprenditore. Si fa per opportunità» dice la direttrice provinciale, Alba Milioti. «Ma delle nostre associate la metà sono vere imprenditrici». Dunque metà sono fasulle? Come un’allevatrice in una contrada di Enna Bassa il cui diffidente marito si fa sfuggire: «Faccio tutto io, mia moglie non sa cos’è un vitello». O la signorina bene, professionista fuori provincia e titolare delle terre del padre, che non sa dire quanto sia un ettaro. Escamotage? Truffa?
Di certo, se l’Europa intendeva spingere giovani e donne verso l’agricoltura, ha invece innescato un nominale e inerte passaggio del testimone che non smuove il territorio già statico. «Si sono accorti del fallimento e hanno cambiato le regole» aggiunge Marcello Melfa, agronomo di Confagricoltura: «I nuovi finanziamenti Ue aumenteranno a 40 mila euro, ma occorrerà impegnarsi a investirne in azienda almeno il doppio».

Finora «i contributi sono arrivati senza un’analisi del territorio né degli sbocchi commerciali» commenta Patrizia Fazzi, ex attrice di teatro e ora vera imprenditrice agricola a Pergusa, con 67 ettari di uliveti, serre e zafferano. «C’era un periodo in cui tutti coltivavano funghi, facendo crollare i prezzi. Chissà perché, il fungo». Forse, come ci spiega un agronomo che effettua i controlli per l’Agea (l’agenzia del ministero per le Politiche agricole che vigila sui fondi europei), perché è una coltura di pregio e basta poco a raggiungere la redditività minima richiesta per intascare i 20 mila euro. Se per il grano duro ci vogliono quasi tre ettari e per i fiori in serra 247 metri quadri, per i funghi bastano 100 metri quadri, e con duemila euro si allestisce una fungaia alla bell’e meglio. Così in provincia spuntano pleurotus e cardoncello, e c’è anche un funzionario pubblico con fungaia in giardino intestata alla figlia studentessa. «Delle tante pratiche che ho seguito» confida l’agronomo «il dieci per cento ci ha fatto solo cassa per la famiglia, con i 20 mila euro».

«Sì, è risaputo» allarga le braccia Nietta Bruno, che invece ha investito e rischiato, perché un gruppo di signore motivate c’è. Lei ha salvato dall’incuria le terre di famiglia, a Piazza Armerina e Pergusa, coltivando grano e avena e aprendo due agriturismi, convinta che il baricentro della Sicilia debba puntarci davvero sul turismo: «Presto i mosaici di Piazza Armerina termineranno il restauro e ad Aidone tornerà la Venere di Morgantina trafugata all’estero».
Nel turismo si è buttata pure Galaria Cammarata, 32 anni, co-titolare del punto ristoro alla Villa romana di Piazza Armerina e in procinto di aprire un’ambiziosa casa-museo. Lei non si stupisce, scoprendo di vivere nella capitale italiana dell’imprenditoria femminile: «Ho creato la prima agenzia turistica a 24 anni. Basta avere una buona idea e crederci». E la fungaia in giardino non è esattamente una buona idea.

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