LA RABBIA DI MATHILDE
foto di Alfredo Falvo / Contrasto |
Bukavu, il capoluogo del Sud Kivu, non è grigia come Goma, né tetra. Più fangosa che polverosa. Più umida, calda e colorata. È un sali scendi di strade sterrate che diventano gorghi di melma densa dopo il consueto acquazzone pomeridiano. Ma c’è la vista sul lago, dalle alture, a consolare da tutto.
La gente brulica nel fango, tanta, frenetica, ognuno a trasportare sulla testa catini pieni di banane, assi di legno, sacchi flosci. Da una baracca di lamiera vicina alla strada esce un giovane in giacca e cravatta, stirato e impeccabile. Visione assurda che strappa un sorriso.
A Bukavu ho chiesto un appuntamento a una voce storica e autorevole della società civile congolese, Mathilde Muhindo. Bella signora elegante, innamorata della sua Bukavu, dove da sempre si batte per i diritti delle donne congolesi nel Centro Olame dell’arcidiocesi. Ha tentato di farlo anche in Parlamento, dove ha avuto un posto da deputata dal 2003 al 2005. Ma la sua grinta si è scontrata con l’immobilismo cronico della politica. E alla fine Mathilde si è dimessa volontariamente - unico caso in Congo e di certo raro anche nelle nostre democrazie occidentali.
“Le violenze nel Kivu continuavano senza che nessuno facesse a nulla, a Kinshasa. Nella capitale era come se a est non accadesse nulla: nella mia terra si moriva per mano dei ribelli, le donne venivano stuprate a grappoli, i bambini reclutati come soldati, e a Kinshasa c'erano musiche e danze. Agli altri parlamentari provenienti dal Kivu interessava solo aver trovato un posto di lavoro ben pagato: gli orrori a est erano lontani anche per loro".
Così Mathilde ha scritto una lettera durissima al presidente del Parlamento, dicendo che non poteva continuare a far parte di quella istituzione che ignorava la guerra in uno spicchio del paese da sempre tormentato dalle varie sigle ribelli e dagli eserciti stranieri che vogliono mettere le mani sulle immense ricchezze minerarie del paese.
Nei giorni scorsi, il governo congolese ha siglato un ambiguo accordo con quello del vicino Rwanda: alcuni battaglioni dell'esercito rwandese (finora 3500 soldati) sono già entrati nell'est del Congo, la regione del Kivu, per dare la caccia insieme all'esercito congolese alle milizie della Fdlr, gli hutu rwandesi autori del genocidio del '94 e fuggiti in Congo.
"Il nostro governo ha dato il permesso a un esercito straniero di entrare nel nostro territorio a risolvere i suoi problemi interni" osserca Mathilde, che è rimasta un'autorevole voce della società civile congolese. "E' inaccettabile. Si dice alla gente che finalmente, con la cacciata degli hutu, andremo verso la pace. Ma a prezzo di quali altre, nuove violenze?".
Giovedì 22 gennaio hanno arrestato un altro personaggio di questa guerriglia orfana di una vera linea del fronte, il generale Laurent Nkunda, che a novembre, quando era arrivato alle porte di Goma, la capitale del Nord Kivu, era diventato una specie di star.
Rimasto isolato dopo che le sue milizie antigovernative Cndp si erano spezzate in due all'inizio di gennaio - una fazione fedele a Nkunda, l'altra al suo capo di stato maggiore, Bosco Ntaganda, ricercato dal tribunale dell'Aja per crimini contro l'umanità -, disorientato dall'accordo improvviso firmato da Bosco e dal governo congolese per la fine delle ostilità, alla fine il tutsi Nkunda, da sempre sostenuto dal Rwanda, è stato arrestato proprio in Rwanda.
"Per me è solo fumo negli occhi" commenta Mathilde Muindo, riflettendo il pensiero di molti congolesi. "E' una messa in scena del governo congolese e di quello rwandese, così il nostro presidente può più facilmente giustificare l'entrata dell'esercito di Kigali nel nostro territorio. Come a dirci: ecco, vedete? I rwandesi hanno arrestato il sanguinrio Nkunda, sono amici, dovete accettare la loro presenza in Congo".
Mentre scrivo si attende l'estradizione del generale ribelle, richiesta dal Congo, forse per completare la messa in scena. Un diplomatico occidentale, che ha seguito da vicino i vari colloqui di pace che si sono susseguiti da dicembre fino a pochi giorni fa, è certo che Nkunda non verrà né estradato a Kinshasa né tanto meno ucciso, sebbene sappia troppe cose che metterebbero in imbarazzo il governo congolese di Kabila. "Lo riempiranno di soldi e lo manderanno in esilio in Sudafrica" sostiene il diplomatico "ormai non serve più a niente. E ucciderlo non vale la pena".
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