ITALIANI RIVOLTI ALLA MECCA
foto di Martino Lombezzi / Contrasto
Anche qui (come in Francia e in Inghilterra) le conversioni all’islam sono in aumento fra i giovani. Perché Allah può essere un antidoto a questi tempi complicati. Ce lo hanno raccontato proprio loro, i nuovi musulmani di casa nostra
L'articolo pubblicato da Io donna il 28 marzo.
Terminata l’intervista in un caffè di periferia, per Igor è giunta l’ora della preghiera. È in giro da stamane e ha con sé il tappeto con la bussola che indica la direzione della Mecca. Un giardinetto qualunque, una spazzata ai mozziconi per terra, quattro ragazzi che lo fissano come fosse un marziano. È stato il primo dei nostri incontri con i giovani ritratti in queste pagine: italiani che hanno scelto l’islam, che pregano cinque volte al giorno, digiunano per il Ramadan, si dotano di un nome islamico e di solito tengono un basso profilo.
Non è stato semplice intervistarli; ancora meno fotografarli. Sul loro numero esistono solo stime: le più attendibili parlano di diecimila nostri connazionali che si definiscono “fratelli tornati all’islam”, piuttosto che “convertiti”, perché secondo loro nasciamo tutti sottomessi ad Allah, l’unico Dio. Qualche migliaio tra loro aderisce a Coreis, comunità religiosa con base a Milano guidata da ‘Abd al-Wahid Pallavicini e del figlio Yahya (italianissimi), ma non essendoci un vero tesseramento, neanche loro sanno quanti siano esattamente. Per altri la conversione è “strumentale”, come la chiama il sociologo Stefano Allievi, autore del primo studio italiano in materia (I nuovi musulmani, Edizioni Lavoro): «Lo fanno per sposare una donna musulmana o per commerciare più agevolmente con i Paesi del Golfo» spiega. «Nelle conversioni per convinzione, invece, si arriva in genere da un totale agnosticismo, magari attratti dall’egualitarismo dell’islam che considera tutti pari nella sottomissione a Dio: un concetto che piace a chi ha idee di sinistra».
L’esperto descrive un altro fenomeno, che da poco fa capolino in Italia ma è già noto in Francia e in Inghilterra, dove le seconde generazioni di stranieri sono più numerose: «Le conversioni tra i giovani locali, persino minorenni: fanno sport con i figli degli immigrati, vivono nello stesso quartiere, finiscono per abbracciare la stessa religione perché spesso riscontrano nelle famiglie musulmane un forte senso etico e di unità».
E poco importa che l’islam faccia rima, nell’immaginario collettivo, con fondamentalismo e umiliazione del diritti delle donne: c’è altro, nell’ultima delle religioni rivelate, a esercitare appeal sui giovani (e sulle giovani). «Ha una dimensione comunitaria e si inserisce bene nella nostra crisi delle ideologie» osserva Paolo Branca, islamologo all’Università Cattolica di Milano. «Appare come un’alternativa a McDonald’s e ai valori dell’Occidente materialista, e per le donne può significare una ribellione al modello femminile dominante sui giornali e in tv, provocante o in carriera, nel quale non si riconoscono». Elisa, la ragazza vestita di rosa che veste come un’autentica araba, ci ha parlato a lungo di come l’islam autentico rispetti e addirittura promuova i diritti delle donne.
Resta il fatto che, dopo l’11 settembre, ci vuole fegato a dichiararsi musulmano. «Eppure è da allora che è cresciuto l’interesse verso l’islam» fa notare il sociologo Allievi. «Prima, non avevo mai visto gente in spiaggia leggere il Corano». Ma la tendenza del futuro, che si preannuncia destabilizzante dal punto di vista economico ed esistenziale, pare un’altra: in America lo chiamano religion hopping, dice Allievi. Che significa saltellare da un credo all’altro a seconda di incontri, bisogni, risposte anelate: Dio come antidoto ai mala tempora che corrono, in altri termini.
Ecco alcune storie di chi, per ora, ha scelto Allah.
Aisha Valeria Lazzerini, 33 anni
Ricercatrice universitaria a Milano
«Era il 7 settembre 2001 quando ho pronunciato la shahada, la testimonianza di fede islamica. L’attacco alle Torri gemelle è arrivato quando stavo per dirlo ai miei... Che erano preoccupatissimi: frequenterà gente affidabile? Sarà diventata integralista? Con il tempo si sono accorti che non ero impazzita, che la mia non era una scelta ideologica bensì di fede, e ora mi sostengono. Prima non ero religiosa. Per caso, in libreria, ho aperto un volume di René Guénon, un metafisico francese diventato musulmano: ho scoperto che la vera religione non è un insieme di convenzioni, ma una via di conoscenza profonda della realtà. E a una conferenza di Coreis su Guénon ho incontrato persone che mettevano in pratica quella spiritualità. L’islam ha una primordialità, un senso della responsabilità in prima persona: non esiste clero, ognuno ha una posizione sacerdotale attiva. Il velo lo indosso solo durante la preghiera. Nella vita quotidiana seguo le usanze del mio Paese».
Yahya Abdal-Ahad Giovanni Zanolo e Halima Erika Rubbo, 28 anni, Vicenza
Lui giornalista, lei nell’import-export
«Ci siamo conosciuti in Germania, dove entrambi studiavamo. Eravamo cattolici. Poi le letture, Guénon su tutti, e gli incontri con musulmani immigrati e italiani. È stato un cammino di ricerca e di fede compiuto insieme. Nel 2007 ci siamo sposati nella moschea di Coreis a Milano: si dice che il matrimonio è metà dell’islam, per indicare l’importanza dell’unione tra uomo e donna come complementarietà. Pratichiamo i cinque pilastri (tranne, per ora, il pellegrinaggio allaMecca) vivendo normalmente nella società italiana: questa religione è facile, nel senso che la pratica si adatta al proprio contesto di vita. A volte però siamo prudenti nel dirlo per via dei pregiudizi che sono ancora tanti, e della confusione che si fa tra religione e politica».
Rahma Elisa Boldrini, 27 anni
Insegnante di storia in un liceo a Brescia
«Ho conosciuto l’islam quando studiavo filosofia all’università. Allora facevo parte di una chiesa valdese. Finché, quattro anni fa, ho conosciuto una famiglia egiziana e in seguito, durante un viaggio in Egitto, un giorno all’alba mi è venuto l’istinto di coprirmi il capo e prosternarmi al richiamo della preghiera del muezzin. L’islam completa la mia religiosità, è una concezione di Dio al di là dei dogmi. Mio padre, all’inizio, mi vietava di entrare in casa e in auto con il velo: ci siamo scontrati duramente e sono andata via per tre giorni. Ora lo ha accettato. Ho viaggiato in tanti Paesi islamici e studiato arabo a Damasco. Qui frequento soprattutto donne immigrate: laureate, attive, autonome. Fra le italiane, invece, molte abbracciano l’islam per amore di un uomo, senza consapevolezza. Sono impegnata nel dialogo con altre religioni: spiego, in conferenze e seminari, che l’islam è pace, misericordia, alto senso etico. Una cosa sola mi manca: andare in spiaggia in costume».
Ibrahim Simone, 37 anni. Impiegato a Macerata
«Quando avevo 25 anni, l’islam non era un simbolo negativo. Ero cattolico, in un momento particolare della mia vita: avevo un genitore malato e questo mi rendeva più sensibile alle domande esistenzali. Un giorno un conoscente straniero ha pronunciato parole in arabo che hanno acceso una scintilla. Sono entrato in una moschea, mi hanno regalato un Corano ed è stato come trovare il tassello mancante della mia spiritualità. L’11 settembre è stato uno shock, quell’atto non ha nulla a che fare con la religione, che condanna il suicidio. E gli italiani hanno cominciato a giudicare, ecco perché qui preferisco non rivelare il mio cognome e sul lavoro non dico che sono musulmano. Mi sono appena sposato con una donna marocchina: sebbene ci accomuni la religione, le differenze culturali restano profonde».
Ya Sin Igor Mangano, 24 anni
Rappresentante a Milano
«La prima volta che sono entrato in una moschea è stato a Ibiza, due anni fa. Tutti andavano in discoteca e io pregavo. Non sono mai stato tanto casto come sull’isola dei divertimenti. Ho festeggiato la fine del Ramadan sulla nave per Barcellona: c’erano tanti musulmani, è stato intenso. Avevo cominciato anni prima a interrogarmi sul senso dell’esistenza. Una ricerca vaga, partendo dall’induismo per approdare all’islam grazie a certi incontri: un ragazzo senegalese che aveva una bancarella a Quarto Oggiaro e mi ha portato a casa sua in Senegal. E giovani marocchini, egiziani, tunisini: in loro ho trovato una bontà d’animo e una rettitudine morale che non vedevo negli italiani. Ho completato la mia conversione frequentando il Centro islamico di Segrate. La mia ragazza è figlia di egiziani ma si sta avvicinando all’islam solo ora, grazie a me. Ed è d’accordo di aspettare il matrimonio, per fare l’amore».
Anche qui (come in Francia e in Inghilterra) le conversioni all’islam sono in aumento fra i giovani. Perché Allah può essere un antidoto a questi tempi complicati. Ce lo hanno raccontato proprio loro, i nuovi musulmani di casa nostra
L'articolo pubblicato da Io donna il 28 marzo.
Terminata l’intervista in un caffè di periferia, per Igor è giunta l’ora della preghiera. È in giro da stamane e ha con sé il tappeto con la bussola che indica la direzione della Mecca. Un giardinetto qualunque, una spazzata ai mozziconi per terra, quattro ragazzi che lo fissano come fosse un marziano. È stato il primo dei nostri incontri con i giovani ritratti in queste pagine: italiani che hanno scelto l’islam, che pregano cinque volte al giorno, digiunano per il Ramadan, si dotano di un nome islamico e di solito tengono un basso profilo.
Non è stato semplice intervistarli; ancora meno fotografarli. Sul loro numero esistono solo stime: le più attendibili parlano di diecimila nostri connazionali che si definiscono “fratelli tornati all’islam”, piuttosto che “convertiti”, perché secondo loro nasciamo tutti sottomessi ad Allah, l’unico Dio. Qualche migliaio tra loro aderisce a Coreis, comunità religiosa con base a Milano guidata da ‘Abd al-Wahid Pallavicini e del figlio Yahya (italianissimi), ma non essendoci un vero tesseramento, neanche loro sanno quanti siano esattamente. Per altri la conversione è “strumentale”, come la chiama il sociologo Stefano Allievi, autore del primo studio italiano in materia (I nuovi musulmani, Edizioni Lavoro): «Lo fanno per sposare una donna musulmana o per commerciare più agevolmente con i Paesi del Golfo» spiega. «Nelle conversioni per convinzione, invece, si arriva in genere da un totale agnosticismo, magari attratti dall’egualitarismo dell’islam che considera tutti pari nella sottomissione a Dio: un concetto che piace a chi ha idee di sinistra».
L’esperto descrive un altro fenomeno, che da poco fa capolino in Italia ma è già noto in Francia e in Inghilterra, dove le seconde generazioni di stranieri sono più numerose: «Le conversioni tra i giovani locali, persino minorenni: fanno sport con i figli degli immigrati, vivono nello stesso quartiere, finiscono per abbracciare la stessa religione perché spesso riscontrano nelle famiglie musulmane un forte senso etico e di unità».
E poco importa che l’islam faccia rima, nell’immaginario collettivo, con fondamentalismo e umiliazione del diritti delle donne: c’è altro, nell’ultima delle religioni rivelate, a esercitare appeal sui giovani (e sulle giovani). «Ha una dimensione comunitaria e si inserisce bene nella nostra crisi delle ideologie» osserva Paolo Branca, islamologo all’Università Cattolica di Milano. «Appare come un’alternativa a McDonald’s e ai valori dell’Occidente materialista, e per le donne può significare una ribellione al modello femminile dominante sui giornali e in tv, provocante o in carriera, nel quale non si riconoscono». Elisa, la ragazza vestita di rosa che veste come un’autentica araba, ci ha parlato a lungo di come l’islam autentico rispetti e addirittura promuova i diritti delle donne.
Resta il fatto che, dopo l’11 settembre, ci vuole fegato a dichiararsi musulmano. «Eppure è da allora che è cresciuto l’interesse verso l’islam» fa notare il sociologo Allievi. «Prima, non avevo mai visto gente in spiaggia leggere il Corano». Ma la tendenza del futuro, che si preannuncia destabilizzante dal punto di vista economico ed esistenziale, pare un’altra: in America lo chiamano religion hopping, dice Allievi. Che significa saltellare da un credo all’altro a seconda di incontri, bisogni, risposte anelate: Dio come antidoto ai mala tempora che corrono, in altri termini.
Ecco alcune storie di chi, per ora, ha scelto Allah.
Aisha Valeria Lazzerini, 33 anni
Ricercatrice universitaria a Milano
«Era il 7 settembre 2001 quando ho pronunciato la shahada, la testimonianza di fede islamica. L’attacco alle Torri gemelle è arrivato quando stavo per dirlo ai miei... Che erano preoccupatissimi: frequenterà gente affidabile? Sarà diventata integralista? Con il tempo si sono accorti che non ero impazzita, che la mia non era una scelta ideologica bensì di fede, e ora mi sostengono. Prima non ero religiosa. Per caso, in libreria, ho aperto un volume di René Guénon, un metafisico francese diventato musulmano: ho scoperto che la vera religione non è un insieme di convenzioni, ma una via di conoscenza profonda della realtà. E a una conferenza di Coreis su Guénon ho incontrato persone che mettevano in pratica quella spiritualità. L’islam ha una primordialità, un senso della responsabilità in prima persona: non esiste clero, ognuno ha una posizione sacerdotale attiva. Il velo lo indosso solo durante la preghiera. Nella vita quotidiana seguo le usanze del mio Paese».
Yahya Abdal-Ahad Giovanni Zanolo e Halima Erika Rubbo, 28 anni, Vicenza
Lui giornalista, lei nell’import-export
«Ci siamo conosciuti in Germania, dove entrambi studiavamo. Eravamo cattolici. Poi le letture, Guénon su tutti, e gli incontri con musulmani immigrati e italiani. È stato un cammino di ricerca e di fede compiuto insieme. Nel 2007 ci siamo sposati nella moschea di Coreis a Milano: si dice che il matrimonio è metà dell’islam, per indicare l’importanza dell’unione tra uomo e donna come complementarietà. Pratichiamo i cinque pilastri (tranne, per ora, il pellegrinaggio allaMecca) vivendo normalmente nella società italiana: questa religione è facile, nel senso che la pratica si adatta al proprio contesto di vita. A volte però siamo prudenti nel dirlo per via dei pregiudizi che sono ancora tanti, e della confusione che si fa tra religione e politica».
Rahma Elisa Boldrini, 27 anni
Insegnante di storia in un liceo a Brescia
«Ho conosciuto l’islam quando studiavo filosofia all’università. Allora facevo parte di una chiesa valdese. Finché, quattro anni fa, ho conosciuto una famiglia egiziana e in seguito, durante un viaggio in Egitto, un giorno all’alba mi è venuto l’istinto di coprirmi il capo e prosternarmi al richiamo della preghiera del muezzin. L’islam completa la mia religiosità, è una concezione di Dio al di là dei dogmi. Mio padre, all’inizio, mi vietava di entrare in casa e in auto con il velo: ci siamo scontrati duramente e sono andata via per tre giorni. Ora lo ha accettato. Ho viaggiato in tanti Paesi islamici e studiato arabo a Damasco. Qui frequento soprattutto donne immigrate: laureate, attive, autonome. Fra le italiane, invece, molte abbracciano l’islam per amore di un uomo, senza consapevolezza. Sono impegnata nel dialogo con altre religioni: spiego, in conferenze e seminari, che l’islam è pace, misericordia, alto senso etico. Una cosa sola mi manca: andare in spiaggia in costume».
Ibrahim Simone, 37 anni. Impiegato a Macerata
«Quando avevo 25 anni, l’islam non era un simbolo negativo. Ero cattolico, in un momento particolare della mia vita: avevo un genitore malato e questo mi rendeva più sensibile alle domande esistenzali. Un giorno un conoscente straniero ha pronunciato parole in arabo che hanno acceso una scintilla. Sono entrato in una moschea, mi hanno regalato un Corano ed è stato come trovare il tassello mancante della mia spiritualità. L’11 settembre è stato uno shock, quell’atto non ha nulla a che fare con la religione, che condanna il suicidio. E gli italiani hanno cominciato a giudicare, ecco perché qui preferisco non rivelare il mio cognome e sul lavoro non dico che sono musulmano. Mi sono appena sposato con una donna marocchina: sebbene ci accomuni la religione, le differenze culturali restano profonde».
Ya Sin Igor Mangano, 24 anni
Rappresentante a Milano
«La prima volta che sono entrato in una moschea è stato a Ibiza, due anni fa. Tutti andavano in discoteca e io pregavo. Non sono mai stato tanto casto come sull’isola dei divertimenti. Ho festeggiato la fine del Ramadan sulla nave per Barcellona: c’erano tanti musulmani, è stato intenso. Avevo cominciato anni prima a interrogarmi sul senso dell’esistenza. Una ricerca vaga, partendo dall’induismo per approdare all’islam grazie a certi incontri: un ragazzo senegalese che aveva una bancarella a Quarto Oggiaro e mi ha portato a casa sua in Senegal. E giovani marocchini, egiziani, tunisini: in loro ho trovato una bontà d’animo e una rettitudine morale che non vedevo negli italiani. Ho completato la mia conversione frequentando il Centro islamico di Segrate. La mia ragazza è figlia di egiziani ma si sta avvicinando all’islam solo ora, grazie a me. Ed è d’accordo di aspettare il matrimonio, per fare l’amore».
Ciao Emanuela, sono Ya sin, Igor, il ragazzo della foto. Grazie ancora dell'intervista. Un pezzo molto concentrato e interessante.
RispondiEliminaA presto!
Grazie a te, Igor. E' stato davvero interessante avere la possibilità di "assaggiare" il vostro mondo. E spero avremo altre occasioni
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