L'URLO DI PINO MASCIARI

Domani, 7 aprile, alle 10 del mattino, Pino Masciari aveva deciso di cominciare uno sciopero della fame e della sete davanti al Quirinale affinché qualcuno, finalmente, si accorgesse di lui e della sua storia paradossalmente tragica. Non lo farà per rispetto di un’altra tragedia, improvvisa e grandissima, il terremoto in Abruzzo. Ma la sua protesta è soltanto rimandata.
Chi è Pino Masciari? Un testimone di giustizia, da non confondere con il collaboratore, cioè il pentito. Masciari non ha mai fatto parte di alcuna organizzazione criminale, al contrario: grosso imprenditore edile della provincia di Vibo Valentia, ha denunciato la ‘ndrangheta che gli chiedeva il pizzo e le sue collusioni con la politica locale.
Il 18 ottobre del 1997 è stato sottoposto al programma di protezione speciale, trasferito in una località segreta insieme alla moglie Marisa e ai due figli. Lo Stato gli aveva promesso di proteggerlo, ma in questi dodici anni i sentieri farraginosi della burocrazia hanno rivelato incredibili falle, e Masciari non è al sicuro.
Potete leggere la sua storia nel suo blog.
La rabbia di sua moglie Marisa, che è medico odontoiatra ma da dodici anni non può lavorare, la trovate in un mio post di novembre che riprende un mio articolo pubblicato da Io donna e dal Corriere.it.
Il 16 febbraio, il Tar del Lazio si è pronunciato con terribile ritardo sulle richieste di Masciari relative alla sua sicurezza, alla sua vita. Non solo ribadendo il suo valore di testimone di giustizia fondamentale ai fini delle condanne di uomini della ‘ndrangheta calabrese, ma riconoscendo che in un programma di protezione non è possibile stabilire a priori una scadenza. Le mafie non perdonano e non dimenticano: chi si mette di traverso, e per di più parla a voce alta – come fa Masciari – resta sempre in pericolo di vita.
Alla sentenza del Tar non è seguita alcuna risposta, né tanto meno alcun provvedimento, da parte del ministero dell’Interno. Masciari e la sua famiglia restano in un limbo istituzionale. Marisa poco fa, al telefono, mi parlava di “punizione”. “Ci stanno punendo, non so per quale colpa”.

Se avete tempo, visitate il loro blog e lasciate un piccolo commento di solidarietà, come stanno facendo in tantissimi da tutta Italia compreso don Ciotti e il filosofo Vattimo.
Un uomo che ha il coraggio di fare nomi e cognomi in terra di ‘ndrangheta, e sua moglie che, invece lasciarlo e vivere più comodamente, decide di seguirlo fino in fondo in una battaglia che è pura e civile, non vanno lasciati soli.

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