DONNE AL VOLANTE
foto di Alessandro Grassani
Tassiste nella notte milanese: il cliente ambiguo, il potenziale rapinatore, le periferie deserte. Ho viaggiato con loro fino all’alba. L'articolo è uscito qualche tempo fa ma la città estiva e afosa dalle notti inquiete me le fa tornare in mente. Come se ne fossero loro, le regine
Alle tre di notte di un sabato ghiacciato, Milano è uno spettrale rettilineo di semafori lampeggianti e macchine lanciate chissà dove, imitazione grottesca della frenesia dei giorni lavorativi. Eppure Donatella Russo, dal suo Tango24 accessoriato di caramelle per addolcire i clienti, ci legge del fascino dentro la città in dormiveglia che lei, bella signora mora e tatuata dall’età indefinibile («E non te la dico»), percorre ogni notte e a volte fino alle sei. La Milano by day non fa per lei, troppo traffico, «e poi vuoi mettere che bello vedere l’alba?».
Abbiamo appena lasciato una coppia americana in un hotel accanto alla stazione Centrale: hanno chiamato il taxi da un lussuoso ristorante della Brianza, corsa da 71 euro e 40. «Faccia 70» dice Donatella, ma l’uomo (un distinto ciccione avvolto nell’odore di alcol con accompagnatrice ossuta e addormentata) ne allunga 75. «È un bingo» commenta Donatella «corse così non capitano mai. Non ci credi?».
Milano di notte è slavata. Senza personalità. «Questa città la devi metabolizzare» filosofeggia Donatella «persino io che ci sono nata. In via Padova, per la precisione, dove molti miei colleghi non vanno perché ci sono facce brutte. Io non ho paura. Evito le zone di discoteche e locali: troppi ubriachi. Non mi tiro indietro se devo andare a Baggio o Quarto Oggiaro. Una volta ho portato uno zingaro fino alla sua roulotte dentro un campo rom. Certo che ha pagato, senza problemi. Se avessi paura cambierei lavoro, e ne ho già cambiati troppi. Facevo l’impiegata, parlo bene l’inglese sai? Ma volevo essere indipendente, stare di più con i miei figli, avere qualcosa di mio, ecco. Tanto Milano sarà sempre imprevedibile: l’unica volta che mi hanno rapinata è stato in corso Italia, pieno centro. Due ragazzi. Drogati. Uno si è piantato davanti alla macchina. Ero talmente agitata che invece di chiamare i carabinieri ho composto il 118. L’altro ha aperto la portiera e si è portato via la borsetta sul sedile. Sì, la tengo in vista perché è meglio che trovino subito quel che cercano, se no s’innervosiscono e mi fanno male. Si sono presi trenta euro, l’incasso lo avevo nascosto. Li hanno beccati mentre facevano un’altra rapina. Avevano dei coltelli in tasca. Insomma, ho rischiato».
Il Comune di Milano ha stanziato un milione di euro per la sicurezza sulle auto bianche pensando soprattutto a loro, le trecento donne tassiste (su 4.880 licenze in città) per le quali l’incubo della rapina è inevitabilmente più nero. Invece di chiamare la centrale radio o il collega al cellulare e dire «Ciao nonna» per suggerire che il cliente a bordo mette inquietudine, ora potranno scegliere il ritrovato che preferiscono, dalla videocamera al vetro divisorio, e la spesa verrà loro rimborsata per un massimo di mille euro.
«Sai che in Cina i tassisti stanno dentro una gabbia?» ride Raffaella Piccinni, segretaria del sindacato autonomo Sitp e fondatrice dell’unica associazione nazionale di donne tassiste, l’Adit. «Le statistiche dicono che veniamo rapinate almeno una volta nella vita professionale. Siamo fortunate: le colleghe di New York subiscono almeno uno stupro».
Chi trova antipatici i tassisti pensa che paralizzino le città solo per difendere i propri interessi, che piangano miseria come se fossero gli unici lavoratori autonomi d’Italia. Il sociologo Marco Revelli li definisce «un’oligarchia mobile, che sta nello spazio pubblico con una logica privata». Ma Raffaella Piccinni, tassista e figlia di tassista, ragiona come un outsider: forte della sua associazione femminile, attacca il corporativismo dei radiotaxi («Sono loro la vera lobby») e spedisce i Nas negli orridi bagni dell’aeroporto di Linate. Propone d’installare colonnine telefoniche in ogni parcheggio per chiamare il taxi con un numero verde e di fondere le cooperative di radiotaxi in una “centrale unica” che manderebbe al cliente l’auto più vicina risparmiandogli tempo e denaro.
Il “fenomeno Raffaella” (così la chiamano i colleghi, e non per ammirazione) studia cinese, ha una laurea in filosofia («Non avrei potuto campare di stage e contratti a progetto. Preferisco guidare»), compone caustici raccontini metropolitani nel suo blog psicotaxi.splinder.com e si definisce infelicemente single: «Il mio ex mi presentava sua nonna, la matrona della famiglia, a condizione di non dirle che facevo la tassista». Il cliente ambiguo, potenziale rapinatore, lei lo scarica senza mezzi termini.
Mi invita a girare in notturna con le sue colleghe, per farmi constatare che è vero: al volante di un’auto bianca sei nelle mani della città. Di quella buona e di quella cattiva. «La tattica più comune del rapinatore è darti un’indicazione vaga sulla destinazione, in genere in periferia,
dove lo aspetta un complice» riferisce Raffaella divorando una pizza alla fine del turno. «Oggi l’unica cosa che possiamo fare è chiamare la centrale radio, che allerta le auto in zona, ma sarebbe più efficace collegarci a un server che invii la richiesta di soccorso alla polizia». E il vetro divisorio? «Salgono in quattro e uno ti siede per forza accanto». Portarsi un’arma? «Sei pazza? Il tassista è stressato. Non puoi armarlo». Installare una videocamera nell’auto? «Funzionerebbe come deterrente: sulla macchina devi scriverlo, per la privacy, che chi sale sarà videosorvegliato».
«Bisognerebbe inventare qualcosa per difenderci dai molestatori, anche da quelli solo verbali» sbotta Cira Sommella, 49 anni e da 18 incorporata nel traffico milanese, dalle 16 a mezzanotte. «Potrei raccontarti dell’albanese che mi urlava “Tu pensa solo a quello che ha fra le gambe tuo marito”, ovviamente cacciato fuori. Dell’anziano che ha voluto sedersi davanti, invitandomi a scappare con lui in Calabria e mettendomi una mano sulla coscia. Della polizia che ormai si vede poco di sera. Della collega colpita in test con un paio di forbici da una
cliente fuori di testa. Ma ne uscirebbe una città dove la vita non è più vita».
Meno catastrofica Antonietta, con il suo turno 21-7: «Guarda, dopo una cert’ora ci sono in giro solo viados. Le signorine alle due vanno a dormire. Ma è gente che lavora, come qualsiasi impiegato di giorno, e non dà problemi. In passato mi capitava spesso di portare clienti al “condominio”, una palazzina vicino alla stazione arcinota come bordello clandestino. Adesso sul taxi salgono quelli che vanno in corso Como a comprare la cocaina e pretenderebbero pure che li aspettassi».
Marina Ferri, 42 anni, ha anticipato il turno stremata dalla tensione della notte: «Termino alle 22, mi sono rifatta una vita sociale» dice sulla sua Mercedes, e confida di sentirsi randagia, talvolta: «Quando provo a guardarmi dall’esterno penso che sono qui, nella mia auto, e può capitarmi di tutto: uno che mi rapina o mi dà una botta in testa. Un incidente. E in un istante la mia vita cambierebbe».
Valentina Ceron, invece, si gode l’entusiasmo della neofita: 24 anni, tassista da cinque mesi, «fino alle 22 perché prima di affrontare la notte devi farti le ossa». Giovane e carina, è il volto di punta di un’emittente on line, C6 Tv: dalla webcam del taxi chiacchiera della città vista da una corsia preferenziale. Con ampi sorrisi del passeggero di turno. Al quale pare di stare dentro un reality.
Tassiste nella notte milanese: il cliente ambiguo, il potenziale rapinatore, le periferie deserte. Ho viaggiato con loro fino all’alba. L'articolo è uscito qualche tempo fa ma la città estiva e afosa dalle notti inquiete me le fa tornare in mente. Come se ne fossero loro, le regine
Alle tre di notte di un sabato ghiacciato, Milano è uno spettrale rettilineo di semafori lampeggianti e macchine lanciate chissà dove, imitazione grottesca della frenesia dei giorni lavorativi. Eppure Donatella Russo, dal suo Tango24 accessoriato di caramelle per addolcire i clienti, ci legge del fascino dentro la città in dormiveglia che lei, bella signora mora e tatuata dall’età indefinibile («E non te la dico»), percorre ogni notte e a volte fino alle sei. La Milano by day non fa per lei, troppo traffico, «e poi vuoi mettere che bello vedere l’alba?».
Abbiamo appena lasciato una coppia americana in un hotel accanto alla stazione Centrale: hanno chiamato il taxi da un lussuoso ristorante della Brianza, corsa da 71 euro e 40. «Faccia 70» dice Donatella, ma l’uomo (un distinto ciccione avvolto nell’odore di alcol con accompagnatrice ossuta e addormentata) ne allunga 75. «È un bingo» commenta Donatella «corse così non capitano mai. Non ci credi?».
Milano di notte è slavata. Senza personalità. «Questa città la devi metabolizzare» filosofeggia Donatella «persino io che ci sono nata. In via Padova, per la precisione, dove molti miei colleghi non vanno perché ci sono facce brutte. Io non ho paura. Evito le zone di discoteche e locali: troppi ubriachi. Non mi tiro indietro se devo andare a Baggio o Quarto Oggiaro. Una volta ho portato uno zingaro fino alla sua roulotte dentro un campo rom. Certo che ha pagato, senza problemi. Se avessi paura cambierei lavoro, e ne ho già cambiati troppi. Facevo l’impiegata, parlo bene l’inglese sai? Ma volevo essere indipendente, stare di più con i miei figli, avere qualcosa di mio, ecco. Tanto Milano sarà sempre imprevedibile: l’unica volta che mi hanno rapinata è stato in corso Italia, pieno centro. Due ragazzi. Drogati. Uno si è piantato davanti alla macchina. Ero talmente agitata che invece di chiamare i carabinieri ho composto il 118. L’altro ha aperto la portiera e si è portato via la borsetta sul sedile. Sì, la tengo in vista perché è meglio che trovino subito quel che cercano, se no s’innervosiscono e mi fanno male. Si sono presi trenta euro, l’incasso lo avevo nascosto. Li hanno beccati mentre facevano un’altra rapina. Avevano dei coltelli in tasca. Insomma, ho rischiato».
Il Comune di Milano ha stanziato un milione di euro per la sicurezza sulle auto bianche pensando soprattutto a loro, le trecento donne tassiste (su 4.880 licenze in città) per le quali l’incubo della rapina è inevitabilmente più nero. Invece di chiamare la centrale radio o il collega al cellulare e dire «Ciao nonna» per suggerire che il cliente a bordo mette inquietudine, ora potranno scegliere il ritrovato che preferiscono, dalla videocamera al vetro divisorio, e la spesa verrà loro rimborsata per un massimo di mille euro.
«Sai che in Cina i tassisti stanno dentro una gabbia?» ride Raffaella Piccinni, segretaria del sindacato autonomo Sitp e fondatrice dell’unica associazione nazionale di donne tassiste, l’Adit. «Le statistiche dicono che veniamo rapinate almeno una volta nella vita professionale. Siamo fortunate: le colleghe di New York subiscono almeno uno stupro».
Chi trova antipatici i tassisti pensa che paralizzino le città solo per difendere i propri interessi, che piangano miseria come se fossero gli unici lavoratori autonomi d’Italia. Il sociologo Marco Revelli li definisce «un’oligarchia mobile, che sta nello spazio pubblico con una logica privata». Ma Raffaella Piccinni, tassista e figlia di tassista, ragiona come un outsider: forte della sua associazione femminile, attacca il corporativismo dei radiotaxi («Sono loro la vera lobby») e spedisce i Nas negli orridi bagni dell’aeroporto di Linate. Propone d’installare colonnine telefoniche in ogni parcheggio per chiamare il taxi con un numero verde e di fondere le cooperative di radiotaxi in una “centrale unica” che manderebbe al cliente l’auto più vicina risparmiandogli tempo e denaro.
Il “fenomeno Raffaella” (così la chiamano i colleghi, e non per ammirazione) studia cinese, ha una laurea in filosofia («Non avrei potuto campare di stage e contratti a progetto. Preferisco guidare»), compone caustici raccontini metropolitani nel suo blog psicotaxi.splinder.com e si definisce infelicemente single: «Il mio ex mi presentava sua nonna, la matrona della famiglia, a condizione di non dirle che facevo la tassista». Il cliente ambiguo, potenziale rapinatore, lei lo scarica senza mezzi termini.
Mi invita a girare in notturna con le sue colleghe, per farmi constatare che è vero: al volante di un’auto bianca sei nelle mani della città. Di quella buona e di quella cattiva. «La tattica più comune del rapinatore è darti un’indicazione vaga sulla destinazione, in genere in periferia,
dove lo aspetta un complice» riferisce Raffaella divorando una pizza alla fine del turno. «Oggi l’unica cosa che possiamo fare è chiamare la centrale radio, che allerta le auto in zona, ma sarebbe più efficace collegarci a un server che invii la richiesta di soccorso alla polizia». E il vetro divisorio? «Salgono in quattro e uno ti siede per forza accanto». Portarsi un’arma? «Sei pazza? Il tassista è stressato. Non puoi armarlo». Installare una videocamera nell’auto? «Funzionerebbe come deterrente: sulla macchina devi scriverlo, per la privacy, che chi sale sarà videosorvegliato».
«Bisognerebbe inventare qualcosa per difenderci dai molestatori, anche da quelli solo verbali» sbotta Cira Sommella, 49 anni e da 18 incorporata nel traffico milanese, dalle 16 a mezzanotte. «Potrei raccontarti dell’albanese che mi urlava “Tu pensa solo a quello che ha fra le gambe tuo marito”, ovviamente cacciato fuori. Dell’anziano che ha voluto sedersi davanti, invitandomi a scappare con lui in Calabria e mettendomi una mano sulla coscia. Della polizia che ormai si vede poco di sera. Della collega colpita in test con un paio di forbici da una
cliente fuori di testa. Ma ne uscirebbe una città dove la vita non è più vita».
Meno catastrofica Antonietta, con il suo turno 21-7: «Guarda, dopo una cert’ora ci sono in giro solo viados. Le signorine alle due vanno a dormire. Ma è gente che lavora, come qualsiasi impiegato di giorno, e non dà problemi. In passato mi capitava spesso di portare clienti al “condominio”, una palazzina vicino alla stazione arcinota come bordello clandestino. Adesso sul taxi salgono quelli che vanno in corso Como a comprare la cocaina e pretenderebbero pure che li aspettassi».
Marina Ferri, 42 anni, ha anticipato il turno stremata dalla tensione della notte: «Termino alle 22, mi sono rifatta una vita sociale» dice sulla sua Mercedes, e confida di sentirsi randagia, talvolta: «Quando provo a guardarmi dall’esterno penso che sono qui, nella mia auto, e può capitarmi di tutto: uno che mi rapina o mi dà una botta in testa. Un incidente. E in un istante la mia vita cambierebbe».
Valentina Ceron, invece, si gode l’entusiasmo della neofita: 24 anni, tassista da cinque mesi, «fino alle 22 perché prima di affrontare la notte devi farti le ossa». Giovane e carina, è il volto di punta di un’emittente on line, C6 Tv: dalla webcam del taxi chiacchiera della città vista da una corsia preferenziale. Con ampi sorrisi del passeggero di turno. Al quale pare di stare dentro un reality.
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