Scampia, due poliziotte per amiche
Botte taciute. Per abitudine, rassegnazione. Paura. Nel quartiere simbolo di degrado, le giovani ispettrici di polizia Carmela Serrone e Veronica Quaranta aprono un nuovo dialogo con le vittime di mariti e figli violenti.
Foto Simona Ghizzoni |
Una figura con
occhi inesistenti, ingoiati dal volto tumefatto per le botte del figlio
tossico. Un’altra dai denti frantumati e i segnacci sul collo, lo sguardo
sospeso tra l’immondizia a terra e gli scuri inchiodati, nella casa dove il
marito l’aveva segregata. L’ispettrice di polizia Carmela Serrone mostra le
foto al computer e la sua voce, squillante fino a un minuto fa, si fa sommessa
e lenta, come se le istantanee dell’intollerabile le risvegliassero i rigurgiti
di rabbia dei suoi primi giorni a Scampia. «All’inizio inorridivo: era troppo».
Ricorda un’altra donna, che il marito picchiava con la pala da panettiere: «Si presentò qui con la faccia
sfigurata, e lo denunciò. Al processo ritirò la querela. “Signora, ma si rende
conto?” le dissi. “Ispettò, è cambiato. Mi manda le lettere d’amore
dalla prigione”. In tante vivono la violenza come normalità».
Carmela
Serrone, 35 anni, nel 2010 è tornata nella sua Napoli dopo un periodo altrove,
appassionandosi al microcosmo periferico di Scampia. Era la piazza di spaccio
più affollata d’Europa, prima che il supermarket della droga traslocasse in
aree meno sotto i riflettori. Tutti, qui, ricordano la faida di camorra che nel
2005 lasciò oltre 70 morti, alcuni innocenti. E oggi che i nuovi boss hanno a
malapena 20 anni, i soldati in mimetica e mitra presidiano i vialoni senza
negozi né caffè. Le tre Vele rimaste in piedi, effigi di disperazione e
latitanza dello Stato, spezzano lo skyline di casermoni tra le macchie verdi,
mentre lo scheletro della nuova facoltà di Medicina promette un futuro che
tarda ad arrivare.
Dei circa
40mila abitanti di Scampia, il 61 per cento è disoccupato. Camorra e droga a
parte, per Carmela Serrone l’emergenza del momento, qui, è la violenza contro
le donne: «Ho
seguito 500 casi» spiega «ma le vittime che non denunciano sono infinitamente di più».
Lei e la collega Veronica Quaranta, 39 anni, formano una piccola ma agguerrita
squadra contro gli abusi domestici. «Abbiamo iniziato con lo sportello anti-violenza di una
cooperativa, ma per le donne era impensabile mettere piede in commissariato»
precisa Carmela. «La
gente sente lontane le istituzioni. Però non pensiate che, siccome siamo a
Scampia, la violenza riguardi solo le mogli di criminali e disoccupati: è un
fenomeno transculturale, per un modello di famiglia patriarcale ancora forte».
Con l’aiuto
della Ong WeWorld, queste due “sbirre” belle e curate, sorrisi aperti e
dolcezza naturale, trasformeranno presto l’ufficio per le denunce delle donne
in un salotto con fiori e divani, per accoglierle con più calore. Hanno già creato
uno spazio per i bambini, che giocano tra colori e macchinine per non dover
ascoltare le madri ripercorrere i propri incubi. «Le donne maltrattate denunciano
solo quando si sentono in pericolo di vita» chiarisce Veronica. «Stiamo guadagnando la fiducia del
quartiere, talvolta fingendoci assistenti sociali, per intercettare in tempo il
disagio. Quelle che incontriamo tollerano abusi da anni, spesso non
riconoscendoli come tali nemmeno dopo le costole incrinate, i polmoni
perforati, i denti spaccati. “Vabbè, mi ha tirato il piatto in faccia, ma lo fa
sempre” ci sentiamo dire. E un uomo, preso in flagranza, è trasalito: “Davvero
mi arrestate perché ho picchiato mia moglie? Lei sa che lo faccio perché la amo”».
In questa
mattina ancora fredda, Carmela e Veronica indossano l’elegante divisa di
rappresentanza per un’occasione speciale: l’incontro con una ventina di signore
alla scuola “Montale”, di fronte al commissariato, in due locali che WeWorld ha
destinato a un centro per le donne di Scampia. Un progetto pilota, realizzato
in altri quartieri degradati a Palermo, Roma, e a Borgo San Lorenzo a Napoli.
Attraverso gruppi d’ascolto e attività, dalla danza del ventre al restauro di
mobili antichi, intreccia sorellanze in ghetti urbani dove vigono l’isolamento
e il “farsi i fatti propri”, affinché i vissuti di violenza emergano spontanei.
E quelle che avranno il coraggio di denunciare saranno accompagnate da
psicologhe, avvocatesse, servizi sociali. «A Scampia ci sono molte iniziative
per i giovani, ma non per le donne» osserva Monica Musitano, coordinatrice
dei centri WeWorld di
Napoli. «Le
nostre signore non pensano a se stesse come donne, con un valore individuale
oltre i ruoli di mogli e madri. Qui invece si ritagliano del tempo tutto loro,
sentendosi parte di una comunità al femminile che dà forza».
Oggi inizia
una serie d’incontri sulla violenza di genere. Monica spiega che una donna su
tre in Italia la subisce, ma solo l’11 per cento denuncia e il 20 per cento non
ne fa parola con nessuno. Si sofferma su un dato dell’indagine Rosa Shocking
di WeWorld: un giovane su 3 è convinto che i cazzotti tra le mura di casa siano
faccende private, nelle quali non mettere becco. E parla dell’estetista di
Pozzuoli, incinta, che il compagno ha dato alle fiamme qualche settimana fa: «La conoscevo» confida. Poi le due
ispettrici si presentano al gruppo: «Non abbiate paura, siamo qui per voi».
Tra
chiacchiere, caffè e biscotti al cioccolato, una giovane s’avvicina a Carmela e
Veronica. Con loro, tempo fa, ha denunciato il marito dopo troppi ceffoni e
cappi psicologici. Si chiama Elena, è laureata in economia: «Mi voleva assumere un’azienda del
Nord» dice «lui
me l’ha proibito, e io allora ero succube. Ora gli amici mi hanno voltato le
spalle, come a un’infame. È dura, ma non mi pento di essermi rivolta alla
polizia». Antonella, che da 15 anni abita in una casa occupata e vive nell’ansia
per il figlio grande accoltellato senza motivo davanti alla chiesa, ascoltando
Elena scoppia in lacrime all’improvviso. E prendendole la mano, scolpisce un
cammeo di solidarietà femminile che fa immaginare che la strada, per quanto
lunga, sia quella giusta.
da Io donna, marzo 2016
da Io donna, marzo 2016
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